Si avvicinano le elezioni amministrative in grandi città e in molti piccoli e medi comuni. Tra le novità che si percepiscono nel variegato retroterra delle liste che si presenteranno c’è quella, a Milano, di “Demos Milano”, realtà scaturita di recente dall’esperienza avviata già sei anni da Democrazia Solidale (appunto DemoS), ma con una sua propria totale autonomia. L’autore di questo articolo, che ne è l’anima (oltre ad essere tra i protagonisti della rete c3dem e un noto ex dirigente sindacale della Cisl), indica qui i nodi che, a suo avviso, deve affrontare e tentare di risolvere il cattolicesimo politico-sociale oggi
La pandemia tuttora limitante e la scadenza imminente delle elezioni comunali hanno impedito a Demos Milano di approfondire in modo adeguato, come avrebbe voluto, le proprie basi ideali.
Una prima indicazione, parziale ma significativa, è comunque leggibile in forma evidente aprendo il nostro sito www.demosmilano.it. In caratteri cubitali appare la scritta: “Una nuova proposta, sociale, culturale, politica” e la prima pagina dedica ampio spazio ai valori di base della rete.
La rete è fatta prevalentemente da persone provenienti da associazioni sociali cattoliche, ma anche di altra provenienza ed è aperta al contributo di tutti: rete sia di persone che di associazioni.
A titolo personale cerco di sviluppare qui alcune linee di pensiero che informano l’iniziativa, nell’attesa di riprendere il lavoro di riflessione condivisa, appena conclusa la campagna elettorale.
Per rendere più chiaro il discorso procedo per punti: lo schema a volte riprende temi tradizionali, ma serve a mettere in evidenza i nodi topici che il cattolicesimo politico-sociale deve affrontare e tentare di risolvere se intende aprire una nuova fase.
Primo. Se si vuole dar vita a un nuovo impegno politico e sociale di cattolici occorre partire dalla fede.
Pensare di unire i cattolici in quanto tali, considerando l’estrema varietà di posizioni presenti e l’atteggiamento tendenzialmente passivo e rinunciatario di molti di loro, è una fatica sprecata.
In secondo luogo, la questione su cui entrano in crisi il cattolicesimo e la più parte dei cattolici è proprio il rapporto tra la fede e il mondo, tra la fede da una parte e la politica, l’economia, il sociale dall’altra. Dunque, questo rapporto è da rivisitare e da ricostruire e si tratta di una questione dirimente, nel senso che non si può proporre nessuna politica ai cattolici senza passare dalla soluzione di questo nodo (irrisolto a livello collettivo).
In terzo luogo, per fare politica oggi in un mondo sempre più complesso e caotico e dove non esiste nessuna concezione politica solida e convincente, occorre una motivazione forte e l’unica vera motivazione forte per i cattolici è la fede.
Qualcuno avanza l’idea della dottrina sociale della chiesa, ma essa è debole se solo dottrina morale, diventa forte se si basa sulla fede e dunque si ritorna da capo al fondamento della fede.
Secondo. La fede di cui parliamo è una fede vissuta, vissuta tra gli uomini, è una fede attiva nel mondo.
Ciò comporta portare questo impegno dentro il mondo cattolico, a partire dalle parrocchie, che devono ritornare a parlare di politica e di sociale.
Per usare un pensiero tomista “si deve tendere a ciò che è più lontano (più grande) preoccupandosi di ciò che è più vicino”. Da qui discende che la prima attività deve essere quella sociale.
Quando si parla di sociale, bisogna intendersi bene: sociale non significa un insieme di problemi, ma significa delle persone che vivono dei problemi (spesso comuni ad altri o a molti), dunque si parte dalle persone.
E sociale vuol dire relazioni sociali, relazioni tra le persone: lavorando nel sociale si creano rapporti, comunità, coesione sociale, in altre parole si contrasta l’individualismo costruendo società (più che costituire propri gruppi, va privilegiato il fare comunità e creare relazioni nell’ambiente in cui ci si trova).
E poi c’è sociale e sociale: il mondo cattolico svolge un enorme lavoro sociale attraverso la Caritas, il volontariato, il Terzo Settore, coprendo tanta parte delle esigenze del paese. Questo sociale è rivolto sostanzialmente a dare una risposta ai bisogni immediati e in ciò sta il suo merito (si tratta di un fare per gli altri).
Ma esiste anche un altro sociale che consiste in un’azione libera, che esprime valori ideali, ha una visione della società, coinvolge persone nella partecipazione, è dotato di un’idea trasformativa della realtà (si tratta di fare con gli altri).
Questo è il sociale di cui oggi abbiamo bisogno, perché l’altro ha in sé il suo fine, la soddisfazione di determinati bisogni e lì termina; questo invece apre alla società e alla politica ed è già in sé, per le idee, la visione, il movimento che comporta, un fatto politico.
