Antonio Conte, coordinatore per la Puglia di Agire Politicamente e nsegnante di Geografia generale ed economica in un Istituto Tecnico di Martina Franca, in provincia di Taranro, ci ha inviato questa sua riflessione sul drammatico caso dell’Ilva.
Le vicende che vedono al centro della cronaca locale e nazionale l’Ilva di Taranto, di questa estate e di questi giorni ancora, ci chiamano a fare alcune considerazioni. I blocchi stradali, la salita ai piani alti delle ciminiere dei dipendenti del IV centro siderurgico, sono da comprendere, per i sentimenti di ansia, preoccupazione e persino rabbia, successive all’ordinanza del Tribunale di Taranto che ferma la produzione dell’area a caldo. Ma il provvedimento della magistratura è conseguenziale a indagini svolte nell’arco di tre anni, che consistono in prelievi, campionamenti, monitoraggi sui fumi, sulla qualità dell’aria e studi epidemiologici sulla popolazione.
Questo richiama alla mente una vecchia questione: è possibile coniugare sviluppo economico industriale e tutela della salute e dell’ambiente naturale? Ormai da oltre vent’anni è un interrogativo stringente. Si moltiplicano sempre di più conferenze mondiali sul clima, sulla riduzione degli inquinanti gassosi prodotti dalla società tecnologica e industriale, sulla conservazione della biodiversità, sull’uso di fonti energetiche alternative, pulite e rinnovabili. La conoscenza di questa problematica, è da tempo programma basilare disciplinare nelle scuole di ogni ordine e grado e obiettivo educativo-formativo di ogni singola unità scolastica. I cambiamenti climatici sono ormai da più di un ventennio in atto e lo si nota ogni anno sempre di più. Ancora due mesi fa la NASA, ente spaziale americano, ha reso noto uno studio che conferma inconfutabilmente l’innalzamento della temperatura sulla Terra a causa dell’intensificarsi delle emissioni dei cosiddetti gas serra nell’atmosfera.
Sulle carte tematiche dell’Italia e dell’Europa dei testi scolastici, delle enciclopedie e delle riviste specializzate, l’area di Taranto e provincia, compare sulle tonalità a tinte forti, indicanti il grado di inquinanti presenti e rilevati, al pari, se non superiore per certe sostanze, delle aree più industrializzate d’Europa (Ruhr in Germania, Midland inglesi, Slesia in Polonia, bacino del Donetsk in Ucraina-Russia). Taranto è presente anche nella mappatura delle aree ad alto rischio sanitario ed è oggetto di diversi studi a carattere epidemiologico. Lo confermano anche i dati forniti qualche mese fa e quelli comunicati recentemente dello “studio Sentieri” dal ministro della salute Balduzzi, che indicano l’incidenza di oltre il 30% dei tumori, rispetto ai casi del territorio nazionale.
Eppure ciò nonostante Taranto è stata dimenticata e gli anni sono fuggiti: nessun piano efficace di tutela dell’ambiente, della salute degli operai e della popolazione è stato attuato, dentro e fuori della fabbrica. Dal 1995 ad oggi ci sono stati sequestri; ordinanze ingiuntive del Sindaco di Taranto; leggi della Regione Puglia, restrittive sui livelli di emissione di sostanze nocive come la diossina; e periodiche relazioni ambientali dell’Arpa. Il fatto è che tutte queste ingiunzioni, seguite da buoni intenti da parte dell’Azienda, non hanno portato miglioramenti. “Gli interventi attuali proposti dall’Ilva erano gli stessi presenti in due atti di intesa con la Regione Puglia, i comuni di Taranto e Statte e le organizzazioni sindacali, nel gennaio 2003 e nel febbraio 2004. Il giudice delle indagini preliminari ricorda oggi che quelle batterie della cokeria furono sequestrate dalla magistratura “e i loro adeguamenti sarebbero dovuti essere già stati eseguiti”(da La Stampa del 27 settembre).
