Al netto delle schermaglie tattico-mediatiche, lo schema appare chiaro: i due partiti indiscutibilmente emersi vincenti dall’ultima tornata elettorale, M5S e Lega, consapevoli che l’unico governo “politico” fattibile è quello composto da un’intesa fra le loro forze parlamentari, “aprono” con diverse modalità e parole al PD. Nella non segreta certezza che il rifiuto da parte di questo – che dovrebbe svenarsi per portare sangue fresco a chi li ha sempre combattuti in tutti i modi – porterebbe dritti dritti a un nuovo voto. Ergo una campagna elettorale centrata su un unico grande refrain: “vedete, noi siamo i responsabili, vogliamo l’interesse del Paese, abbiamo proposte mirabolanti che potremmo fare solo se ci date il massimo dei consensi; non come questi del Pd che non vogliono neppure sedersi e trattare con noi. Quindi votateci e poi ne riparliamo”.
Questo schema è palese in due strategie.
Il leader della Lega, Matteo Salvini, parla di governo politico e poi chiama i singoli deputati Pd (non il partito, si è affettato a dire, che di fatto “puzza”) a tradire il loro mandato (e quindi la loro storia e cultura politica) e a rivolgere gli occhi alla nuova forza vincente e al centrodestra. Per fare cosa? Per offrire il loro voto affinché realizzi il programma fatto di meno Europa, meno tasse per i ricchi (la flat tax questo è…), più armi per chi vuole difendersi da solo, meno immigrati, meno soldi per la cooperazione e le Ong, meno diritti civili per le coppie, meno laicità per uno Stato che si dichiari cattolico (e bianco), meno libertà religiosa (ditemi se sbaglio), eccetera… Ecco, per questo programma politico, chi ha propugnato principi esattamente all’opposto dovrebbe dare il suo voto. SI può sostenerlo con un minimo di dignità, politica?
Dall’altro lato, anzi accanto, il leader dei 5 stelle sostiene che se si vuole un governo bisogna “passare da loro”. No, onorevole Di Maio, la democrazia rappresentativa non funziona così: se voi volete un governo, avendo sì ottenuto il maggior numero di voti ma non sufficiente per fare una maggioranza, siete voi che dovete andare dagli altri. E’ esattamente il contrario. Se riceverete il mandato (“esplorativo” in natura, non può essere pieno, perché i conti li sanno fare pure nello staff del Presidente della Repubblica), dovrete cercare in Parlamento i voti, non dei singoli, ma di un partito che quei singoli cerca di tenerli insieme (pur con le fatiche che come sappiamo nelle recenti legislature si sono palesate) e non in maniera occasionale, sennò il governo è a rischio ogni giorno. E quella ricerca non solo parte dall’esposizione di un programma, sul quale ci possono anche essere intese su singoli aspetti. Si basa soprattutto a partire dal consenso su chi lo farà, ossia i ministri, la squadra di governo. Qui non si tratta di poltrone, di stipendi, di emolumenti e privilegi, come avete (con un po’ di enfasi eccessiva, via…) fatto capire al popolo elettorale. Si tratta della competenza e della serietà necessaria per realizzare quel programma. Non è poco, vero? E’, di fatto, una delle accuse che avete lanciato all’attuale (e scaduta, direi, non scadente…) classe dirigente. “Non siete stati capaci, ora a casa”. E ora di quei “posti” non volete neppure parlare e quindi accettate solo un sì o un no al buio? Sinceramente, non si può.
Questa, secondo me, è la responsabilità che si chiede ad un partito di opposizione, quale dovrà necessariamente essere il Partito democratico sconfitto (ora) dalle urne: controllare che la classe politica che si prepara al cambio sia dotata dei tre valori che anche voi avete – e giustamente – richiesto per chi governa: serietà, onestà e competenza. Se non volete che si giudichino i vostri, onorevole Di Maio (non la chiamo candidato premier, perché nella nostra Costituzione non esiste, e qui non siamo nella “sgrammaticatura” costituzionale, ma in un vero stravolgimento di quella Carta che il 4 dicembre 2016 vi siete affannati a difendere), perché pretendere che il voto degli eletti del PD sia a scatola chiusa?
Ecco: allora appare chiaro che chi ha vinto non si vuole assumere la responsabilità di provare a risolvere i problemi del Paese. Un governo M5S più Lega staccato dal centro-destra non è possibile? Forza Italia non darà mai un consenso a un governo grillino? Ecco, non può e non deve essere un problema di chi (nonostante cinque anni di buon governo) è stato bocciato dagli elettori. Questa, mi sia consentito di scrivere, è l’igiene della democrazia: attribuire le giuste responsabilità, anche a costo di vedere formarsi maggioranze che non piacciono. E spero che si dica e sia chiaro nella prossima campagna elettorale.
