Appunti dal Convegno dei Cristiano sociali
di Giampiero Forcesi
Arrivo tardi a un incontro dei Cristiano sociali organizzato a due passi da Montecitorio all’indomani del voto sulla riforma elettorale e dell’aspra contrapposizione della minoranza del Pd al suo segretario. Tema: “La radicalità cristiana interroga la sinistra”. Al tavolo vedo Mimmo Lucà, già parlamentare Pd e coordinatore dei Cristiano sociali, ed Emilio Gabaglio, già dirigente della Cisl. Ha appena finito di parlare Claudio Sardo, fino all’anno scorso direttore dell’Unità, un passato a Paese Sera e al settimanale delle Acli, Azione sociale. E’ lui che ha tenuto la relazione introduttiva. Chiede la parola Stefano Fassina. Si scusa; dice che non sarebbe il suo turno, ma deve poi andare in aula per votare. Noi di sinistra – lo sento dire fin dalle prime battute – dobbiamo assolutamente essere attenti alla Chiesa. E’ necessario, dice Fassina, che la politica torni a frequentare la riflessione che ci viene dalla Caritas in veritate di Ratzinger e dalla Evangelii gaudium di Francesco. Fassina è colpito dal divario che c’è tra la radicalità di questi documenti e il riformismo subalterno e senza prospettive della politica. Già anni fa Fassina aveva ammirato l’analisi che Ratzinger, nella Caritas in veritate, aveva fatto della crisi antropologica che contrassegna questa fase storica. E oggi il deputato della sinistra Pd ci torna sopra. E’ la dimensione della persona che oggi è messa in crisi, dice. Si è affermata l’idea individualistica che il solo obiettivo sia la massimizzazione di quanto ci è utile. Con l’altro si scambia solo nella dimensione del mercato. Non siamo soltanto dentro una crisi – insiste -, ma in un passaggio di fase: questo assetto del capitalismo porta inevitabilmente all’immiserimento della persona, nel lavoro e in tutti i campi. Oggi la politica è diventata ancella dell’economia, e contribuisce a determinare l’impoverimento delle persone.
Di fronte a questa situazione, prosegue Fassina (e in lui non è facile capire se prevalga lo sconforto o il desiderio di battersi), ci sono due possibilità. La prima è quella di arrendersi. Rassegnarsi. E dirsi che la seconda metà del Novecento è stato un bel periodo, ma irripetibile. Il Trentennio glorioso è stata un’eccezione. E, allora, si ritiene impossibile correggere questa rotta, che svuota la democrazia e che crea disoccupazione. Quel che solo si può fare è smussare gli angoli. E questo, allora, è il solo cambiamento possibile, un cambiamento senza aggettivi. Il cambiamento inteso come adattamento. Poi c’è la seconda possibilità. C’è chi non si rassegna. Chi vuole stare nella storia e cambiare il corso delle cose. Chi cerca un cambiamento progressivo. Ma certo – afferma Fassina -, è difficile anche solo articolare questo discorso, visto il clima da pensiero unico in cui siamo immersi. Fassina torna al confronto con la Chiesa. Dice: oggi la sinistra è molto più indietro della radicalità cristiana. E’ una sinistra piegata a un riformismo debole. Poi fa una considerazione interessante: i due soli partiti di sinistra che oggi possono vincere in Europa sono Syriza e Podemos, e sono entrambi nati fuori dalla tradizione socialdemocratica. E questo, esclama, non è un caso. E dunque, se la tradizione socialdemocratica è così in crisi, c’è allora un lavoro molto impegnativo da fare, dice Fassina, se vogliamo sopravvivere a livello politico. Usa proprio la parola sopravvivere. E Fassina viene ora al suo giudizio sul Pd: temo, dice, che il Pd, in assenza di una destra che rappresenti l’establishment, si stia dirigendo lui stesso a svolgere questa funzione. Poi ripete la sua critica all’euro, che oggi è diventato, dice, uno dei fattori che sta portando alla crisi della democrazia. La politica monetaria, sostiene, oggi è affidata a un board che non ha base democratica. E ribadisce la sua convinzione che bisogna tornare a discutere sul ruolo che dove tornare ad avere lo Stato. Fassina critica anche l’ossessione della governabilità. Dice che la capacità di governo non deriva dalla governabilità, come dimostra l’incapacità di fare riforme nella Francia presidenzialista. E critica le terze vie inseguite negli ultimi decenni, e ancora oggi, da una certa sinistra: la terza via, dice, è stata una versione soft del paradigma liberista, e ha reso subalterna la sinistra. E qui sta, dice, la radice dell’antipolitica: nella debolezza stessa della politica, nel ruolo quasi nullo che la politica dimostra di poter svolgere.
