Caro Franceschini, di sicuro non ti è ignota la nomea, che ti insegue, di abile e professionale manovratore, di uno che, con precisione e con tempismo implacabili, sa fiutare la direzione nella quale spira il vento. Nomea ingenerosa. Certo, in te, si può scorgere traccia di un certo realismo, dell’esigenza di prendere atto della realtà effettuale. Sia essa conforme o meno ai nostri desiderata. E di farlo, questo sì, con un certo compiaciuto ….. machismo politico. Senza ipocrite dissimulazioni.
Può piacere o non piacere, ma mi chiedo perché si sia più indulgenti verso il conformismo e l’opportunismo che allignano nel vertice più ristretto del PD.
Lasciamo stare il passato remoto, di recente ripercorso a suo modo (a tesi) da Il Foglio. Mi limito alla disputa attuale su partito e coalizioni. Su questo, sì, ti vorrei porre qualche interrogativo.
All’atto della nascita del PD, prima al fianco di Veltroni e poi succedendogli, sposasti l’idea del partito a vocazione maggioritaria. Un approdo un po’ estemporaneo, dopo un tempo nel quale presidiasti la peculiarità/autonomia del PP prima e della Margherita poi. Tu e Veltroni ci spiegaste (senza convincerci) che ciò non corrispondeva alla presunzione dell’autosufficienza del PD. E tuttavia è innegabile che si relativizzasse l’investimento sulle coalizioni nel quadro di un bipolarismo teso al bipartitismo. Preistoria. Le cose sono profondamente cambiate. Qualche mese fa, a fronte dell’ascesa dei populisti nostrani, adombrasti la tesi (non originale) di sostituire al dualismo destra-sinistra quello responsabili-populisti. Una uscita che sembrava prospettare un asse PD-FI, con il dichiarato obiettivo di aiutare Berlusconi ad affrancarsi da Salvini. Tesi che non mi ha mai convinto: una sorta di “union sacrée” semmai gonfierebbe le vele delle forze anti sistema. Ma tant’è. Poi hai cambiato linea. In un sistema che, semplificando, definiamo tripolare, ma tendente al multipolarismo e persino alla balcanizzazione, ti sei esposto nel prospettare per il PD una politica delle alleanze. Proponendo di introdurre nella legge elettorale un premio alle coalizioni. Qualche settimana fa, in un paio di uscite pubbliche, confessasti di avere cambiato opinione dopo la scissione di Mdp: niente più alleanze. Non ho compreso perché. Ora torni a proporre la coalizione e io, che sul punto non ho mai cambiato idea, me ne compiaccio. Con un PD tornato al 25% e, secondo le ultime rilevazioni, terzo tra i tre grandi aggregati (centrodestra, 5 stelle e appunto PD), ci si consegnerebbe a sicura sconfitta.
Si può rimproverare a te una linea un po’ ondivaga? Sì. Ma trovo incredibile che ti si ingiunga di non discuterne. Come ho avuto modo di osservare in altra sede, nei venti anni alle nostre spalle, che spesso ti hanno opposto a noi ulivisti cultori della coalizione, una coerenza ti va riconosciuta: il senso del primato del partito, prima quello identitario (PP), poi quello a vocazione maggioritaria (PD). Ma sempre, parafrasando Trump, per te “partito first”. Ecco perché non mi ha sorpreso la tua ferma reazione ai diktat di chi chiede di non aprire la discussione nel partito su un punto che mette in gioco il suo profilo e la sua missione.
Anche ai miei occhi hai cambiato spesso posizione, certo in risposta alla evoluzione delle coordinate politiche, ma tenendo ferma la convinzione – su questo con coerenza – che è il partito l’attore protagonista, la sede e lo strumento principe delle decisioni politiche. Appunto il partito. Che non stia lì la radice del problema? La sua riduzione alla cerchia di un capo assediato nel suo bunker, sempre più solo, sempre più autoreferenziale, sempre più divisivo dentro e fuori dai propri confini. Ben vengano dunque coloro che, pur all’insegna di un certo movimentismo corsaro, tuttavia richiamano alla realtà chi si è chiuso dentro il fortino democratico. Un ossimoro che non può reggere a lungo.
Franco Monaco