L’autore è docente di Filosofia teoretica all’Università di Macerata. Collabora, tra l’altro, con la rivista “Servitium”. Dirige la collana “Orizzonte Filosofico” dell’editrice Cittadella di Assisi. La parte finale dell’articolo riprende un pezzo che comparirà sulla rivista “Altreconomia”. L’articolo nasce come contributo al dibattito che ha aperto su questo sito Guido Formigoni (“Il ‘vecchio’ e il ‘nuovo’ nella crisi globale”) e che sarà il tema del convegno c3dem del 30 novembre.
La fase storica che stiamo sperimentando non può essere riassunta nella parola “crisi”, anche se si dice che è una crisi morale e di civiltà. E’ qualcosa di più radicale. Da una parte la cosiddetta “crisi” è l’esito non dico di un complotto vero e proprio, ma di un cinico progetto che si attua sulla scia di interessi oggettivamente convergenti. Il progetto è ispirato dal neoliberismo e punta alla sostituzione della democrazia politica orientata alla dignità e ai diritti umani con la megamacchina del mercato. Si noti: di un mercato pensato e praticato come guerra economica di tutti contro tutti (ben diverso dal luogo di reciprocità auspicato dai teorici dell’economia civile) ed egemonizzato dal sottosistema del mercato finanziario.
L’oggettiva convergenza di interessi è quella che rende solidali tra loro le oligarchie finanziarie, le agenzie di rating, le banche centrali, il Fondo monetario internazionale, le oligarchie mediatiche e gli autocrati politici, il ceto dei grandi managers, con il contorno ideologico degli scribi contemporanei, rappresentato dagli economisti ortodossi di spicco, che orientano l’opinione pubblica, e dalle più illustri università private. Dal 2008 a oggi i governi occidentali, soprattutto quelli europei, non hanno affatto difeso la democrazia e i diritti umani da questo attacco, ma hanno continuato a servire con zelo la volontà dei Mercati. In questo, per stare solo alla situazione italiana, c’è una continuità di fatto e anche di tipo logico tra i governi Berlusconi – Monti – Letta. Le “larghe intese” sono già predeterminate da tempo e tacitamente nel fatto che tutti, o quasi, obbediscono alla logica neoliberista come se essa specchiasse la realtà intrascendibile e benefica del nostro tempo, quella di una società che crede di essere un mercato globale. Per questo Mario Draghi, riferendosi ai problemi dell’instabilità politica, ha potuto a suo modo “rassicurare” l’opinione pubblica affermando con candore che in ogni caso c’è un “pilota automatico” al di là dei governi di un segno politico o di un altro. La riprova di questa distretta sta nel fatto che le cosiddette “risposte alla crisi” si muovono nella stessa logica che ha prodotto la “crisi” e finiscono per renderne strutturali gli effetti negativi (si pensi alla tendenza di stabilire norme che precarizzano sempre più il lavoro o alla decisione di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio o, ancora, come accadde al tempo del governo Berlusconi, al tentativo di abolire l’art. 41 della Costituzione perché, si disse, “frena la crescita”).
D’altra parte la cosiddetta “crisi” è, ancora più essenzialmente, un fallimento. E’ il fallimento storico di una tradizione che, in Occidente, ha creduto nel potere come dominio, invece che nella giustizia, nella solidarietà, nella fraternità, nell’umanesimo fedele. E’ oggi evidente che il dominio non fonda davvero la convivenza interumana e con la natura e non garantisce alcun ordine sostenibile. Crea disordine, conflitti, sofferenze, lutti, radicalizza le iniquità, precarizza e immiserisce la vita di tutti.
Per questa ragione un rilancio della Costituzione e della democrazia, soprattutto se ispirato al vangelo e al Concilio, non può ovviamente essere ispirato da una visione “moderata” né estremista. Questa coppia di categorie è effettivamente fuorviante e inservibile. Il rilancio deve muovere da una passione e da una visione che siano radicali e lucide. Occorre avere la saggezza e il coraggio di lavorare per cambiare il fondamento stesso. Si tratta di togliere la sovranità alla finanza, di tassarla e di regolamentarla, di impedire che sia la fonte delle scelte dei governi; si tratta di sviluppare la democrazia come condizione per la tutela delle persone e del bene comune, traducendo operativamente questi criteri e attuando la Costituzione.
Altrimenti, se si resterà confusi, incerti, timidi, contagiati dalla credulità nella stolta mitologia dei Mercati, delle “riforme strutturali” e del neoliberismo, non sapremo scongiurare un pericolo che mi sembra tutt’altro che astratto e improbabile. Alludo al fascismo prossimo venturo. Dovremo lavorare molto per contrastarlo e sradicarlo il più possibile. Si tratta di un fascismo di nuova generazione, di cui c’è già modo di intravedere la conformazione a triangolo.
