Riceviamo dal nostro amico e volentieri pubblichiamo, pur ritenendo, certo, legittimi, ma eccessivi, i giudizi negativi sia sul profilo del quotidiano “Il Foglio” sia, soprattutto, sulla politica della Francia (il titolo è redazionale)
Claudio Cerasa, direttore del Foglio, è una persona intelligente. Quando vuole. Succede tuttavia che, più spesso di quanto possa sembrare, le persone intelligenti, una volta troppo sicure di sé, diventino proprio per questo precipitose. Facendo emergere contraddizioni e confusioni.
Gli attacchi alla nostra Costituzione “sovietica” e il liberismo austriaco
Quando si è trattato di parlare male della politica italiana, delle istituzioni, della società ,dei partiti, della classe dirigente, nonché della nostra “Costituzione… leninista” e della “Teologia della liberazione” di Bergoglio, il Foglio non si è mai tirato indietro. Guardandosi sempre bene dal criticare la parte politica e il c.d. liberalismo centrista e moderato evocato da chi lo finanzia: nella dialettica politica e mass mediatica non è uno scandalo, intendiamoci, basti però esserne consapevoli.
Così come, attraverso gli editoriali del professore Dino Cofrancesco, in perfetta sintonia con quelli di Giuliano Ferrara, Angelo Panebianco e Piero Ostellino – quest’ultimo con i suoi pietosi strali contro il Papa “marxista” e in buona compagnia dei teo-con Usa che hanno votato Trump -, il Foglio non ha mai lesinato attacchi alla prima parte della nostra Costituzione… sovietica, giacobina e illiberale. Tutto ciò a salvaguardia, pensate un poco, della libertà, della proprietà privata e dell’iniziativa privata che, a ben vedere, e tranne qualche traccia di populismo comunista, nessuno in Italia ha mai messo in discussione. Ad iniziare dai c.d. “cattocomunisti”, che il primo direttore del Foglio, una volta trasformato in ateo devoto, non ha mai tollerato. E tutto ciò con un fine apparentemente alto: quello di difendere acriticamente quel liberismo alla von Mises e von Hayek che ha tanto eccitato e continua ad eccitare la mente di alcuni intellettuali e studiosi italiani, e a cui attinge il suo editorialista Cofrancesco che considera da tempo la Costituzione italiana “la più brutta del mondo”! Si tratta di quel liberismo viennese che predica il non intervento dello Sato in economia. Che non ne vuole sapere del Welfare, e forse dello stesso suffragio universale. Che non digerisce i diritti sociali, in particolare quelli delle donne. Che vive con l’incubo dei totalitarismi e con l’elogio della società aperta. E che reclama la totale libertà dell’individuo nell’economia di mercato, nel fare e disfare quello che solo a lui pare e piace, senza tener conto dei dettami costituzionali che sono da cambiare al più presto.
Insomma, come fa capire Cofrancesco attaccando Valerio Onida e Giorgio La Pira, anche in Italia è arrivato il momento di creare questo liberismo senza il “carico di prepotenza e di intolleranza insito nel martellante richiamo allo spirito dei Padri costituenti” a cui continuamente si ispirano gli intellettuali italiani “gramscianamente egemoni nelle scuole , nei giornali e nelle tv”. Boh ! Dove mai saranno nell’anno del Signore 2017 questi intellettuali, in quali scuole, giornali e Tv, bisognerebbe chiederlo solo a lui. Cofrancesco così scrivendo si rivolge evidentemente al “popolo moderato” che, ammesso che esista come categoria esplicativa della scienza politica, è nel frattempo diventato un popolo intemperante e sbandato. Pauroso. Senza un domani certo: suo, di figli e nipoti. Un popolo, forse, con nuovi bisogni e di nuove povertà silenziose. E nel mentre auspica uno Stato non solo minimo ma assente, difende nello stesso tempo l’individualismo come unica chiave di indagine sociologica. E i diritti sociali, la giustizia, le eguaglianze, la solidarietà? E quei legami sociali senza cui l’individuo non può esistere? Ma sì… forse andrebbero bene per i poverissimi e per chi non riesce a vivere da eremita. Ma non per nobilitare la dignità della persona integrale nei suoi diritti umani fondamentali e nel suo essere persona in relazione. Si tratta in fondo di fare sviluppare e crescere meglio il libero mercato in piena autonomia. Senza mai curarsi, o avere qualche dubbio sul ruolo dei poteri forti finanziari che oggi lo controllano attraverso le banche, e che condizionano l’intera società globale. Alla fine, una spiegazione del liberismo che prende a modello l’anarchia della api della favola di Mandeville, molto conosciuta e citata da Giuliano Ferrara. E non solo da lui. Che tra l’altro ha convinto la Thatcher e Reagan, e ora sta convincendo Trump con la sua nevrosi liberista contro l’Obamacare per affondarlo, e così aiutare le tante società di assicurazioni amiche.
