Riproduciamo, in questo spazio più “interno” all’area della rete c3dem, l’articolo pubblicato il 29 su “l’Unità”. L’autore, oltre che senatore del Pd, è redattore della rivista “Appunti di cultura e politica”, pubblicata a cura dell’Associazione “Città dell’uomo”
Sembra proprio che Monti abbia varcato il Rubicone. Al netto di un certo sussiego con il quale egli teatralizza un metodo virtuoso – quello per il quale la sua sarebbe un’«agenda per un impegno comune», messa a disposizione erga omnes, che precede e trascende gli schieramenti -Monti si propone di guidare un’aggregazione di centro. Un’area allo stato povera di consensi ma affollata di sigle e di personalità che, non ce ne voglia il professore, sottoscriverebbero qualsiasi agenda pur di vivere o sopravvivere politicamente. A queste si va aggiungendo un manipolo di emigrati da Pdl e Pd in cerca di rifugio – si è parlato di una zattera per naufraghi – e qualche caso più eclatante di smodato e un po’ disinvolto protagonismo. Alludo per esempio a Ichino.
Una campagna acquisti che, in verità, non ha sortito grandi risultati ma che comunque non giova al fair play dentro una competizione che vorremmo civile. Non mi sfuggono quattro circostanze che sconsigliano di alzare i toni della polemica con Monti: la consapevolezza che l’avversario sistemico comune sono i populismi di vario rito, a cominciare da Pdl e Lega; che i punti di contatto tra l’agenda Monti e l’agenda Bersani sono parecchi (Europa, reddito di cittadinanza, fisco, legalità, conflitto di interessi, giustizia, costi della politica); che prevedibilmente, dopo il voto, si porrà il problema di forme di collaborazione, per altro contemplate da quella che è da gran tempo la linea di Bersani di un asse tra progressisti e moderati mirato a un’opera ricostruttiva che impegni la prossima legislatura; infine, che è buona cosa per la democrazia italiana che si pongano le basi per lo sviluppo di un centrodestra liberale, democratico ed europeo, dopo i lunghi anni del forzaleghismo.
Ciò detto, resta vero il monito di un Prodi d’antan: «Competition is competition». È bene sapere che la competizione elettorale conosce le sue asprezze e può produrre cicatrici. Con questa consapevolezza e pur senza infierire, è doveroso tuttavia marcare le differenze tra noi e l’operazione capeggiata da Monti. Differenze di merito, di metodo e di compagni di viaggio. Su merito e metodo, le cose sono chiare: noi siamo per integrare l’opera di risanamento con dosi massicce di equità e di giustizia sociale, con più lavoro e più diritti nel quadro di una Europa che corregga sensibilmente il segno delle sue politiche. Monti ha coniato due slogan: cambiare l’Italia e riformare la Ue. Noi vogliamo cambiare anche la politica della Ue, non solo rafforzarne le istituzioni comuni. La nostra agenda non è stata confezionata in una settimana, ma nell’arco dei cinque anni di vita del Pd. Non in uno studio professionale ma nel vivo della battaglia politica. Non in solitudine ma attraverso un’elaborazione e un’azione collettiva. Essa ha un respiro più largo, si inscrive dentro una visione di lunga lena, che trascende una prova elettorale e che non si limita al proposito di fronteggiare l’emergenza economica. Nell’agenda Monti, per esempio, non figurano questioni cruciali quali lo sviluppo dei diritti civili, la politica costituzionale, il rapporto tra pace e sicurezza internazionale. Pur sottoscrivendo la distinzione tra ruolo delle autonomie sociali e responsabilità in capo alla politica, per noi il rapporto con le parti sociali (tutte) è una risorsa e non un impiccio. Di più: alcune cose buone e da noi condivise della sua agenda corrispondono esattamente a nostre proposte, a nostri precisi emendamenti a provvedimenti del governo Monti che egli non ha voluto o potuto recepire (circostanza di cui non possiamo non chiedergli conto): penso alle misure sui grandi patrimoni al fine di alleggerire l’Imu sulla prima casa, alla scuola, all’università e alla ricerca francamente depotenziate dal governo Monti, alla riforma (mancata) della Rai e a una informazione finalmente più libera e pluralistica, a interventi sulla giustizia e contro illegalità e corruzione che ricucissero gli strappi inferti dalle leggi ad personam e ad aziendam.