E’ un sociale che prepara e che predispone alla politica, dunque una risposta concreta a un dilemma sempre presente non solo tra i cattolici: come passare dal sociale al politico. E’ per così dire un sociale “totale”, che non fa tante distinzioni tra sociale, culturale e politico e che anzi trova la sua forza nel metterli insieme, ed è un sociale “militante” in cui una persona trova sia il modo di realizzarsi sia il modo di partecipare attivamente alla trasformazione della società.
Terzo. Il sociale vissuto dalle persone costituisce come una materia prima e richiede pertanto un’elaborazione culturale.
Il sociale è alla base di tutto, ma si presenta immediato, grezzo, informe: ciò che lo rende evidente, significante, è una trasformazione che può avvenire solo attraverso la cultura.
Qui si colloca un altro punto dolente dell’attuale situazione.
Ci sono carenze di elaborazione del pensiero politico. Ma il problema maggiore è un altro: la separazione tra cultura e popolo, tra gli intellettuali e la vita della gente.
Gli intellettuali producono delle idee valide, ma queste non circolano; scrivono saggi pieni di dottrina su riviste accademiche, lette solo da altri intellettuali e così il cerchio si chiude.
Dall’altra parte il popolo, privo delle organizzazioni di massa di una volta che rappresentavano un grande strumento di formazione e di trasmissione di cultura, è oggi privato in larga misura dalla possibilità di accedere a una cultura politica e sociale degna di questo nome.
Il problema da affrontare è dunque la frattura tra cultura e realtà sociale (la gente), tra intellettuali e lavoratori/cittadini.
Un grande impegno per Demos sarà riaprire ponti perché questo rapporto torni a funzionare e perché si riprenda un’azione formativa di cultura politica e sociale di massa.
Quarto. Per superare la diffidenza della gente nei confronti della politica è necessario agire innanzitutto a livello locale.
La scelta di Demos Milano non è fare una proposta politica nazionale (esiste una rete che si occupa di mantenere i collegamenti), ma fare un’esperienza concreta, locale, perché a questo livello è possibile una verifica diretta della possibilità di partecipazione e di condivisione delle persone alla politica.
La città consente uno stretto rapporto tra problemi, cittadini e amministrazione; è dunque un banco di prova ideale per testare una politica innovativa.
Certamente la politica non si ferma qui, ci sono problemi più ampi e più generali, ma la politica a questo livello potrebbe offrire a riguardo due possibilità interessanti:
- partendo dal locale su molti temi è possibile sviluppare delle politiche generali, offrendo una base solida di esperienza e di verifica;
- dal livello locale è possibile indicare temi alla politica nazionale senza attendere che i problemi vengano sempre dal livello centrale. In altre parole, si potrebbe, avendone le capacità e la forza, influire sull’agenda politica nazionale.
Mi sono soffermato a delineare uno schema ideale, schema logico i cui punti sono collegati fra loro tanto a livello del ragionamento quanto in quello pratico, schema che andrà man mano riempito e riformulato da riflessioni più puntuali e da esperienze concrete che lo esprimano più compiutamente.
Su quest’ultime siamo solo agli inizi e dunque è prematuro presentarle. Cito solo i titoli della iniziative sociali finora promosse, per fornire un’idea delle azioni possibili: sportelli di lavoro in periferia ma con l’idea di sviluppare un’azione più concreta sul tema della disoccupazione; intervento a sostegno degli anziani soli nei quartieri delle case popolari (fra l’altro è un modo per essere presenti in queste realtà spesso difficili); lavoro con gli immigrati per promuovere una loro piena cittadinanza (perché attualmente sono comunque considerati di serie B).
Nel campo dell’azione culturale abbiamo svolto incontri sul lavoro, sull’ambiente e sulla cultura e abbiamo espresso due riflessioni (documenti), una sugli anziani e le RSA e l’altra sulla partecipazione dei lavoratori, di cui almeno la seconda di valore nazionale.
Sul piano politico partecipiamo con nostri candidati (2 in Comune, 22 nei Municipi) alle elezioni amministrative di Milano città e data l’importanza e la scadenza a breve, abbiamo dato a questo impegno la priorità massima; già questo è stato un lavoro organizzativo e relazionale di indubbio rilievo.
Per concludere speriamo molto nell’esito elettorale, perché da una buona riuscita può derivare l’impulso necessario per continuare e sviluppare il nostro lavoro.
In futuro certo ci sarà bisogno di strutturarci meglio, ma penso che si dovrebbe mantenere Demos soprattutto come un simbolo etico-politico in cui riunire le forze disponibili a un impegno ideale politico di reale trasformazione sociale; abbiamo bisogno non di tesserati, ma di persone che aderiscono convinte, con il proprio cuore e la propria intelligenza.
Sandro Antoniazzi
settembre 2021
27 Settembre 2021 at 11:26
In bocca al lupo! Io sto partecipendo a questa campagna elettorale nella lista Demos di Roma, e so bene come queste elezioni siano importanti e impegnative. Forza Demos Milano!
9 Ottobre 2021 at 21:37
E’ certamente una cosa molto positiva. Vai avanti Demos. Peccato che io sia ormai sopra gli ottanta.
Ma mi ricordo ogni mattina delle parole di Lazzati e, come posso, vi penso e vi sono vicino.