La tesi di Cerasa
Nell’editoriale di venerdì 28 luglio Cerasa si spinge però oltre. Sino a delegittimare quel poco, o tanto, di capacità e di eccellenze manageriali ancora presenti in Italia. Prendendo spunto dal caso Fincantieri-Stx il suo intento è stato quello di spiegarci “ Perché la Francia diffida dell’Italia” . Com’è abbastanza noto lo Stato francese ha fatto un grosso passo indietro rispetto agli accordi precedenti, “per esercitare il diritto di prelazione… da non chiamare nazionalizzazione” – ha chiarito Macron – su una delle più potenti società di costruzioni navali, che rischiava di passare sotto il controllo italiano.
Ma perché la Francia ha fatto questo? Semplice, dice Cerasa: perché non ha fiducia dello stato italiano nella amministrazione delle sue aziende in quanto incapace. Domanda: ma allora perché i liberisti nostrani, nel mentre criticano l’intervento statale a tutto campo, non si scandalizzano e non dicono poi niente sull’intervento dello stato francese sull’industria cantieristica? Semplice: perché i francesi non sono convinti del “modo in cui l’Italia gestisce alcune sue aziende pubbliche attraverso la politica”. Una Italia sfiduciata e cialtrona dunque. Composta da manager e tecnici incapaci, e da politici incapaci. Ed è qui che Cerasa diventa precipitoso, mettendo addirittura in gioco la credibilità internazionale del nostro Paese. Ma facendo nello stesso tempo una grande confusione tra un dato costante e perenne della cultura storico-politica francese, che riguarda la “grandeur” nazionalista – da lui ricordata velocemente e presente anche nelle convinzioni di quel Macron senza partito – e che mette sullo sfondo pur di parlare male della classe dirigente italiana senza cui, ricordo, non avremmo per esempio mai avuto il miracolo economico del secondo dopoguerra. Confonde dunque la mai sopita voglia di primeggiare della Francia in un’Europa in crisi di identità e legami comunitari, con l’incapacità italiana di controllare cantieri navali. E dimentica la voglia di protagonismo internazionale della Francia, caso mai d’accordo con la Germania, perseguita da sempre dalla destra e dalla sinistra di quel Paese, mettendo in un unico calderone l’orgoglio del ripensamento francese con la poca affidabilità della classe dirigente italiana. Così facendo delegittima non solo tutto il management italiano e tutta la classe politica italiana, ma anche la classe operaia, e quel che rimane della classe media: la Francia diffida dell’Italia perché diffida dello stato azionista italiano. Non c’è male. Ora, sia chiaro: che in Italia ci siano motivi di serie preoccupazioni ce lo dice, ahimè ,la nostra storia patria da Cavour sino a Tangentopoli. Quello che tuttavia manca è la mania di grandezza della Francia e le malefatte della classe dirigente francese, che ci sono state e ci sono ancora. Nonché la rimozione dei principi liberisti tanto difesi dal Foglio.
Prime conclusioni
Le regole del ballottaggio sono, ahimè, regole. Ma dopo le elezioni in Francia con un Presidente eletto al secondo turno solo dal 27% dei francesi aventi diritto al voto (65% di voti del 42% di votanti, e con un astensione del 58%), dopo tutti gli elogi al suo non partito centrista, dopo il requiem al vecchio partito politico e alla consacrazione del leader in diretto rapporto con l’elettorato, come previsto da Bernard Manin, ebbene in Italia gli osanna a Macron non si sono contati. Sia a destra quanto a sinistra. Al solito basandosi sui numeri e rimuovendo l’antropologia, la cultura e le convinzioni profonde del popolo francese, e forse la stessa democrazia rappresentativa in onore di quella governante. Dimenticandosi anche della sua estrazione sociale, delle sue buone competenze in materia di economia neoliberista, dei suoi interessi materiali e di quelli del suo giro, e del suo percorso formativo e culturale concluso, com’è noto, in quella scuola superiore per classe dirigente ENA, dove il mito della Francia innanzitutto è vivo e vegeto. E si tramanda da professore a professore, da alunno ad alunno, con tutte le confusioni dei nostri direttori, pronti a delegittimare quei pochi e bravi manager pubblici italiani che ancora abbiamo e che dobbiamo tenerci cari: Allons enfant.
Nino Labate
4 Agosto 2017 at 11:31
su un punto specifico, vedi:
http://www.firstonline.info/Blog/filippo-cavazzuti/fincantieri-lincertezza-sui-futuri-governi-italiani-gioca-a-favore-di-macron/OV8yMDE3LTA3LTMxX0ZPTHwzMTQ