Fulvio De Giorgi (professore straordinario di Storia della pedagogia e dell’educazione presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) sostiene che, di fronte alla crisi cui è infine giunto il neoliberalismo, stanno riemergendo dalla marginalità due soggetti sociali: la Chiesa e i movimenti politici della sinistra. Ma entrambi appaiono bloccati….
Ecco l’articolo pubblicato sulla rivista “Il Margine” del gennaio 2012 (http://www.il-margine.it/rivista )
Negli ultimi tempi si è sviluppato un dibattito, abbastanza ampio e articolato, sulla “questione cattolica”, cioè sul tema cattolici e politica in Italia: un dibattito indubbiamente reso necessario e quasi direi inevitabile dal cupo tramonto dell’età berlusconiana. Le ipotesi sul futuro che sono via via emerse sono state le più varie. Il Forum di Todi delle Associazioni cattoliche impegnate nel sociale ne ha discusse alcune. Altre sono state vagliate nell’incontro romano del 19-20 novembre delle Associazioni del cattolicesimo democratico (Rosa Bianca, Città dell’Uomo, Agire politicamente, Argomenti 2000 e altre realtà di base). Molto opportunamente, in queste discussioni, si richiama la storia: si sa, historia magistra vitae…Anche se, spesso, la storia insegna… ma non ha scolari! E del resto bisogna mettersi d’accordo sul senso dei vari richiami storici evocati (dalla DC ai Comitati Civici, dal Patto Gentiloni a Sturzo): la storia, infatti, rischia di essere vista o come una specie di soffitta dei nonni, da cui, in regime di ristrettezze, prendere qualche vecchio mobile per riaccomodarlo o come uno sfasciamacchine da cui recuperare qualche auto non troppo ammaccata da rimettere in pista.
Insomma operazioni di risulta, per riciclati e riciclanti, con un ‘nuovismo’ da rigattieri e da stenterelli. Le lezioni della storia possono essere, in realtà, di miglior conio: ma si tratta, allora, non di rivolgersi al supermarket del passato, bensì di guardare al presente con un occhio al futuro. Leggere i problemi di oggi, conoscendone però origini e sviluppi storici: proprio per individuare le risposte nuove, in questo momento più adeguate, e comunque per non ripetere gli errori del passato. Vorrei allora accennare, inserendo il caso italiano in più vasti orizzonti, a quello che mi pare un paralizzante incrociarsi di due pervicaci resistenze, che la storia del Novecento consegna a questo avvio del XXI secolo: mi pare infatti necessario congedarsi, anzi liberarsi, da questi freni
automatici, ma ormai storicamente immotivati, che continuano a bloccare una situazione che chiamerei di “civiltà”.
Il trionfo mondiale del neoliberalismo, dopo la fine del comunismo nell’Europa orientale, e la conseguente svolta di civiltà, caratterizzata da una globalizzazione deregolata e da un nichilismo post-moderno, stanno in questo momento chiudendo il loro ciclo storico, bruciati dalla crisi prima finanziaria e poi anche economica mondiale (e in fondo il berlusconismo non è stato che la versione italiana, con caratteri specifici di populismo, di questa svolta neoliberale mondiale). Non è un caso che i principali soggetti collettivi che hanno sofferto una ‘marginalità valoriale’, durante questa egemonia di una civiltà individualista e anti-solidale, sembrano oggi riemergere: mi riferisco, da una parte, alla Chiesa cattolica e, dall’altra, ai movimenti politico-sociali della sinistra. Eppure ciascuno di questi soggetti sembra bloccato, nelle sue potenzialità di incisività storica, da resistenze psicologiche e culturali che, come ho detto, vengono dal passato, ma che ormai non si giustificano più: e si tratta di due resistenze ‘incrociate’.
