Importanza del dibattito, del dialogo e della ricerca nella Chiesa. Il concilio mette in rilievo il “sensus fidei” dei battezzati, la loro intelligenza spirituale, il loro senso della chiesa. I rinnovamenti della chiesa scaturiscono normalmente dalla creatività di una parte della comunità ecclesiale. L’assenza di dibattito distrugge la creatività. Commemorare il concilio è soprattutto metterlo in pratica.
di Jean Rigal
in “La Croix” del 14 gennaio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org )
Il problema emerge da ogni lato. Attraversa tutte le istituzioni: professionali, politiche, sociali, religiose. Nel contesto attuale, che si vuole democratico, il dibattito fa parte della vita quotidiana. I media lo ricordano a modo loro. Non ci si meraviglierà pertanto che dei cristiani – cattolici in questo caso – facciano ascoltare pubblicamente le loro richieste, così come è avvenuto recentemente in Germania, in Austria, e attualmente in Francia. Questi cristiani alzano maggiormente la loro voce dato che hanno la percezione di non essere ascoltati. Ritengono che il centralismo romano soffochi la possibilità di espressione e la creatività delle Chiese locali.
Nel momento in cui commemoriamo il 50° anniversario dell’apertura del Vaticano II, è estremamente interessante prestare attenzione a quello che dice il Concilio a questo proposito. Certamente non vi si trova la parola “dibattito”, ma vi si riscontrano delle insistenze in relazione alle esigenze di dialogo e di ricerca nella Chiesa. Ci si trova all’opposto dell’antico dualismo “Chiesa docente e Chiesa discente”. Applicata alla chiesa, la nozione di “Popolo di Dio” non mette più l’accento sull’idea di “società diseguale”, così pregnante durante il XIX secolo, ma sull’uguaglianza fondamentale dei battezzati “quanto alla dignità e all’attività comune” (Lumen Gentium, n. 32).
Il Concilio mette in rilievo il “senso della fede” dei battezzati (il “sensus fidei” in latino), una nozione un tempo utilizzata dai Padri della Chiesa ma per lungo tempo dimenticata. Questa espressione designa una sorta di intelligenza spirituale, di istinto cristiano, di senso della chiesa (secondo il concilio di Trento) che si basano sulla vocazione battesimale e appartengono alla identità cristiana. “Il senso della fede” è una idea profondamente tradizionale e non una richiesta democratica, vale a dire sospetta, sorta tardivamente dalla modernità. Il Concilio precisa che “il senso della fede” non si esercita mai isolatamente ma nella comunione della Chiesa, e grazie allo Spirito Santo.
Questa nozione – evocata a più riprese dal Vaticano II – presenta necessariamente delle difficoltà di applicazione. Dal lato del popolo cristiano, esiste il rischio di rimanere ad uno sguardo troppo locale e troppo parziale delle questioni. Dal lato del magistero episcopale, soprattutto romano, di ricondurre il ruolo dei fedeli ad una pura sottomissione. Grande è la tentazione per l’autorità di vedere l’applicazione del “senso della fede” solo in un movimento discendente. Questo movimento a senso unico è oggi difficilmente sopportabile. Detto in altri termini, commemorare il Concilio Vaticano II non è solo conoscere il suo insegnamento – il che è lontano dall’essere acquisito – , è anche e prioritariamente metterlo in pratica. Una Chiesa in cui la parola è confiscata potrà ancora essere percepita come una chiesa di Pentecoste per il mondo dei nostri giorni?
Questi elementi dottrinali sono rafforzati da ciò che ci insegnano la storia e la sociologia. Per un verso, i rinnovamenti della Chiesa partono meno, salvo eccezioni, dalle istanze della gerarchia, spesso portata alla prudenza, rispetto alla creatività di una parte della comunità ecclesiale. Gli appelli del popolo cristiano, soprattutto se si prolungano nel tempo, sono portatori di una dimensione spirituale e profetica di cui generalmente solo successivamente si percepisce la fondatezza. Per altro verso, è risaputo che l’assenza di dibattito uccide la creatività. Infine, anche se al momento soffocate, alcune questioni non tarderanno a rinascere di nuovo. E si comprende facilmente che i nostri contemporanei, sottoposti al confronto con una estrema varietà di opinioni, e gelosi della loro libertà, accettano sempre meno prescrizioni alle quali non aderiscano interiormente.
A proposito del Vaticano II, il papa Giovanni Paolo II dichiarava “che è una bussola affidabile per orientarci sul cammino del secolo che inizia”. “Liberare la parola” è appunto una delle richieste del Concilio.