A patto, però, di non restare sul margine del fiume in attesa di vedere il cadavere del nemico che passa. Qui bisogna ricostruire non tanto o non solo la fiducia nel centro sinistra e nel PD. Ma la fiducia nella politica, nella democrazia, nella competenza di chi ha studiato i problemi e li conosce, negli esperti, nei numeri e nelle statistiche, nelle soluzioni ponderate. Insomma nella ragione e nella ragionevolezza, depurata dalla spocchia che spesso accompagna i dotati del sapere che si trovano di fronte gli ignoranti. E allora occorre rifondare i partiti e rilanciarne l’importanza di luoghi in cui si fa politica, ci si confronta e si dibatte. Quindi non solo assecondare e vivificare l’ambiente digitale, ma anche e soprattutto le associazioni, il mondo del volontariato, i sindacati, i gruppi parrocchiali, i comitati, e tutti quei soggetti che mettono di fronte i cittadini (e non solo a distanza), per riprendere a tessere un filo che ormai sembra troppo facilmente considerato desueto e impraticabile.
Ammesso e non concesso (e tutte le ricerche confermano che non sia più così) che il voto sia segnato da scelte di appartenenza nette e definite (è, invece, fluido e mutabile facilmente), occorre in più tenere in considerazione quel 28 per cento di elettori che si sono rifiutati di recarsi alle urne. Impresa impossibile? Arduo programma? Non credo. Credo invece che, nel nostro piccolo, anche una rete di associazioni come le nostre di C3dem, abbia davanti un grande ruolo e uno spazio importante per agire con efficacia.
Vittorio Sammarco
12 Marzo 2018 at 12:01
Il paradosso tutti quelli che erano contro Renzi e il Pd oggi si schierano per fare un governo
Pd 5stelle .
13 Marzo 2018 at 10:45
Certo! Perché secondo questi i 5S avevano il sacrosanto diritto nel 2013 (Taverna e Crimi vs Bersani) e 2014 (Grillo vs Renzi) di rifiutarsi persino di discutere un appoggio ad un governo PD (nonché di sbeffeggiarli): in quanto il PD è mafioso, corrotto, venduto alla finanza, con le mani grondante sangue. Mentre nella situazione attuale – proprio per scontare queste colpe – il PD dovrebbe assicurare senza discutere l’appoggio ad un governo 5S. Mentre se il PD valutasse se approvare o no i singoli provvedimenti, i 5S si prenderebbero il merito per quelli approvati, e incolperebbero il PD per quelli non approvati, a cominciate dal “reddito di cittadinanza” generalizzato.
15 Marzo 2018 at 19:58
Non entro nel merito del Governo (chi lo fa, con chi ? e cosa deve fare il PD).
Mi interessa, in questa occasione quanto si afferma per preparare il futuro: “occorre rifondare i partiti e rilanciarne l’importanza di luoghi in cui si fa politica, ci si confronta e si dibatte. Quindi non solo assecondare e vivificare l’ambiente digitale, ma anche e soprattutto le associazioni, il mondo del volontariato, i sindacati, i gruppi parrocchiali, i comitati, e tutti quei soggetti che mettono di fronte i cittadini (e non solo a distanza), per riprendere a tessere un filo che ormai sembra troppo facilmente considerato desueto e impraticabile”. Un partito (o più d’uno) in cui i cattolici democratici possano sentirsi, insieme ad altri, a casa loro! Ma chi prende l’iniziativa di rifondare? Mi sembra che tanti vogliano continuare con il progetto PD; è questo il futuro? E poi sono i contenuti e i progetti sul tipo di società, i metodi di lavoro e di discussione, i programmi che contano. A me non sembra, almeno fino ad oggi, che il PD possa essere la risposta; ma non vedo neanche alternative valide. E poi il futuro è o Macron (da un lato) o la sinistra socialista (il PSE europeo o LeU dall’altro)? Il profilo di un partito che deve essere pluralista, di cambiamento, per nuovi paradigmi economici e sociali, penso che debba prevedera qualcosa di profondamente diverso dall’una cosa e dall’altra possibilità. E, aggiungo sottovoce per non suscitare troppe polemiche, deve pensare a riforme ma in modo diverso e meno “pesante” di quelle renziane del referendum e altro.