Non lasciamo che la democrazia si dissolva

| 0 comments

La redazione di Esprit*

Dopo il doppio annuncio di domenica sera del risultato delle elezioni europee in Francia e lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, lo choc non si dissolve. Dopo vent’anni che la destra si è installata nel paesaggio politico e mediatico, che i suoi “score” aumentano di elezione in elezione, l’espressione secondo cui essa è “alle porte del potere” sembra sprecata. Descrive però la realtà attuale che, dal risultato degli scrutini, hanno certamente visto l’estrema destra rafforzarsi in certi paesi (ai Paesi Bassi e in Germania, soprattutto), ma anche indietreggiare presso alcuni nostri vicini. La situazione francese è dunque particolare a due titoli: perché l’estrema destra ha ottenuto più del 40% dei suffragi e perché il Capo dello Stato, prendendo atto di questo risultato, ha assunto il rischio di consegnarle le chiavi del paese.

Non è tanto la scelta dello scioglimento in sé stessa, quanto il metodo e il calendario proposto, che a noi sembrano inaccettabili. La decisione di Emmanuel Macron ha preso alla sprovvista tutti coloro che avrebbero dovuto, secondo le nostre istituzioni, essere consultati. Essa ha messo davanti al fatto compiuto la maggioranza, i suoi alleati, i parlamentari e i loro collaboratori, ma anche le amministrazioni, gli agenti dello Stato, tutti quelli che lavorano ai ritmi del tempo politico, bruscamente interrotto. Essa indebolisce la voce delle Francia e prende a rovescio i partners europei e i nostri alleati, in un contesto internazionale estremamente teso e mentre la situazione dell’Ucraina è critica.

Questo gesto è presentato dal Presidente come una risposta democratica alla sfida espressa dai francesi, un ”ritorno al popolo”. Se l’argomento è già discutibile a proposito di un referendum, lo è più ancora quando si scioglie, dopo due anni, un’Assemblea eletta democraticamente per cinque. Se l’emiciclo è stato in ebollizione permanente, è dovuto anche al fatto che Emmanuel Macron, senza disporre di una maggioranza, ha continuato a comportarsi come se l’avesse. E aveva altre scelte possibili per prendere atto del malcontento dei francesi, a cominciare da quella di proporre in autunno un nuovo governo, portatore di una curvatura nel proseguimento del quinquennio. Invece di questo, il fantasma di chi vuol rimanere il “maestro dell’orologio” impone una brutalizzazione del tempo della deliberazione democratica: una campagna chiara, un secondo turno all’inizio delle vacanze estive e, ancora una volta, il rischio del caos presentato come l’unico principio di legittimazione.

Niente d’altronde è già scritto in anticipo, e a noi spetta collettivamente, nelle prossime settimane, gettare tutte le nostre forze nella battaglia perché non avvenga il peggio. Ciò inizia, sul piano intellettuale e politico, per il rifiuto della retorica consistente nel respingere parallelamente le “estreme”, di fronte a cui si imporrebbe la scelta della “moderazione”. Gli ultimi anni hanno apportato la prova che questo discorso non è solo fondamentalmente problematico, ma fallisce sistematicamente il suo obiettivo. Alimentando le collere e le esasperazioni per l’arroganza che dimostra, non fa in definitiva che accelerare l’avanzata dell’estrema destra. In Francia, ma anche in Europa, gli elettori hanno sufficientemente espresso il rigetto dell’idea secondo cui “non c’è alternativa”. Di fronte al terremoto che rischia di portar via la nostra democrazia, occorre far cadere la maschera del Rassemblement national e comprendere l’ideologia, inegualitaria e razzista, che le è propria. Occorre richiamare le misure indegne che figurano nel suo programma, le conseguenze concrete che avrebbe il suo arrivo al governo in materia di politica sociale, di diritto del lavoro, di educazione e di cultura.

Ma il successo del Rassemblement national non si è costruito in un giorno. Se l’urgenza oggi è certamente quella di impedire il suo accesso alle leve del potere, occorre anche, in tempi più lunghi, trovare i mezzi per rispondere, sul piano del sentimento politico e non solamente sul registro della competenza e dell’efficacia, al potente desiderio di protezione che esprimono le società contemporanee, che l’estrema destra intende dappertutto volgere a suo profitto. Che si pensi all’ampliamento delle diseguaglianze, al sentimento di abbandono e alla perdita di riferimenti, ai rivolgimenti tecnologici o al pericolo climatico, è dalla sinistra che devono venire le proposte capaci di fare indietreggiar durevolmente l’attrattiva di politiche di esclusione, di violenza e di ingiustizia. La responsabilità che pesa sui suoi dirigenti, ma anche sugli intellettuali e l’insieme dei cittadini è immensa. Voi potete contare sulla redazione di ESPRIT nell’assumere la sua parte, oggi nella campagna che si apre, e al di là.

 

* la traduzione dal testo originario è curata da Sandro Antoniazzi

Lascia un commento

Required fields are marked *.