Le trivelle… l’affluenza alle urne… e il futuro della democrazia in Italia

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Gli storici narrano che nella Grecia antica la stragrande maggioranza del  popolo era povera, ignorante e sostanzialmente senza diritti. Nonostante che la forma di governo dei molti nasca in quel paese, la democrazia politica antica intesa come governo di popolo, era valutata dalle èlite e dai filosofi che contavano come un sistema politico inferiore all’aristocrazia, intesa come governo di pochi, ricchi e sapienti. Sono passati 2500 anni e la democrazia bene o male si è diffusa. In questo lunghissimo tempo si è pure capito che il popolo diventato intanto cittadino ha i suoi diritti e che non è ignorante. Anche se continua a essere povero.

Ma se i governanti di oggi si dichiarano democratici e a conti fatti governano e decidono senza un ampio consenso  di popolo, non si può affermare che il popolo venga  rappresentato e tutelato per bene nei suoi diritti. E soprattutto non si può affermare che il basso consenso di popolo interpreti per bene lo spirito della democrazia. Insomma la bassa affluenza alle urne non indica una buona salute della democrazia politica moderna.

Benché Renzi abbia suggerito l’astensione, gli editorialisti (seri) sono stati tutti d’accordo nel ritenere i risultati del referendum sulle trivelle cosa diversa da un puro e semplice voto a favore o contro Renzi. Ma non trattandosi di ignoranti, quel 68% di elettori italiani che non ha votato assieme alla trasversalità dei motivi – politici e non – di questa assenza, non ci dovrebbe  in ogni caso e per quello che abbiamo detto lasciare indifferenti. Una certa impressione fa invece la quantità che rappresenta quel 32 % che è andato a votare: sedici milioni circa di elettori. Di certo in una quota parte esprimono convincimenti personali sui contenuti referendari. Ma esprimono anche appartenenza e fedeltà. Militanza attiva. Ragione e passione politica. Regionalismo ambientalista e antipolitica. E, guardando bene alle “mozioni di sfiducia-spettacolo”, sono mescolati all’anti-renzismo  presente nel disinvolto connubio tra M5S-Sinistra-Lega e F.I.  Un voto che tuttavia suggerisce qualche ipotesi su quello che potrebbe succedere in Italia nei prossimi anni in termini di  affluenza. Non ci sono dubbi che pur mescolando istanze diverse, questi 16  milioni di elettori dei circa 50 aventi diritto, sono nella media delle presenze ai referendum degli ultimi sedici anni. C’è solo da augurarsi che il referendum di ottobre sulla Costituzione possa essere altra cosa. Ma se questi elettori vengono collocati sullo sfondo delle novità istituzionali in arrivo, qualche domanda in più sulla qualità della nostra prossima democrazia rappresentativa è lecito porsela.

Al lordo dei si e dei no, i 16 milioni diventano infatti il 46 % circa dei 35 milioni di votanti alle ultime politiche: 75% di affluenza. Una affluenza che qualcuno inizia a ritenere  fisiologica per le elezioni politiche italiane, sperando che sbagli previsione. Si dirà che la riforma elettorale maggioritaria giocata sulla lista è stata voluta per eliminare questo rischio, ma basta poco per capire come questi 16 milioni si potrebbero trasformare in maggioranza di popolo, se l’elettorato italiano si prenderà invidia di quello anglosassone accentuando il disinteresse e l’apatia, e abbassando la presenza alle urne attorno al 60 % :  circa 30 milioni di votanti. Presenza destinata addirittura a diminuire al di sotto del 60%, nel caso dei ballottaggi previsti dall’Italicum.

Concludo. Le trivelle si incontrano una sola volta nella vita. Speriamo. I referendum forse no. Ma sono le elezioni politiche ed amministrative che incontreremo più spesso. Una tipologia  di voto quest’ultima che, non essendo in Svizzera,  indica tutto sommato  la qualità della democrazia di un paese.

Cosa allora ci riserverà il futuro non lo sappiamo. Il referendum sulle trivelle non c’entra. C’entra invece il fatto che l’astensionismo alle politiche è progressivamente in crescita: 17% nel 2006; 22% nel 2008; 25% nel 2013. Un astensionismo oggi accompagnato da paure, da contestazioni,  da antipolitica, da qualunquismo. E , con le tragedie degli immigrati, accompagnato da destre nazionaliste e xenofobe – esplicite, camuffate o populiste – che dimentichi della solidarietà alzano mura e recintano – inutilmente – quei confini che  avrebbero fatto rabbrividire i Padri nobili fondatori dell’Unità europea, entrata nel frattempo in una profonda crisi. In questo radicale cambio di epoca, siamo già avvertiti che quello che viviamo è il tempo dell’elogio e della ricerca bramosa  di un leader, ai giorni nostri in diretto rapporto con l’opinione pubblica senza gli ormai superflui corpi intermedi associati di mezzo. Siamo avvertiti che bisogna velocizzare e accelerare  i processi decisionali e la governabilità , abbandonando la ragionevole mediazione e la ragionevole concertazione, trascurando il gioco di squadra e la collegialità. Siamo avvertiti che il partito politico, specie quello di massa, appartiene al passato e che le identità sono categorie romantiche superate. Siamo insomma avvertiti che la qualità della democrazia che abbiamo conosciuto la dobbiamo dimenticare.

Avremo forse una democrazia che rappresenta il 40% di cittadini, con un esecutivo che in sistemi maggioritari governa da solo col 25%  dei consensi ? Una democrazia col bene comune trasformato in bene particolare? Lasceremo  la democrazia italiana nelle mani di lobby, di minoranze di popolo-cittadino  tutte prese dalla mistica del cambiamento digitale ? Nelle mani di pochissimi iscritti ai partiti diventati nel frattempo comitati elettorali ad alto uso di primarie ? Di militanti ubbidienti e fedeli, di arrabbiati “anti e contro”, di contestatori antipolitici passionali e paurosi al limite della xenofobia, con l’iPhone in mano e il tablet sotto braccio

 

Nino Labate

One Comment

  1. Nino, bisogna distinguere quello che affidiamo alle regole e quello che attribuiamo alla responsabilità delle proposte politiche dentro tali regole.
    Alle regole dobbiamo chiedere che il voto sia il più possibile incisivo nei suoi effetti perché anche questo può incentivare la partecipazione, ma soprattutto renderla efficace.
    Una partecipazione alta a una consultazione non decisiva ha comunque un impatto relativo e sul lungo termine tende a scendere se la non decisività si ripete.
    Da questo punto di vista bene fa la riforma costituzionale ad abbassare il quorum per i referendum abrogativi alla metà più uno dei votanti alle precedenti politiche qualora la proposta abbia ottenuto più di 800 mila firme. In tale modo chi vuole difendere una legge, s il quesito è avvero consistente, sarà spinto a fare campagna per il No anziché ad andare verso l’astensione.
    Nel referendum costituzionale il quorum non c’è questo spingerà alla partecipazione.
    Quanto al sistema elettorale penso che sia giusto chiedere che attraverso di esso il cittadino sia anche arbitro dei Governi perché altrimenti si finisce in una deriva oligarchica e la partecipazione non è efficace. Personalmente non credo affatto che un ballottaggio nazionale proprio per il suo carattere nazionale decisivo veda scendere la partecipazione tra un turno e l’altro.
    Ovviamente la partecipazione dipenderà però anche dalla qualità delle proposte e dall’incertezza sull’esito.
    Cari saluti.

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