“Subìta, tollerata, paralizzata e infine spenta dopo dieci anni. Insomma un caso di eutanasia amministrativa”. Così il settimanale “Vita”, per la penna di Gabriella Meroni, valuta la decisione del governo Monti “di far bere l’ultimo sorso di cicuta all’Agenzia Terzo Settore”. Il settimanale pubblica (nel numero in uscita il 29 marzo) la lettera di tre collaboratori dell’area giuridica dell’Agenzia da cui emergono i difficili rapporto tra l’Agenzia del Terzo Settore, costituita dieci anni fa, e l’Agenzia delle Entrate. Nella Relazione-Bilancio di Mandato 2007-2011 dell’Agenzia, pubblicato sul sito Agenzia per le Onlus, si parla di una «marcata ostilità», tra Entrate e Terzo Settore, e di «momenti di divergenza» che non hanno «mai abbandonato il percorso del confronto e dello scambio» tra le due realtà. “In particolare – scrive il settimanale – tre i ‘momenti di divergenza’ che hanno segnato il rapporto: la vertenza sullo status di onlus delle case di riposo, che il fisco voleva eliminare a certe condizioni, e che è finita addirittura in Cassazione, decretando la vittoria dell’interpretazione di Zamagni e soci (salvando così centinaia di residenze per anziani dal pagamento di imposte non dovute); quella sulla possibilità per le imprese di essere socie o fondare onlus (al posto di imprenditori responsabili il fisco vedeva solo frotte di evasori, ma ha dovuto fare marcia indietro); infine la «questione ancora irrisolta nonostante gli impegni di verifica assunti dall’Agenzia delle Entrate», si legge ancora nella relazione, «dell’impossibilità per l’Agenzia per il terzo settore di accedere all’Anagrafe tributaria. Un impedimento che rende praticamente impossibile l’esercizio della funzione di controllo da parte della nostra Agenzia»”.
“Vita” pubblica anche un’intervista a Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia del Terzo Settore.
«Per i tecnici esistono solo pubblico e privato»
Ci sono due aspetti che colpiscono della persona di Stefano Zamagni: la prima è il suo ottimismo ad oltranza. L’altra è la sua infaticabile determinazione che lo porta a girare l’Italia in lungo e in largo per diffondere il “vangelo” del non profit. Di Stefano Zamagni è impossibile raccontare, anche brevemente, titoli, libri, meriti. Del resto in questa intervista a ruota libera si parlerà soprattutto dell’ultimo tassello di quel suo lunghissimo curriculum: l’esperienza di presidente di Agenzia per il terzo settore. Esperienza che si è conclusa da poco per fine di mandato. Un mandato che nessuno ha raccolto, in quanto l’Agenzia è stata cancellata dal governo.
Si aspettava una conclusione così?
Certamente no. Perché è una scelta irragionevole sotto tutti i punti di vista. Però se esamino l’esperienza di questi cinque anni, posso dire che una conclusione così era un po’ scritta.
In che senso?
Nella vita, per fortuna, non si smette mai di imparare. Così anche l’esperienza all’Agenzia per il terzo settore, esperienza che valuto assolutamente positiva, mi ha consegnato almeno tre lezioni, di cui farò tesoro per la mia vita.
Quali lezioni?
La prima è che la cultura della nostra classe dirigente, sia politica che non politica, è ancora legata a un modello obsoleto dualistico di Stato-mercato. Non riescono ad ammettere che in una società avanzata come la nostra il ruolo del civile sia fondamentale. Questo rappresenta un arretramento rispetto alla cultura dei padri costituenti, che erano molto più avanzati e che avevano chiaro il modello tripolare: pubblico, privato e, appunto, civile. La soppressione dell’Agenzia per il terzo settore non si spiega altrimenti. Questo governo, decidendone la chiusura, ha dimostrato infatti di non “vedere” lo spazio del civile. E così ha riportato l’Agenzia nell’ambito del pubblico.
In sostanza è come se per il terzo settore, dopo anni di battaglie e di conquiste, si fosse tornati indietro di decenni…
Sì, ma c’è un’altra conseguenza ancor più nefasta e che tocca tutti. Il mancato riconscimento di quell’ordine tripolare previsto dai costituenti fa sì che non si riesca più a parlare nei termini di giustizia “benevolente”. Si parla tanto di giustizia. Ma la benevolenza, che significa “volere il bene”, cioè il bene comune, è qualcosa che va oltre. E oggi solo Dio sa quanto ci sarebbe bisogno di una giustizia benevolente, cioè finalizzata al bene comune e non solo al rispetto della norma in senso proceduralista.
