Sul sito della Fondazione Oasis, messa in piedi da mons. Angelo Scola alcuni anni fa per rafforzare il dialogo tra Occidente e Oriente (soprattutto con il mondo musulmano), due interessanti contributi sulla situazione egiziana. Il 23 e 24 l’Egitto elegge il suo primo presidente dopo il lungo dominio di Hosni Mubarak. Nell’intervista rilasciata a Maria Laura Conte e Meriem Senous, padre Rafic Greiche, capo-ufficio stampa della Chiesa cattolica in Egitto, dice che “si tratta di un’elezione chiave perché il futuro presidente avrà molto potere e molte prerogative nelle sue mani. Non c’è infatti ancora una Costituzione che ne definisca e delimiti i poteri”. I candidati sono 13, cinque dei quali sono islamisti, più o meno fondamentalisti (nessun “moderato” tra loro). Due sono socialisti (gli unici in cui hanno fiducia i “puri” della rivoluzione di piazza Tahir, ma senza alcuna probabilità di vincere). Due i favoriti: “Amr Moussa, ex-ministro degli affari esteri del governo di Mubarak ed ex-segretario della Lega Araba, e il generale Ahmed Shafiq”.
Ma più interessante appare l’analisi di Nathalie Bernard-Maugiron (“Sulle acque del Nilo si naviga a vista”) in cui il co-direttore dell’Institut d’études de l’Islam et des sociétés du monde musulman (IISMM) presso l’École des Hautes études en sciences sociales (EHESS) a Parigi spiega in modo dettagliato che cosa è maturato nel Paese a 18 mesi dalla caduta di Mubarak. Si è aperta una fase molto caotica nei rapporti istituzionali. Si è cercato, senza sinora riuscrvi, di scrivere una nuova costituzione. Vecchie e nuove formazioni partitiche animano lo spazio pubblico cercando strategie per ricostruire a proprio vantaggio il Paese. Mentre l’esercito fatica a cedere il passo.