Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, su “Il sole 24 Ore” di domenica 8 aprile 2012 offre un interessante resoconto di un seminario ebraico-cristiano svoltosi alla fine del marzo scorso e dedicato a una riflessione religiosa sulla crisi finanziaria. “Una grande menzogna – avallata da forti agenzie di potere – ha fatto passare come equivalenti l’economia virtuale della finanza e quella reale del lavoro e della produzione, favorendo la speculazione più ardita: sta qui – scrive Bruno Forte – una delle radici profonde della crisi economica in atto da ormai quattro anni”. Forte accenna a una ”significativa” convergenza, di analisi e di proposte, da parte anche di due noti economisti presenti al seminario: Ettore Gotti Tedeschi e Stefano Zamagni. Tema, questo, che andrebbe approfondito.
La data è quella del 6 Nissan 5772-29 marzo 2012. Il testo è firmato dai membri della commissione bilaterale del Gran Rabbinato d’Israele e della Santa Sede. Il tema è quello su cui abbiamo riflettuto intensamente nei due giorni di lavori: “Religious perspectives on the current financial crisis: vision for a just economic order – Prospettive religiose sull’attuale crisi finanziaria: considerazioni per un giusto ordine economico”. Ad aiutare rabbini, vescovi e teologi della commissione si sono aggiunti i contributi rilevanti di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le Opere di religione vaticano, Meir Tamari, già consulente economico capo della Banca d’Israele, e Stefano Zamagni, del dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bologna. La convergenza delle conclusioni è significativa, perché mostra come – in una prospettiva religiosa orientata al primato del bene comune secondo il disegno del Dio Creatore e provvidente – l’azione economica sia inscindibile dal primato dell’etica: non si supererà la crisi senza una profonda svolta morale. Afferma il testo: «Benché molti fattori abbiano contribuito a causare la crisi finanziaria, alle sue radici sta una crisi di valori morali, nella quale il primato del possedere, quale è espresso in una cultura dell’avidità, ha oscurato il primato dell’essere; in tale situazione, nell’attività economica è venuto a mancare gravemente il valore della verità, praticata con onestà e trasparenza». Una grande menzogna – avallata da forti agenzie di potere – ha fatto passare come equivalenti l’economia virtuale della finanza e quella reale del lavoro e della produzione, favorendo la speculazione più ardita: sta qui una delle radici profonde della crisi economica in atto da ormai quattro anni, di cui pagano i costi più pesanti soprattutto i piccoli risparmiatori e in generale la povera gente. Alla luce della fede condivisa nella «sovranità e nella provvidenza del Creatore del mondo, dal quale ha origine ogni ricchezza donata all’umanità», ebrei e cattolici condividono che «scopo dell’ordine economico è di servire al benessere della società, affermando la dignità umana di tutti, creati a immagine di Dio. Questo concetto della dignità umana, che sostiene il valore di ciascuna persona, è opposto all’egocentrismo, ed esige la promozione del benessere individuale in relazione alla comunità e alla società, sottolineando perciò gli obblighi e le responsabilità degli uomini, e quindi affermando la loro solidarietà e fraternità. Ciò comporta il dovere di garantire la soddisfazione dei bisogni umani fondamentali, quali la protezione della vita, il sostentamento, il vestito, la casa, la salute, l’educazione e il lavoro. Per questo motivo occorre riservare un’attenzione particolare alle persone deboli – poveri, orfani, vedove, malati e disabili – e agli stranieri, che nella società attuale sono specialmente presenti come migranti e lavoratori esteri, le cui condizioni sono un segnale della buona o cattiva salute morale della società e del grado di solidarietà all’interno di questa”.
Il richiamo al valore fondamentale della persona e ai conseguenti principi di responsabilità etica nell’agire economico e di solidarietà verso i deboli, si estende ai rapporti fra popoli e nazioni: «I Paesi con economie sviluppate hanno l’obbligo, specialmente in quest’epoca di globalizzazione, di riconoscere le loro responsabilità e i loro doveri nei confronti dei Paesi e delle società che si trovano in condizioni bisognose di aiuto». E questo alla luce di idee chiave dell’ethos biblico, che il “grande Codice” delle culture ispirate dalla tradizione ebraico-cristiana, illuminato dal Decalogo e dal Discorso della montagna, propone all’umanità intera in vista di un più giusto ordine economico: «La destinazione universale dei beni della terra, una cultura del limite che implica un livello di autolimitazione e di sobrietà, uno spirito di servizio responsabile, un sistema etico di distribuzione di risorse e di priorità, l’importanza determinante dell’onestà, della trasparenza, della gratuità e della responsabilità». Ne conseguono indicazioni specifiche, che toccano il vissuto di milioni di esseri umani e sono un implicito appello alle banche a fare la loro parte nel superamento della crisi, nei cui confronti esse non sono certo esenti da responsabilità: «Così come la crisi ha richiesto una parziale remissione di debiti ai livelli nazionale e internazionale, altrettanto occorre fare nei confronti delle famiglie e dei singoli individui, per la loro riabilitazione economica». Certamente, i credenti non possono limitarsi ad affermazioni di principio: è chiesta loro una specifica e coraggiosa testimonianza, che in tante forme non è mancata (si pensi solo alle esperienze di micro-credito etico-sociale). Lo rileva il documento sottolineando «il ruolo che le comunità di fede devono svolgere per contribuire a un ordine economico responsabile, e l’importanza del loro impegno in questa direzione presso governi, istituzioni educative e con gli strumenti di comunicazione sociale. Le comunità religiose, oltre alla saggezza etica tratta dai loro patrimoni spirituali, sono parte integrante della società civile, che insieme con l’attività politica e sociale deve svolgere un ruolo centrale nell’assicurare la sussidiarietà necessaria per un giusto ordine sociale ed economico». Ognuno, insomma, deve fare la sua parte se si vuole uscire dalla crisi, che «ha rivelato ancor più la grave carenza di componente etica nel pensiero economico. Ne consegue la necessità che istituti e accademie di studi economici e di formazione socio-politica includano nei loro curricoli la formazione etica, analogamente a ciò che in anni recenti si è fatto nel campo dell’etica medica, e che consultazioni etiche siano anche previste in rapporto alle decisioni che vengono prese a livello nazionale e internazionale».
È da questo insieme di considerazioni che desidero trarre il mio augurio pasquale ai lettori di queste pagine: tutti, nessuno escluso, si sentano chiamati a un rinnovato impegno morale e spirituale, che tocchi gli stili di vita e la solidarietà verso gli altri, specie i più deboli. Chi ha fede sa che questo impegno è dono da invocare e compito cui corrispondere. Grazie ad esso la crisi potrà essere superata e potranno diventare realtà le parole del Salmo, con cui si conclude il documento ebraico-cristiano:
«Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra, e la giustizia si affaccerà dal cielo. Quando il Signore elargirà il suo bene, la nostra terra darà il suo frutto. Davanti a Lui camminerà la giustizia, e sulla via dei Suoi passi la salvezza» (Salmo 85, 11-14). La potenza di Colui che ha vinto la morte doni a tutti una Pasqua così: tanto di luce e di speranza, quanto di giustizia e di pace!