Luci e ombre del renzismo

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Su un punto è facile essere d’accordo: Renzi ha occupato e occupa il centro della scena, egli rappresenta un elemento di novità nel panorama politico italiano, la sua leadership e la sua azione di governo dividono l’opinione pubblica, e segnatamente quella di sinistra, tra estimatori e detrattori. Più difficile invece decifrare la cifra ideologica che meglio lo definisce. Per due ragioni: perché egli guida la principale forza della sinistra italiana ma dà l’impressione di innovare e persino di sovvertire taluni suoi paradigmi e il suo tradizionale legame con le organizzazioni sindacali; e perché egli alterna ricette di destra, di centro e di sinistra, con il dichiarato proposito di occupare l’area centrale del sistema politico, in coerenza con quella controversa autodefinizione del PD quale “partito della nazione”. Una sorta di ossimoro.

Per quel che mi riguarda, nei confronti del fenomeno Renzi, dapprima ho nutrito un aperto scetticismo, poi gli ho fatto un’apertura di credito, ora nutro un sentimento misto e irrisolto, nel quale tuttavia riaffiorano e si rafforzano le originarie riserve critiche.
La cifra dominante, ancorché non esclusiva e non univoca, della sua politica mi pare liberal-riformista. La parola chiave è innovazione, tanto che egli fa spesso ricorso a una discutibile equivalenza: sinistra sarebbe cambiamento, destra conservazione. Non c’è bisogno di evocare Bobbio, ma basta il senso comune per argomentare che si tratta di un artificio retorico: tutto dipende dal senso e dalla direzione del cambiamento piuttosto che della conservazione. Sinistra è semmai tensione all’uguaglianza e alla partecipazione, nella libertà. E tuttavia, anche io, che pure mi considero un cristiano-sociale, che apprezza ma non si contenta del paradigma liberale, non ho difficoltà a riconoscere tre cose: 1) è sbagliato inscrivere il riformismo liberal sotto le insegne della destra; 2) la sinistra deve misurarsi con la sfida del cambiamento e soprattutto con l’esigenza di trascendere gli angusti confini del suo tradizionale insediamento sociale; 3) se è ingiusto bollare come fallimentare tutta intera la vicenda della sinistra (la stagione dell’Ulivo rappresentò un avanzamento politico-culturale, non privo di risultati di governo), è tuttavia indubbio che fosse necessario uno scatto nella sua cultura politica e nel suo logoro gruppo dirigente.
Del resto, chi, pur di sinistra, si professa sincero europeista, non può ignorare che la sacrosanta battaglia da condurre in Europa al fine di correggerne le ottuse politiche di austerità passa anche attraverso riforme strutturali che oggettivamente entrano in tensione con le tradizionali ricette della sinistra. Se un appunto si può fare a Renzi è quello di indulgere a una certa dissimulazione. Mi spiego con due esempi. Primo: anziché sostenere che il job act estende le tutele (non è così, semplicemente perché le risorse per ammortizzatori universali non ci sono), sarebbe meglio dichiarare onestamente che solo questo “scalpo” di sindacati e sinistra tradizionale può fare breccia nell’establishment europeo cui dobbiamo strappare fiducia. Messo chiaramente così, come rimedio alla condizione critica estrema in cui versa il paese, molte pur fondate obiezioni potrebbero cadere in nome del superiore interesse nazionale. Secondo esempio: il patto del Nazzareno Renzi-Berlusconi fu concepito ragionevolmente come mirato (e circoscritto) alle regole elettorali e costituzionali. Perché tacere che, in corso d’opera, si è intensificato ed esteso in senso politico? Al punto che, al Senato, ove i numeri sono risicati, si vocifera di una pattuglia di FI pronta, alla bisogna, a disertare  l’aula onde preservare il governo. Il prezzo? Una certa reticenza/resistenza su materie sensibili quali la giustizia, l’informazione, il conflitto d’interessi. Un vincolo del quale, se dichiarato con franchezza, ci si potrebbe persino dare una ragione.
Ciò che non mi convince è semmai lo stile della leadership e del governo: intanto, appunto la retorica e la dissimulazione; poi l’appello diretto al popolo, a scavalco delle mediazioni in capo alle rappresentanze sociali, politiche e parlamentari; la riduzione del partito a predellino del leader; la ricerca talvolta sistematica e artificiosa di un avversario di comodo; la polemica corriva con i “professoroni”, quasi che il pensiero critico sia un impiccio per la buona politica; la propensione a circondarsi di yes men ove non sempre la fedeltà si sposa con la qualità e comunque non sortisce una classe dirigente; il malcelato fastidio (questo sì un po’ berlusconiano) verso le regole e le istituzioni preposte al loro rispetto. La tanto vituperata burocrazia non fa sempre e solo ottuso ostruzionismo, essa di norma assicura l’ottemperanza alle regole, di cui pure si nutre una comunità ordinata. Un solo esempio: la ragioneria generale dello Stato non è istituzione dispettosa, ma autorità di controllo del bilancio dello Stato.
Conosco la replica a questi rilievi. Certe forzature sono il prezzo da pagare all’innovazione in un paese incline al conservatorismo. Può darsi. Eppure non riesco a convincermi che quel prezzo sia strettamente necessario. Che per riformare il paese e cavarlo dalla crisi che lo affligge sia d’obbligo un mix di leggerezza e di arroganza, di demagogia e di faccia feroce, di ricette liberali e di comportamenti di segno opposto. Forse, per operare una sintesi politica e per temperare le forzature, sarebbe necessario un partito. Non la vecchia “ditta”, ma certo un soggetto collettivo.
Non il surrogato della Leopolda, il popolo dei seguaci di Renzi, con il PD ridotto a “bad company”.