Da una parte, la Chiesa cattolica giunge da un lungo Kulturkampf contro il totalitarismo comunista: un corpo a corpo drammatico che ha impegnato tante energie spirituali e istituzionali. La civiltà contemporanea non può non essere grata alla Chiesa cattolica per questo impegno, coerente fino al martirio: anche se la memoria è corta e perfino in Polonia molti non se ricordano più. Fin dal 1991 Giovanni Paolo II aveva intravisto peraltro i rischi del post-comunismo, con grande lucidità (Centesimus annus, n. 42): «La soluzione marxista è fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione e di sfruttamento, specialmente nel terzo mondo, nonché fenomeni di alienazione umana, specialmente nei paesi più avanzati, contro i quali si leva con fermezza la voce della Chiesa. Tante moltitudini vivono tuttora in condizioni di grande miseria materiale e morale. … C’è anzi il rischio che si diffonda un’ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di prenderli in considerazione, ritenendo a priori condannato all’insuccesso ogni tentativo di affrontarli, e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato».
La Chiesa doveva e dovrebbe, dunque, prestare la propria voce a queste moltitudini mondiali, rimaste senza voce dopo il crollo del marxismo (per quanto distorta fosse stata tale voce): dovrebbe riempire il vuoto. Senza integralismi e sogni di egemonie confessionali, senza fare politica di partito, nello spirito di laicità indicato dal Concilio Vaticano II, dovrebbe educare coscienze adulte ai valori della pace, della giustizia sociale e della salvaguardia del creato e far fermentare, dal basso, la società nel senso dell’umanesimo plenario e della condivisione. Non sempre questo è stato fatto e si fa, perché una persistente resistenza residuale dell’anti-comunismo fa da freno: ma così si rischia di rendere improduttivo il buon seme evangelico e marginalizzare lo stesso insegnamento sociale del magistero. E del resto, sullo sfondo di civiltà che stiamo vivendo, il posto dei cristiani laici non può che essere a sinistra, per rivendicare una più profonda uguaglianza (fermi restando l’uguaglianza giuridica e politica e l’impegno a ridurre le disuguaglianze sociali): l’uguaglianza in dignità della persona umana. In questo senso il mio pensiero è l’esatto opposto di quello di Galli della Loggia che vede i cattolici oggettivamente collocati a destra. Si tratta proprio del contrario e non per integralismo, bensì per discernimento laico alla luce dei valori evangelici.
Ma anche i movimenti della sinistra (che, nei paesi non anglosassoni, vengono dalla storia del socialismo marxista, pur variamente evolutosi in differenti tendenze, anche molto diverse) devono superare i loro blocchi. La globalizzazione neoliberale non solo si è giovata del crollo dei comunismi, ma ha anche segnato lo scacco delle socialdemocrazie ex-marxiste e neokeynesiane. Vi è stata così una deriva radical-liberale delle sinistre, che hanno subito l’egemonia dell’avversario. I valori della solidarietà non hanno retto, perché non più sostenuti da un orizzonte forte di trascendimento del sistema sociale dato: il millenarismo profano delle vecchie sinistre è tramontato e un empirismo di corto respiro e di pensiero debole ha preso il suo posto. Questo è accaduto e accade ancora, inibendo, in via preventiva, le condizioni stesse di pensabilità di veri progetti innovativi di sinistra, per un blocco psicologico e culturale che frena le sinistre dall’acquisire un orizzonte religioso: cioè un investimento di senso e di valore che trascenda il sistema sociale dato.
Ma così non si ha solo l’impotenza, si ha la fine della ‘ragione sociale’ della sinistra (come l’ultimo Berlinguer aveva intuito). Non basta andare verso una laicità (imprescindibile!) amica della religione o rendere i credenti protagonisti a pieno titolo dei movimenti di sinistra: ciò già si fa. Si tratta piuttosto di far acquisire a tutta la sinistra un profilo, ovviamente non confessionale o teocratico, ma tuttavia religioso. Non tutti, nei movimenti di sinistra, sono donne, ma un profilo ‘femminista’ è ormai imprescindibile per tutta la sinistra. Non tutti sono sindacalisti, ma l’appoggio al mondo del lavoro organizzato è patrimonio di tutta la sinistra. Così pure non tutti sono fedeli o praticanti di culti religiosi, ma tutti, tra loro diversamente credenti («qualsiasi specie di credente» come dice Arrigo Levi), dovrebbero sentire come proprio il profilo religioso della sinistra in quanto tale. Riusciremo, dunque, a eliminare ostruzioni e incrostazioni, ereditate dal Novecento, per avviare la civiltà dell’umanesimo plenario del XXI secolo?