Non colpevoli, ma responsabili

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di Giampiero Forcesi

Una iniziativa editoriale costruita e promossa dallo stesso Giampiero, che nell’introduzione dà le coordinate per capire di cosa si tratti e perché quel titolo. Stupiscono due particolari: quanto sia attuale (dopo quasi trent’anni) il tema in discussione sulle “colpe” dell’Occidente rispetto alle palesi diseguaglianze nei confronti del cosiddetto Sud del mondo (e ora anche dell’Oriente). E colpisce anche l’estrema libertà di pensiero (per certi versi anche il coraggio) di chi, consapevole di trattare una materia delicata e controversa (e non solo allora) ne spiega argomentando (come ha fatto sempre) la sua tesi. Seguono articoli di grande interesse su vari temi intorno a questo specifico dell’attenzione alle questioni del mondo. Ma già dall’introduzione, si capisce, come è stato scritto e detto da tanti, quale fosse lo spirito e la qualità ideale che Giampiero metteva nel suo lavoro.

Il libretto (Edizioni Focsiv, 1994) non è in circolazione, ma se riscontreremo un diffuso interesse proveremo a ipotizzarne una nuova diffusione.

L’edizione di questo volume è legata all’impegno preso nel dicembre ’93 sulle pagine del mensile “Piccolo Pianeta”, per invogliare i lettori ad abbonarsi per l’anno successivo. La rivista, nata nel gennaio 1989 come “supplemento mensile di solidarietà internazionale” di “Segno sette”, settimanale dell’Azione cattolica italiana, era diffusa fino al ’93 gratuitamente (salvo una piccola quota di sostenitori). Nell’intento di renderla almeno in parte autofinanziata, data la drastica riduzione dei finanziamenti della cooperazione italiana agli organismi di volontariato internazionale, si offrì la possibilità, a chi avesse fatto l’abbonamento con una maggiorazione di prezzo, di ricevere il libro sulla tematica Nord- Sud, Naturalmente un libro fatto in assoluta economia. Fatto in casa. A costi ridotti al minimo. (…)

 

Ecco, dunque, il libro. Vi sono raccolti i testi di alcuni miei articoli pubblicati al di fuori dell’ambito della Focsiv (cioè di “Piccolo Pianeta” e di “Volontari e Terzo”) e di alcuni interventi pronunciati in occasione di incontri in varie parti d’Italia. Sia gli uni che gli altri sono relativi al 1993 (tranne l’ultimo testo qui riprodotto). Per quanto riguarda gli articoli, hanno subito soltanto qualche ritocco marginale. Gli interventi sono la sistemazione di appunti e sbobinature. Manca, tranne rari casi, il corredo bibliografico (…)

Questo libro ha, dunque, bene poche pretese. Non quella di una informazione esaustiva sui temi in questione. Né quella di una rassegna ragionata delle interpretazioni correnti del divario Nord-Sud, del dibattito sulla cooperazione, del ruolo e delle esperienze del volontariato internazionale. E neppure quella di raccogliere e presentare il punto di vista degli organismi non governativi che fanno capo alla Focsiv.

Credo che il senso di questa pubblicazione, e dunque della sua possibile giustificazione, stia nel fatto che viene presentato un approccio alla tematica Nord-Sud che, in modo abbastanza inusuale, unisce due elementi che appaiono in una certa contraddizione tra di loro.

Chi scrive, da un lato, appartiene, anche se solo da un ristretto numero di anni (dall’87), all’ambito di coloro che sono impegnati – “dal basso”, si sarebbe detto un tempo – ad informare e sensibilizzare sul divario Nord-Sud; e, dall’altro, ha presto scoperto di essere piuttosto indifferente verso molte delle argomentazioni solitamente usate, nel proprio ambiente, per affrontare i grandi nodi politici e culturali sottesi alla problematica Nord-Sud. La contraddizione in cui mi sono trovato è dunque quella di appartenere ad un ambiente politico-culturale, ed ecclesiale, di cui apprezzo le intenzioni e ammiro il coraggio delle scelte, ma di cui spesso condivido solo in parte le analisi e i “messaggi”.

Credo che questa contraddizione possa essere stata in qualche modo feconda. Che offra almeno qualche spunto utilmente provocatorio. Il nocciolo dei testi contenuti nel libro è riassunto abbastanza bene nel titolo, Non colpevoli, ma responsabili.

“Responsabili”, di come, in questo tempo, muoveremo i nostri passi e orienteremo i nostri pensieri e i nostri affetti rispetto ad un orizzonte di vita e di storia i cui confini sempre più concretamente coincidono con quelli de pianeta e con l’esistenza di tutti gli uomini e le donne che lo abitano. E, dunque, delle tante sofferenze, e iniquità, e speranze, e sfide, che vi pulsano dentro.

Ma non “colpevoli” di tutto il male del mondo; e in particolare di quanto ha concorso, nell’arco dei secoli passati, per un verso a comprimere la dignità e la libertà di tanti uomini e di tante donne, di interi popoli, e, per l’altro, ad accrescere il benessere, la qualità di vita, la libertà di una minoranza di loro.

Mi rendo conto che questa distinzione – responsabili, ma non colpevoli – è contestabile da molti punti di vista.

Intanto dal punto di vista linguistico: responsabile non è un termine antitetico a colpevole. Essere responsabili di situazioni di iniquità che si sono determinate, “portarne la responsabilità”, significa anche e propriamente essere colpevoli, “portarne la colpa”. Io vorrei suggerire soltanto che, in situazioni complesse, di natura politica, economica, culturale, etc., la responsabilità personale è, prima di tutto, l’accettazione consapevole e doverosa del ruolo che si ha, e, solo in modo più indiretto e di sfondo, è l’imputazione, precisa e circostanziata, degli esiti del proprio agire.