P.S. Scrivo queste note nel mentre irrompono sulla scena politica due novità di rilievo: la notizia dell’anticipazione delle dimissioni di Napolitano a inizio del nuovo anno e l’accelerazione impressa da Renzi sulla legge elettorale, in due mosse: rinsaldando la maggioranza di governo PD-NCD-UDC-Scelta civica e sfidando un Cavaliere combattuto e recalcitrante a motivo delle divisioni interne a FI. Ancora non è chiara la connessione tra le due novità.  Sono plausibili due opposte interpretazioni-previsioni. Da un lato, le dimissioni di Napolitano, recisamente indisponibile a intestarsi lo scioglimento delle Camera, potrebbe agevolare l’approdo a nuove elezioni, affidate alla decisione di un capo dello Stato  più compiacente con i desiderata del premier. Dall’altro, un Presidente neoeletto avrebbe qualche difficoltà a esordire con una deliberazione grave ed estrema come lo scioglimento. Ma, prima ancora, la tempistica dell’elezione al Quirinale, che taluno si adopererebbe per dilatare a dismisura, e i riti di insediamento del nuovo inquilino, con le esplorazioni parlamentari a seguire, chiuderebbero la finestra di primavera utile a nuove consultazioni politiche. Meglio non avventurarsi in difficili congetture. Troppe e incerte le variabili.

Una sola cosa si può azzardare. Renzi, non a torto, vuole disporre dell’ “arma totale” di una nuova legge elettorale. Non necessariamente per avvalersene a breve, ma per agitarla, così da costringere a miti consigli tutti coloro che ne intralciassero il percorso, governo e riforme. In ispecie, partiti minori, minoranze interne al PD e a  FI. Quest’ultima – penso di non sbagliare –, per non spaccarsi, farà il verso di respingere i diktat renziani sulla legge elettorale, ma certo non potrà permettersi  una opposizione recisa e senza sconti. Sia per le sue divisioni interne, sia perché il Cavaliere è sempre sensibile alla cura per il patrimonio di famiglia, sia perché la prospettiva di elezioni ravvicinate suscita vero terrore da quelle parti. A sua volta, Renzi può dare a credere di potersi rivolgere a un altro forno, quello dei 5 stelle, ma francamente la cosa non è plausibile. A motivo della irrisolta vena “impolitica” di quel movimento, della sua persistente inaffidabilità. Più conveniente, per Renzi, avvalersi della sponda di una opposizione compiacente di una FI debole subalterna.

Franco Monaco

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  1. Caro Franco Monaco, sarebbe stata buona cosa venirci alla Leopolda (che non è il popolo dei seguaci di Renzi – usato in senso dispregiativo), piuttosto che criticare senza conoscere o limitarsi alle ridotte sintesi di giornali faziosi sempre e solo alla ricerca dello scoop (inseguivano solo Serra, Richetti e la Boschi…). Io ci sono stato e con me centinaia, migliaia di persone, molte delle quali hanno sostenuto l’Ulivo (e sono rimasti delusi dalle varie sconfitte generate dal fuoco amico), molti dei quali hanno creduto nella visione/sogno della vocazione maggioritaria del lingotto (il termine partito dell nazione rischia di sviare dall’idea); molti dei quali come me e mia moglie (abbiamo 40 anni) vedono critico il destino proprio e dei propri figli e per loro desiderano qualcosa di meglio di quello che ci avete lasciato da padri. Trovo riduttivo limitare il problema ad uno schieramento (di pancia) Renzi Si vs. Renzi NO in funzione dell’odiosa similitudine che piace a tanti Renzi=Berlusconi e, lasciamelo dire, trovo offensivo ridurci a pecoroni privi di pensiero proprio che pendono dalla bocca del leader solo perchè osiamo sfidare il potere costituito (professoroni, sindacati, ecc.). Mi chiedo: ma tutti quelli che oggi ritengono di avere da spiegare come fare le cose (professoroni) che loro stessi non sono riusciti a fare negli ultimi trent’anni, che credibilità hanno? E il sindacatp (meglio poi i sindacati che non sembrano sulle stesse posizioni) fa azioni a favore dei lavoratori (tutti i lavoratori) oppure si erge a movimento politico dimenticandosi di una serie di categorie? (art. 18 oggi tutela 15 lavoratori su 100). Crediamo nel cambiamento e nella necessità di profonde riforme strutturali, che oggi (e solo oggi), si stanno facendo anche con grandi campagne di ascolto finalmente aperte. Personalmente però ritengo che avremmo bisogno anche di voi, della vostra saggezza, della vostra esperienza, non però del vostro freno a mano tirato.

  2. Certo, sarebbe necessario un partito (oltre magari a un leader ideale con tutte le qualità e senza nessuno dei limiti di Renzi).
    Ma fin tanto che non c’è, che si fa? E’ lodevole l’iniziativa di Barca di girare l’Italia alla ricerca dei “luoghi idea(li)”: ma è un progetto a lungo termine…E’ vero, per il momento questo partito – che non c’è – Renzi lo usa come predellino: ma almeno prova a fare dei cambiamenti, e non credo si possa dire onestamente che sono tutti reazionari!
    E comunque prima il PD era usato come predellino delle correnti, che miravano essenzialmente a occupare delle posizioni, e che cambiamenti non sarebbero state in grado di farne mai, né giusti né sbagliati.
    Salvatore Natoli suggerisce che per valutare un uomo politico, più che guardare se ci piace o meno, è opportuno chiedersi in quale processo si inserisce, per esempio se di consolidamento della democrazia o no. E per rispondere realisticamente a questo interrogativo io credo sia utile anche chiedersi in quali processi si inserirebbero le sue eventuali alternative: Grillo e Salvini, per non parlare del già sperimentato Berlusconi.

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