E, infine, Fassina sembra rivolgersi ai cattolici del Pd. Dice: dalla dottrina sociale della Chiesa viene una sollecitazione straordinaria alla politica, e però essa non sembra suscitare attenzione da parte del Pd, e neppure da quanti nel Pd vengono dal mondo cattolico. Io, dice, mi sarei aspettato da loro una maggiore capacità di portare nel discorso politico, almeno nel discorso, i temi radicali della dottrina sociale della Chiesa.
Poco dopo è la volta di Rosy Bindi. Appare stanca. Inizia dicendo “vi comunico uno stato d’animo”. Il suo è uno sfogo. Ma ragionato. Per essere coerenti con la radicalità cristiana, dice, si deve essere coerenti con la sinistra. Sono due fedeltà. Oggi, dice, un partito di sinistra governa il Paese, e a presiedere il governo c’è uno scout: noi non dovremo avere problemi, invece … Invece siamo costretti a stare all’opposizione di noi stessi. Mi chiedo – dice – che cosa possiamo fare. Con certe scelte che stiamo compiendo come Pd – sul lavoro, sulla corruzione, sul fisco, sulle riforme costituzionali – mi trovo di fronte a un cambiamento che smentisce i valori che mi hanno sempre guidato. La Bindi ricorda il referendum del 2006 contro le riforme costituzionali volute da Berlusconi. Quella dice fu una battaglia della sinistra cattolica. Oggi la sinistra cattolica che cosa è? I nostri obiettivi sono stati l’estensione della democrazia, la centralità della questione sociale, del lavoro, dell’eguaglianza. Forse, dice, siamo stati un po’ in ritardo di fronte a certe spinte liberali… Ma questi sono i nostri riferimenti. Ma allora, oggi? Allora – dice la Bindi, abbassando il tono della voce – forse oggi dobbiamo farci da parte… E questo – aggiunge, con un filo di voce – avverrà presto.
Poi, però, riprende vigore. Di fronte alla domanda su come la radicalità cristiana interroga la politica di sinistra, dice, la mia risposta è che non posso fare altro che mettermi all’opposizione di quello che sta facendo il mio partito. Non ho votato, ricorda, lo Sblocca Italia, con le sue deroghe per le grandi opere, e non posso votare un decreto fiscale che prevede di non perseguire penalmente il reato di evasione fiscale. Però – ammette, ma con sconcerto – ci sono autorevoli esponenti politici che vengono dalla nostra storia e che dicono che non c’è altra strada… La Bindi lascia in sospeso questa annotazione. Poi aggiunge: una legge elettorale che fa spazio a una sorta di partito unico indica un arretramento terribile. Rinasce la Dc? Forse, ma rinasce con i suoi vizi. Se rinascesse con le sue virtù, dice, allora sì, ci starei. Poi il suo pensiero va ai vent’anni passati. Vent’anni in cui le offese di Berlusconi alla sinistra cattolica, dice, sono state coperte dalla chiesa italiana. Noi abbiamo resistito. E non mi va – esclama – di soccombere adesso. Quello che vorrei sapere – aggiunge, riprendendo forza – è come organizzare l’opposizione al nostro partito. Qui sta il punto. E, quasi per dare la giustificazione più solida a questo bisogno di opposizione (di opposizione al proprio stesso partito), la Bindi osserva: oggi si sta arrivando ad una povertà insostenibile, e non basta certo a combatterla la leva fiscale. E conclude aggiungendo un’altra ragione alla necessità di opposizione: in un Paese, dice, in cui manca l’opposizione, allora, anche solo per questo, vale davvero la pena di farla, l’opposizione.