In secondo luogo, distinguere responsabilità e colpa può essere indice di cedimento a quella tendenza revisionista che è oggi presente in relazione ad altre vicende importanti della nostra storia contemporanea (il fascismo in Italia, il nazismo in Germania): la tendenza a re-visionare la storia passata con lo scopo di giustificare gli errori e le colpe di quanti sono stati responsabili di certi avvenimenti. Ci può essere, insomma, il rischio di indulgere al desiderio di togliersi dei pesi dalla coscienza, per autodifesa, per obliterare la memoria storica o, peggio, per ripristinare atteggiamenti obliqui del passato.

Ancora: c’è, dentro alla distinzione che pongo, una effettiva opzione per quello che negli anni scorsi è stato chiamato il “pensiero debole”. Cioè, una presa di distanza – non dalla passione dell’impegno né dalla esigenza di giustizia – ma dalla fiducia/pretesa di poter avere un progetto compiuto delle modalità storico-politiche con le quali edificare una società giusta (o anche solo di sapere esattamente in che cosa consista una società giusta). C’è una presa di distanza dal pensiero ideologico; e questo nonostante gli evidenti scompensi, e lacerazioni, il peso dell’incertezza, che gravano in questo scorcio (de-ideologizzato) di storia (che, tra l’altro, rischia di essere de-ideologizzato da una parte sola, lasciando campo libero alla riduzione a pura ideologia dei principi fondamentali dell’economia di mercato, della libertà di commercio, etc.).

Ma se pensiero “debole” sta, come credo debba stare, per rimessa in discussione di una parte del bagaglio teorico, nella fattispecie terzomondista, che trasciniamo da alcuni decenni (per cui, in sintesi, si ritiene ricco il Nord perché defraudato il Sud; oppure tutte di egual valore le culture, e particolarmente perversa, in specie, quella occidentale); se sta per una atteggiamento di ricerca a tutto campo di bisogni, istanza, valori così come si articolano e si manifestano nei gruppi sociali e negli individui, ascoltati senza pregiudizio; se sta per l’aver maturato la convinzione che le alternative alle situazioni disumane si costruiscono mettendo insieme elementi parziali di diverse esperienze e tentativi e tradizioni teorico-politiche, e non con semplificazioni radicali e visioni totalizzanti; se questa è, dunque, la “debolezza” del pensiero di cui si parla, allora io credo che essa sia necessaria. O, almeno, che essa sia una cosa seria, da prendere in considerazione.

Sul piano della fede, infine, il rischio di optare per la responsabilità a discapito della colpa, è, se possibile, ancora più pesante. Riconoscere i propri peccati è elemento costitutivo dell’itinerario del credente. Alcuni recenti, grandi, momenti di vita ecclesiale sono stati caratterizzati d questo riconoscimento di colpa, da questo pentimento, come fatto non solo individuale ma collettivo; rispetto al colonialismo, al rapporto con le identità altre, ai meccanismi incontrollati dell’economia mondiale.

Eppure, credo che sia sempre oltremodo difficile, soggetto a contaminazioni indebite e a fraintendimenti, l’approccio a vicende storiche ed economiche come ad “oggetti” del pentimento. Non a tutti, e non in tutti i momenti, è data la possibilità di una lettura automaticamente sapienziale e penitenziale del passato. Così come non a tutti, e non in tutti i momenti, è data la possibilità di una visione autenticamente profetica di come si costruisce il futuro.

Ma, soprattutto, il problema concerne il presente. Si deve evitare che il peso del passato, con il suo sovraccarico inevitabile di miti, di moralismi, e di integralismi, divenga un elemento di paralisi. O, al contrario, di lettura semplificata delle questioni che abbiamo di fronte, così come oggi si pongono.

Il punto cruciale è assumere la consapevolezza del fatto che tutti condividiamo – in modo direttamente proporzionale agli strumenti e alle risorse di cui disponiamo – una quota di responsabilità di fronte alla diminuzione di umanità che continua a riprodursi nel concreto oggi della storia, in ognuno dei luoghi del pianeta dove ciò accade e per ogni persona che ne viene a soffrire: Questa è una sfida che riguarda tutti.

La memoria del passato va coltivata e non certo archiviata. Ma come esercizio di apprendimento ben prima e più che come terreno di scontro politico.

Il pentimento per le colpe di cui ci si è macchiati, come appartenenti ad una religione e ad una cultura che sono state “parte” in campo in determinate vicende storiche, va anch’esso coltivato e “portato” dentro. Ma come riserva spirituale di umiltà e senso profondo deli limite umano, piuttosto che come generosa, ma troppo rischiosa, spinta a proiettare dentro l’orizzonte delle proposte politiche la categoria del “risarcimento”, poiché il “risarcimento” è qualcosa che comprende la concretezza dell’agire politico, ma non è riducibile ad esso.

(G.F., settembre 1994)

3 Comments

  1. Sarei interessato ad avere il libro di Giampiero “Non colpevoli, ma responsabili”
    massimiliano tosato

    • Salve, purtroppo ho solo una copia che mi ha regalato Giampiero. Siamo pensando di fare una raccolta dei suoi scritti ma abbiamo un po’ di difficoltà.
      Grazie per l’attenzione
      Vittorio S.

  2. Sono anch’io interessato a leggere il libro curato da Giampiero. Se ne potrebbe fare una pubblicazione online o è troppo complicato? Grazie e auguri di una serena Pasqua a tutti
    R. C.

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