In un lato c’è la politica neutralizzata, fatta da “partiti” di gomma, poco distinguibili tra loro e confluiti in quelle larghe intese che nessun elettore italiano ha chiesto. L’inquietante risolutezza di Enrico Letta a governare per anni è la tipica espressione di questa presunta gestione neutrale della cosa pubblica, che è tale non tanto perché va oltre la differenza tra destra e sinistra, quanto perché licenzia la politica stessa sostituendola con l’esecuzione della volontà dei Mercati travestiti da Unione Europea. In questo scenario il Movimento 5 Stelle purtroppo è più un’aggravante che un fattore di speranza. I suoi capi non è che non vogliano, è che proprio non sono in grado, per la loro mentalità, di contribuire al rilancio della democrazia. Comandano il movimento coltivando idee ciniche e micidiali, riassunte dalla pretesa di mantenere il reato di clandestinità mentre ancora si recuperano i cadaveri davanti a Lampedusa. Sintesi: la politica istituzionale è quasi completamente priva delle correnti vitali della democrazia.
Da un altro lato c’è la “società civile”. L’importanza dei movimenti di base, delle lotte per tutelare i beni comuni, del risveglio democratico sui territori è stata e rimane fondamentale, come lo è il potenziale di cittadinanza attiva che sussiste in una parte del volontariato. Ma non è il caso di consolarsi con la retorica della partecipazione della cosiddetta gente comune. Chi fa così non si avvede della gravità della minaccia portata alla vita democratica in Italia e in Europa. Nel 1971 Danilo Dolci scrisse per gli editori Laterza un libro intitolato Non sentite l’odore del fumo?. Alludeva al possibile ritorno delle persecuzioni e di qualche aggiornata versione dei forni crematori. Se allora il pericolo fu sventato è perché cittadini, movimenti, parti delle istituzioni e di alcuni partiti non si limitarono a gestire l’esistente, ma agirono per sviluppare la democrazia partendo dal riscatto dei marginali della società.
La gente comune siamo noi. Ma ci siamo visti? abbiamo sentito i discorsi che escono dalle nostre labbra ? Chi più, chi meno, quasi tutti ripiegano sulla difesa della propria sopravvivenza economica impauriti dall’interminabile crisi. E cominciano a inveire contro gli stranieri, i profughi, gli accattoni, gli irregolari di qualsiasi specie e soprattutto contro i rom. L’altro giorno su un giornale locale ho letto il titolo “Emergenza senzatetto”. Credevo si riferisse al dramma di chi non ha un luogo dove passare la notte e rifugiarsi. Mi sbagliavo: l’emergenza erano i senzatetto stessi, dipinti come una minaccia alla sicurezza pubblica. Si moltiplicano i sindaci-sceriffi che fanno ordinanze persecutorie contro i mendicanti e li considerano un problema di decoro urbano. E molti, tra la gente comune, sono contenti. I poveri sono giudicati come criminali; sui profughi la frase più gentile è del tipo “mica possiamo mantenerli a spese nostre”. E sovente lo dicono proprio quelli che evadono le tasse.
Se qualcuno, doverosamente, prova a protestare contro questa inciviltà, moltissimi – in ogni ambiente: credenti e non credenti, individui dediti solo a se stessi e individui impegnati nel volontariato, giovani e adulti, moderati e progressisti – lo accusano di buonismo demagogico. Sintesi: sta crescendo la società incivile. Movimenti e partiti neofascisti sono ovunque in ascesa in Europa perché rappresentano la reazione più ovvia alle paure profonde della gente comune, vessata dal capitalismo globale, priva degli strumenti per capire le cause di ciò che sta accadendo e per ribellarsi.
Nel terzo e decisivo lato del triangolo ci sono le oligarchie globali, anzitutto finanziarie, che sono sì interessate alla democrazia, ma solo per trovare il modo di eliminarla. La “crisi” è il regalo che ci hanno fatto per perpetuare la loro economia surreale e oppressiva. Politica inetta o complice, società incivile e oligarchie che coltivano povertà, disoccupazione e precarietà: in questo triangolo delle Bermude la democrazia può sparire in poco tempo. Sintesi: bisogna svegliarsi e pretendere democrazia in ogni ambito, cominciando a liberare dall’oppressione gli impoveriti, gli esclusi, i marginali, i malgiudicati, tutti candidati al ruolo di capro espiatorio non tanto dalla malvagità dei potenti, quanto dalla nostra inerzia.
Roberto Mancini