La seconda lezione?
È una cosa di cui avevo il sospetto ma di cui adesso ho la certezza: il terzo settore è incapace di elaborare una strategia unitaria. I vari segmenti sono tutti concentrati nella difesa delle proprie specifiche identità. Il che comporta che si prendano delle batoste terribili solo perché ognuno è rivolto esclusivamente al proprio ambito. La chiusura dell’Agenzia è una di queste batoste. Quando il 30 gennaio il ministro ne ha annunciato la chiusura, sono stati tutti presi alla sprovvista: sino ad allora nessuno si era mosso e aveva fatto pressione per difendere quella che era una conquista importante. Il terzo settore in fondo non crede alla propria autonomia, si muove con troppa sudditanza tra pubblico e privato, per timore di perderci. Quindi finisce con il legittimare chi pensa che l’ordine sia bipolare.
È un problema di rappresentanza?
La debolezza della rappresentanza è una conseguenza, non è la causa. È l’effetto del fatto che il terzo settore non riesca a trovare il passaggio tra Scilla, cioè il pubblico, e Cariddi, cioè il privato. Non deve dispiacere il pubblico e non deve impensierire il privato, superando una dimensione che potrebbbe dare fastidio. C’è un esempio banale che mi ha colpito, proprio di questi giorni: alcune onlus che non riescono più a fare raccolta fondi con la vendita delle azalee o di altre piante, perché i fiorai hanno protestato. E il Comune, per non dispiacere a questi privati, ha impedito a quel soggetto di raccogliere fondi per le sue cause nobilissime, come la lotta contro il cancro.
Ma c’è la crisi. Anche i fiorai possono avere le loro preoccupazioni…
Si può ammettere che abbiano ragione. Ma questo non può diventare un’autorizzazione a far fuori l’altro soggetto e le sue ragioni. Sempre se l’altro viene riconosciuto…
Manca ancora una lezione…
Sì, ho imparato che anche l’alta intellettualità italiana, salvo poche eccezioni, non “vede” il terzo settore. Non sono riusciti a interiorizzare la categoria del dono come gratuità. Il dono viene confuso come regalo e quindi con la filantropia. Tutto questo con la complicità dei media. Non sono contro la filantropia, ma non si può nel 2012 credere ancora che l’agire per gratuità equivalga ad agire gratuitamente. Dovrebbero leggersi la Caritas in veritate per capire…
Non si può spiegare la chiusura dell’Agenzia come esito della spending review che il governo ha assunto a criterio unico?
Magari avessero fatto la spending review dell’Agenzia secondo i canoni stabiliti dal ministro Giarda! Per me sarebbe stata la massima soddisfazione. Avrei aspettato senza troppe ansie la sentenza. Del resto se c’è una cosa di cui vado orgoglioso è che ho potuto dimostrare che anche nella pubblica amministrazione c’è spazio per un cambiamento: con risorse calanti siamo riusciti ad aumentare la produttività, agendo sulle motivazioni delle persone.
E ora che previsioni si sente di fare?
Dovremo aspettare la conversione in legge del decreto. Da quanto mi consta il parlamento porterà delle variazioni anche sostanziali a quel decreto e mi sembra di capire che il governo non si opporrà. Comunque quel che verrà non sarà più un ente terzo. E venendo meno la terzietà, per il non profit saranno problemi molto seri. Perché non ci sarà più un interlocutore. È una campana che suona a morto.
Intanto anche il servizio civile è stato azzerato…
Se io non “vedo” il civile, perché dovrei sostenere il servizio civile? Mi basta finanziare il pubblico e il privato. Il problema è proprio in questa cecità: non si vede più una dimensione che invece è costituiva dell’identità italiana. Il modello della civiltà cittadina è stato inventato. Vi siete mai chiesti perché i “Comuni” si chiamano così? La classe dirigente di oggi ha completamente perso questo orizzonte. E noi ne subiamo le conseguenze. Ma se non si ricostituisce il civile non si risolve nessun problema dell’Italia di oggi, anche quelli di cui tutti si riempiono la bocca, a cominciare dall’evasione fiscale.
Lei è cattolico. Si è chiesto se i cattolici non potevano avere un ruolo più incisivo in un contesto del genere?
Sono a tutti gli effetti parte di questo Paese, pertanto il processo degenerativo ha riguardato anche loro. Non era così ai tempi della Costituente, ma i cattolici in Italia hanno pagato le pressioni di una cultura liberale che da noi è stata di impronta statalista. Ci fosse stato un de Tocqueville…