L’umanesimo planetario tra ideali e contraddizioni del mondo di oggi

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di Salvatore Vento

E’ possibile un agire razionale che non sia solo strumentale e tecnologico, ma capace di accogliere la coscienza ecologica ed etica? In altre parole, è possibile umanizzare la modernità? Queste domande nascono dalla consapevolezza che le crisi globali (pandemie, catastrofe climatiche, guerre), alle quali stiamo assistendo ci rivelano che viviamo in un mondo interdipendente.  Mauro Ceruti e Francesco Bellusci, coerenti col titolo stesso del libro, individuano le strade da intraprendere per rispondere positivamente, al patto però di abbandonare le semplificazioni dominanti a favore di un pensiero delle connessioni e delle relazioni, verso un pensiero della complessità. Non è un caso se il libro precedente di Ceruti (“Il tempo della complessità”) abbia avuto la prefazione di Edgar Morin, che da anni studia questi temi. In cinque brevi capitoli (perdita del futuro, la modernità ritrovata, modernità e planetarietà, dall’umanesimo all’umanesimo planetario, era planetaria al bivio), che si leggono come articoli di un giornale.

Seguiamo il ragionamento proposto.  L’umanesimo planetario è definito come il movimento culturale che porta a rappresentarsi e a riconoscersi nella condizione di membri della “comunità di destino” che lega ormai tutti gli individui e tutti i popoli del pianeta, nonché l’umanità intera all’ecosistema globale e alla Terra. In questo percorso dobbiamo attingere non solo dalle migliori tradizioni occidentali, ma anche di altre culture del mondo. Senza mai dimenticare che il colonialismo, le due guerre mondiali, il genocidio degli ebrei, l’imperialismo nazista, la dittatura stalinista, sono nati proprio nel cuore dell’occidente. Lo spirito ragionevole, flessibile, pluralista degli umanisti rinascimentali, accantonato dal razionalismo seicentesco, reclama la sua attualità.

Oggi nella coscienza degli umanisti planetari, esso si rinforza con lo spirito della complessità e della transdisciplinarità. Avere la coscienza della complessità significa sostituire il mito della società perfetta, tramontato con le ideologie palingenetiche otto-novecentesche, con la prospettiva della responsabilità. La Terra-Patria diviene il destino mondiale. La natura stessa è infatti una rete di vincoli e di possibilità, in continua evoluzione. La pandemia che abbiamo vissuto ha confermato la fragilità dell’uomo in relazione all’aumento della sua potenza tecnologica.

Il nostro tempo non ha bisogno di rivoluzioni, ma di un cambiamento del paradigma di pensiero e di civiltà. La crisi ecologica non ci pone di fronte al dilemma tra un modello politico o un altro, ma di fronte al bivio tra un salto antropologico o il collasso. L’umanesimo planetario è fondato sul riconoscimento dell’unità nelle diversità umane. Nascendo autenticamente dal bisogno di cura, la politica diventa invenzione e cura dei sistemi e delle istituzioni di protezione della vulnerabilità immanente alle relazioni umane; bisogna accettare e imporre limiti comuni alle azioni umane, se esse generano danni ambientali, disuguaglianze sociali o violazioni morali. Sfocia in un comunitarismo globale e in una società-mondo, che diviene come detto prima Terra-Patria. In questa prospettiva la politica assume un ruolo ancora più decisivo perché, in ultima analisi, ha la responsabilità di tale destino planetario.

La comunità mondiale desiderata dovrebbe nascere dalle pratiche di dialogo invece che da quelle della forza, e dalle pratiche di apprendimento comune nell’esperienza delle crisi planetarie. Se tutti questi ragionamenti appartengono alla sfera di ideali da perseguire mi sembra utile soffermarci ora sulle contraddizioni. Comincio con la più rilevante. Da una parte la consapevolezza planetaria si diffonde tra le menti pensanti, dall’altra trovano largo spazio movimenti nazionalistici e fenomeni identitari dai quali nascono leader che riscrivono la storia a proprio uso e consumo. Alla complessità si risponde con la semplificazione di ogni aspetto della vita e delle relazioni sociali e con la continua costruzione di un nemico al quale addossare tutte le negatività.

Alla facilità di comunicazione che sperimentiamo ogni giorno con l’uso delle nuove tecnologie si contrappone l’erezione di muri per proteggerci dall’invasione di stranieri e di migranti, considerati pericolosi. Coesistono le atrocità più disumane (che sembravano appartenere a cicli barbari del passato) con l’innovazione tecnologica mai sperimentata prima. Le violenze perpetrate dal terrorismo jihadista con la tecnica kamicaze (Madrid, Parigi, Londra, Bruxelles, Berlino, Nizza), compreso l’ultimo massacro di ebrei inermi compiuto da Hamas in Israele il 7 ottobre scorso, e la successiva reazione del governo di Benjamin Netanyahu, culminante con l’uccisione di oltre 35 mila palestinesi nella striscia di Gaza, vengono video rappresentate e spesso nelle nostre case il tranquillo consumo del cibo coincide con la visione di morte e di distruzione.  Negli Stati Uniti l’11 settembre del 2001 l’attacco alle Torri gemelle e al Pentagono rappresentò l’inizio dei momenti più drammatici di tale contraddizione, quasi a inaugurare il nascente Ventunesimo secolo. La più grande potenza del mondo occidentale attaccata da un gruppo jihadista proveniente da paesi considerati arretrati, come appunto l’Afghanistan. Dopo vent’anni, il 6 gennaio 2021, sempre negli Usa, a Washington, l’assalto al Campidoglio da parte di un gruppo pro Trump faceva emergere la figura dell’americano d’origine italiana, Jake Angeli, vestito da vichingo sciamano con le corna. Sono soltanto alcuni esempi di una modernità regressiva, che ci deve spingere ancora di più nella lotta per un umanesimo planetario.

Mauro Ceruti, Francesco Bellusci, “Umanizzare la modernità. Un modo nuovo di pensare il futuro”, Raffaello Cortina Editore, 2023, pp.137; Mauro Ceruti, “Il tempo della complessità”, prefazione di Edgar Morin, Raffaello Cortina Editore, 2018, pp. 190

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