In sintesi: noi abbiamo alcune opinioni diverse sulle riforme economiche e sociali, nel senso che esse devono programmaticamente mirare a un di più di uguaglianza, ma soprattutto abbiamo un’ambizione più grande, quella di imprimere una svolta nella qualità della vita civile. Del resto, la cosa si spiega. Monti è stato assunto a riferimento del Partito popolare europeo. Il partito della destra conservatrice europea. Il medesimo che sino a ieri e formalmente ancora oggi ospita Berlusconi e le sue truppe. Intendiamoci, sostituire Monti a Berlusconi è un apprezzabile e utile salto di qualità da parte di una rispettabile famiglia politica europea, che tuttavia è parte tra le parti. Precisamente la destra. Dunque, Monti non è super o extra partes come talvolta si autorappresenta. Poi lui, soggettivamente, come più modestamente ciascuno di noi, è di sicuro qualcosa di più e di diverso rispetto all’appartenenza politica, ma è questa che lo qualifica politicamente. Questo è il suo campo di forze e di valori. Ad esso si oppone quello delle forze progressiste europee che si battono appunto per imprimere una svolta al corso politico nella Ue. Certo, entrambi vogliamo più Europa, ma noi non siamo per una Europa qualsiasi. Non quella delle banche e della tecnocrazia, ma quella dei cittadini e dei popoli, che non rinneghi il suo modello sociale e la sua sensibilità per i diritti e per la democrazia partecipativa. È questo l’orizzonte ideale e politico della scommessa del Pd. Chi per davvero sogna un’alternativa in Italia e in Europa non può che rivolgersi a noi. Non ai referenti del Ppe.
Infine una parola sui compagni di cordata. Ora che, si spera, siamo a una svolta, ora che stiamo per archiviare il tempo lungo della devastazione berlusconiana, dentro la competizione politica, i cittadini hanno il dovere di tracciare bilanci e fissare responsabilità. Non ce ne vorrà Monti se osserviamo che la più parte dei suoi sodali non si è segnalata per avere contrastato l’umiliante degrado che abbiamo conosciuto per quasi un ventennio. Se non nel suo ultimo scorcio. Semmai il contrario: Fini e Casini, l’establishment economico-imprenditoriale, maitre à penser e opinionisti delle grandi testate, sigle dell’associazionismo cattolico (a cominciare da Comunione e Liberazione organica all’avventura berlusconiana) e vertici ecclesiastici hanno convissuto senza problemi con il Cavaliere regnante. Per tacere dei convertiti dell’ultima ora, Pisanu e Frattini, ministri di peso dei governi Berlusconi. Non suoni irriverente: ma lo stesso premier non può essere ascritto al fronte dei resistenti. Abbiamo precisa memoria della ricercata terzietà delle sue posizioni e dei suoi lievi editoriali sul principale quotidiano italiano. Monti oggi prende legittimamente parte; noi, nel denunciare e contrastare vizi e prepotenze, abbiamo preso parte da gran tempo, spesso colpevolizzati per questo da chi si teneva accuratamente fuori dalla mischia per non sporcarsi le mani: nelle università, nei cda, nei gruppi editoriali, nei consessi internazionali, nelle curie. Ci fa piacere che abbiano cambiato idea, ma francamente non sono i più titolati a interpretare un’alternativa morale prima ancora che politica. Perché tutto si può dire del Cavaliere meno che non sia sempre stato coerente con se stesso.
31 Dicembre 2012 at 20:15
Bravo Franco! la memoria va sempre rinfrescata. Bersani farebbe bene a crederci di più nell’agenda del PD per il governo del paese. L’obiettivo principale che i progressisti devono porsi, nel governare l’Italia, è la lotta allo spreco, alla tutela di tutte le risorse; una conversione culturale, per la diffusione di nuovi stili di vita; per eliminare squilibri e ingiustizie. Rivedere gli stili di vita per rivalutare il lavoro, anche quello della fatica e del sudore, per reinventarsi attività, riscoprire i mestieri del recupero e dell’organizzazione del territori, creando così occupazione e sviluppo solidale e sostenibile. Occorre crederci ed essere determinati su questa strada.