In questi ultimi giorni molto si è discusso del problema del ritorno alla celebrazione delle messe “col popolo”, soprattutto in relazione alle critiche della Cei al Governo italiano, poi rientrate in virtù delle nuove, recenti disposizioni. Sia a livello di mass media, in generale, sia – in particolare – nei media di area cattolica, questo tema ha avuto ampia risonanza – così come molto era stata discussa la questione delle “messe in streaming” e in tv – con numerosi pareri, prese di posizione, approfondimenti. Ritengo tutto ciò molto utile e importante: non ricordo che ci siano stati altri momenti in cui in così tanti si siano interrogati pubblicamente, anche con posizioni e accenti diversi ma mai banali, sul significato della liturgia eucaristica, della preghiera personale, della comunità che celebra, del ruolo del presbitero, e così via. Mi auguro che tale confronto continui, per arrivare a capire sempre più e sempre meglio il senso della messa, alla luce del Concilio Vaticano II e facendosi aiutare dalla teologia più matura.
Non vorrei però che tutto questo facesse percepire il “mondo cattolico” italiano come soggetto preoccupato prevalentemente dei (pur fondamentali) aspetti di culto, come se l’esperienza cristiana si giocasse quasi esclusivamente lì. Così non è , lo sappiamo bene, e giustamente molti esponenti cattolici consacrati e laici, lo stesso Papa e la stessa CEI hanno più volte ricordato il dovere di solidarietà concreta che deriva dalla fede cristiana e le tante azioni svolte in tal senso anche in questo drammatico periodo, così come numerosi sono stati gli appelli a trarre da questa pandemia insegnamenti per il futuro, sul piano ambientale, sociale, dei diritti umani eccetera. Nondimeno, il rischio che per molti e diversi motivi risulti di gran lunga più “visibile” l’aspetto cultuale che non l’elaborazione culturale e l’impegno sociale dei cattolici, a mio parere esiste, fatto salvo il magistero di Papa Francesco che in effetti gode – per fortuna – di un’attenzione piuttosto marcata e costante.
Mi pare cioè, per semplificare il concetto, spero non troppo, che la ricchezza di riflessioni, analisi, proposte che anche in questo periodo (anzi, in particolare in questo periodo) caratterizza il “mondo cattolico” – si pensi alle riviste, ai siti web e blog, agli incontri on line, alle attività delle associazioni e di tante parrocchie – faccia fatica a diventare “massa critica”, capace di incidere sugli orientamenti della nostra società. E’ vero che quello che ho chiamato, con un’espressione un po’ desueta, “mondo cattolico” rappresenta una minoranza nel Paese e ancora di più in Europa; tuttavia, è tuttora una delle minoranze più motivate, numerose e meglio organizzate, ancora capace di mantenere in relazione fra loro milioni di persone di ogni età e di esprimere una certa forma di “cultura”, mantenendo legami profondi con tradizioni – nel senso più nobile – radicate nel sentire vivo dei popoli.
E’ quindi un problema di non sufficiente chiarezza e/o concretezza, applicabilità delle proposte? Di migliore organizzazione e coordinamento tra le molteplici e vitali espressioni del mondo cattolico? Di maggiore efficacia della comunicazione (linguaggi, strumenti…)? Oppure in realtà sono troppo pochi coloro che si dedicano a una vera formazione ed elaborazione culturale, a fronte di una maggioranza interessata prevalentemente all’aspetto spirituale e religioso? E come si gioca in tutto questo il ruolo del magistero, dei pastori, dei laici, delle associazioni, delle parrocchie, di coloro che sono impegnati nel sociale, nel lavoro, nel sindacato, nelle professioni, in politica?
Non è mia intenzione dare risposte, ma porre queste domande e formularne un’altra, più precisa: il mondo cattolico italiano, soprattutto dopo una crisi come questa, è in grado – dialogando con i fratelli e sorelle di altri popoli e anche con chi non crede – di fornire un contributo “unitario” di lettura e di proposta e di disseminarlo efficacemente in modo che abbia la possibilità – non per abilità nella persuasione ma per validità del messaggio – di diventare opinione diffusa, magari non maggioritaria, ma capace di incidere veramente sulle scelte – politiche, economiche, sociali – del presente e del futuro? Se riteniamo questo processo utile al nostro Paese, all’Europa, al mondo, in che modo favorirlo?
Sandro Campanini
13 Maggio 2020 at 16:21
Riflessione molto ricca e stimolante. Intervengo non perché abbia qualche soluzione ma per non lasciar cadere l’argomento e le tracce di ricerca lanciate. Mi piacerebbe che si sviluppasse il dibattito e il confronto a questo riguardo.
Anch’io mi domando spesso: possibile che, a fronte di tutta la varietà e ricchezza di riflessioni, analisi e prospettive che vede fiorire in se, il mondo cattolico non riesca poi ad avere seguito, ad essere incisivo? Sembra che queste cose riscuotano scarso interesse entro e fuori dai nostri ambiti!
Aggiungo solo una ulteriore domanda.
Forse la miriade di idee e opere di bene, che dal mondo cattolico nascono o sono sostenute, si vedono troppo poco o riscuotono scarso interesse da chi fa conoscere e diffonde le notizie e le iniziative al punto da farle sembrare ininfluenti? Forse anche tra di noi dovremmo farle conoscere di più?
Un contributo unitario potrebbe forse illuderci quanto a incisività “politica” (cioè basata sulla forza del consenso) ma sarebbe improponibile sia concettualmente che praticamente; invece non sarebbe più incisiva una maggior visibilità almeno di quello che già c’è? una specie di banca dati, di emporio, – questo sì unitario perché nato dalla medesima radice evangelica, una sorta di “fiera dell’artigianato a matrice cattolica” – disponibile alla visita e consultazione e appetibile anche ai soli curiosi? Illusione semplicistica? O forza delle piccole cose nate e sostenute da idee robuste che pian piano riescono a condizionare anche scelte più grandi di noi?
Chissà se esistono anche ricerche e dati a questo riguardo!