Credo che una certa ritrosia di alcuni di noi a commentare pubblicamente ciò che è successo nelle ultime settimane in Italia sia più che comprensibile, anche perché ancora non sappiamo come andrà a finire e molti sono stati i “colpi di scena”. In un fiume in piena di dichiarazioni, commenti, ipotesi, interviste, dietrologie e interpretazioni di ogni tipo, non è sbagliato ritenere di dover meglio riflettere e valutare le situazioni, soprattutto da parte di realtà che non hanno una responsabilità direttamente politica.
Un paio di cose, cercando il più possibile di essere obiettivo, credo si possano dire.
La maggior parte del cosiddetto “mondo cattolico” organizzato ha visto con grande preoccupazione l’aprirsi della crisi del governo Conte II (ne fanno fede documenti e interventi), non certo per remissività o conservatorismo, e nemmeno per adesione a tutte le scelte del Governo, ma per una genuina e “popolare” preoccupazione per le sorti del Paese, le stesse del resto dichiarate con chiarezza dal Presidente Mattarella nel discorso con cui ha motivato la preferenza per un nuovo tentativo, tradottosi poi con l’incarico a Mario Draghi, rispetto all’immediato ricorso alle urne.
E’ chiaro che, di fronte al precipitare della crisi del Conte II e alla prospettiva – in questo momento non ancora del tutto concretizzata – di un Governo guidato da una figura di indiscusse capacità e prestigio (e che gode del pieno sostegno del Presidente della Repubblica) che si impegni ad affrontare gli urgenti problemi del Paese, ci possa e ci debba essere un atteggiamento di fiducia e di speranza. Perché ancora una volta prevale l’attenzione alle domande e difficoltà concrete del nostro popolo.
Il primo e il secondo atteggiamento non sono affatto in contraddizione.
La seconda osservazione riguarda il sistema politico-istituzionale del nostro Paese che, di fatto, vede una sempre maggiore difficoltà a creare situazioni stabili sia sotto il profilo delle coalizioni, sia all’interno delle stesse forze politiche – chi più, chi meno. Un continuo movimento sembra caratterizzare tutto il sistema e chi ne è protagonista. E qui c’è da chiedersi se questo sia l’effetto di una inquietudine che da anni ormai attraversa il nostro popolo o ne sia la causa, o forse entrambe le cose, come in un gioco di specchi. Certo è che classi dirigenti che intendono essere tali, e come tali legittimarsi nei confronti dei cittadini, dovranno prima o poi decidere in modo più stringente “chi siamo e cosa vogliamo” (sperabilmente avendo sempre di mira il bene comune). Può darsi, come qualcuno dice, che una fase di “decantazione” e – chissà – anche di maturazione dopo anni di scontri pesantissimi (ma anche altrove non si scherza, vedi gli USA) e posizionamenti mutevoli e spesso strumentali, sia utile anche allo scopo sopra indicato. C’è da augurarselo, perché se stare fermi (ammesso che si possa davvero) è dannoso e irresponsabile, anche essere “in continua agitazione” , come scriveva san Paolo (2 Ts, 3,11), non è buona cosa: per le singole persone, così come per i soggetti politici.
Sandro Campanini
29 Marzo 2021 at 12:57
Bravo, Sandro!