La pandemia da Coronavirus è, e sarà ricordato in futuro come la tragedia nazionale più grave dal 1945. Una guerra contro un nemico subdolo e difficile da eliminare, un virus. Tante le riflessioni, gli interrogativi, le paure che tutti si stanno ponendo. Un evento così sconvolgente da fare riflettere su come le nostre vite da sempre fragili, questa volta sono state messe a dura prova e come tanti di noi sono stati uccisi da una malattia. Quando finirà non si potrà riprendere come prima, perché questa situazione ci ha segnato per sempre: modello di sviluppi, velocità nella vita, relazioni interpersonali diluite e funzionali solo ad un utile. Insomma, oltre a rimanere a casa, in attesa che tutto si attenui, non basta restare reclusi precauzionalmente, uscire solo per lavoro (con tutte le cautele e le preoccupazioni), fare la spesa e poi rimanere sospesi. Strade vuote, piazze deserte, tutto chiuso. Scenari spettrali inimmaginabili e che neppure in guerra si sono verificati. La malattia ci ha radicalmente messi in una realtà che ci interroga sul senso della vita, il suo limite, la sua fine. Una riflessione molto puntuale e profonda il sociologo Luca Guglielminetti che scrive queste parole: “La comunicazione mediatica ci permette di nasconderci dietro i numeri e il loro anonimato di mantenere un enorme distanza emotiva. I numeri sono astrazioni che ci aggiustiamo alla bisogna per evitare dissonanze cognitive. Detto in modo brutale: non sappiamo nulla dei morti oggi, per non sapere domani, quando eventualmente ci troveremo al triage di un ospedale, che il nostro ricovero in terapia intensiva ha il costo della vita di un altro più anziano e malconcio di noi. Ammesso di non essere noi il sacrificabile… Una verità che richiede veramente una misericordia oltre le nostre umane possibilità. Posta questa verità “troppo evidente”, che senza l’aura letteraria manzoniana mi rendo conto suoni d’angoscia pornografica, resta la responsabilità preventiva della comunicazione, oggi chiamata a ridurre l’impatto della pandemia. Sul sistema sanitario, certo, ma soprattutto sulla coscienza, cioè il Sé più profondo, di chi al triage quelle scelte deve compiere. Quando cioè il verbo ‘decidere’ assume l’origine del suo etimo: tagliare la testa alla vittima, scegliere chi vive e chi muore”…. Considerazioni che ci spingono fino alla interpretazione di qualcosa che ci spinge a pensare che gli uomini e le donne più colpiti sono, storicamente e biologicamente, coloro che sono nati durante l’ultimo conflitto mondiale oppure erano bambini piccoli. Un passaggio davvero particolare che per molti, in modi molto diversi a distanza di 75 anni, li pone in una dimensione di conflitto, bellico il primo e sanitario, contro il virus covid 19, il secondo. I nostri nonni e genitori terminano la loro esistenza in modo repentino e senza un congedo, di questo quanto tutto sarà finito, dovremo fare memoria e provare a riannodare i fili di un rapporto intergenerazionale perché questa è stata per tutti, anche per chi resta, l’ultima guerra.