Anche l’hinterland, costituito dai Comuni situati a circa 10 Km di raggio dal siderurgico, Statte, Crispiano, Montemesola e Massafra (dichiarati con Taranto zone interessate da dissesto ambientale), ha continuato ad essere interessato da aria maleodorante ferroso, fumi, diossina e polveri sottili nere che vengono giù con le piogge. Nei primi giorni di ottobre scorso, con il caldo afoso eccezionale, a Crispiano l’aria era irrespirabile: lo scirocco porta l’inquinamento dal siderurgico. Guardando dal treno delle ferrovie Sud-Est lo stabilimento, mentre sopraggiunge al quartiere Tamburi e alla stazione Galeso, nella metà di settembre scorso, dalla più alta ciminiera, quella in colore azzurro dell’Agglomerazione, usciva fumo di colore grigio-violaceo e si è avuta la netta sensazione di respirare aria velenosa!
In tutto questo l’azione politica non è stata attenta, né audace nel pensare in maniera lungimirante un assetto produttivo diverso e sostenibile. Mentre la società civile, le associazioni ambientaliste, le scuole, medici e famiglie hanno da tempo denunciato i danni, individuato le cause e svolto manifestazioni pubbliche per richiamare l’attenzione sul problema.
Non è più possibile che si continui a pagare un prezzo troppo alto per il lavoro! I danni sono enormi anche per l’itticoltura tarantina e per i lavoratori del settore, come pure in parte risentirà un ammanco l’esportazione dei prodotti agricoli della provincia e il turismo culturale e balneare. L’acciaio deve continuare a prodursi a Taranto, ma adottando tutti i sistemi di sicurezza, con la tecnologia appropriata e con tutte le precauzioni nelle fasi di lavorazione: tutelare la sicurezza e la salute è il primo obiettivo. I cumuli di minerale devono ridursi di volume per essere coperti da strutture rigide, come prevede il progetto di copertura del carbone della Centrale Enel “Federico II” di Brindisi. Come ha sostenuto il ministro Balduzzi, all’indomani della sua visita, Taranto deve costituire un problema della nazione e quindi bisognerà varare una legge apposita dello Stato, che garantisca un futuro produttivo dell’industria e che nessun posto di lavoro venga a mancare.
Le opportunità di uno sviluppo sostenibile per Taranto sono diverse. Bisogna prendere esempio da analoghe situazioni nel mondo. “Dal degrado ambientale e dall’inquinamento, si è passati allo sviluppo e al benessere delle popolazioni”. Lo ha ribadito il prof. Luigi Fusco Girard, ordinario di Economia del Territorio presso l’Università Federico II di Napoli , in un recente convegno del MEIC ad Ostuni, illustrando i casi di Hamilton (Canada) e Kawasaki (Giappone), città portuali, dove sulla qualità dell’ambiente hanno creato sviluppo. In questi centri è nata una sinergia tra siderurgico e la città, e non solo (con la medicina, l’urbanistica, l’agricoltura); una dipendenza nella circolarità tra Ambiente-Sviluppo-Benessere: “imprese che hanno realizzando affari con il riciclo di materiali,” (quanti motori elettrici non sono più riparati e giacciono ammassati da qualche parte!?). “La qualità dell’ambiente fa star bene, produce sviluppo”, crea le condizioni favorevoli per la creatività, per la resilienza (il recupero e il riuso degli scarti, dei rottami, di ciò che diventa rifiuto). “L’Università, ponte tra ricerca di eccellenza e operatività sperimentale con la città e il territorio”: Taranto può diventare un polo di ricerca e progettazione per nuove strutture ecocompatibili.
Già nel 1951 Lazzati, nel Parlamento italiano, denunciava la forte importazione di prodotti agricoli dell’Italia, che incide fortemente sul bilancio dello Stato. La Puglia presenta il 36,3 % di terre incolte e abbandonate (dati 2006, “Il sole 24 ore”). Il mare e le spiagge del litorale jonico rappresentano un bene incommensurabile, minacciato dall’abusivismo edilizio e da colate di cemento di porticcioli (vedi Campomarino), che deprimono la presenza turistica invece di accrescerla. Dalla lotta allo spreco, all’abbandono, all’incuria del nostro patrimonio ambientale, storico e culturale si può senz’altro produrre ricchezza e posti di lavoro. Bisogna riconvertire una mentalità, un modello economico incentrato sul consumismo, sul profitto e sul “colonialismo economico”, che vede il sud Italia dipendente, passivo e inattivo nella progettazione e inventiva imprenditoriale. La questione meridionale permane!
Crispiano (TA) 24.11.2012