L’11 aprile del 1963, era il giovedì santo, papa Giovanni promulgò la sua ultima enciclica, la Pacem in terris. A cinquant’anni da quella data ne hanno fatto memoria i gruppi ecclesiali, le riviste e le associazioni che già nello scorso settembre diedero vita a Roma ad un’assemblea nazionale per ricordare l’inizio del concilio Vaticano II. A quell’evento fu dato il nome “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri”, ricordando una celebre espressione di Giovanni XXIII. Lo scorso 6 aprile, quello stesso insieme di gruppi ecclesiali, anche se in numero un po’ ridotto, hanno dato vita ad una nuova assemblea nazionale, tenutasi sempre a Roma, questa volta con il nome “Pacem in terris di Giovanni XXIII. L’enciclica della dignità umana”. Con queste iniziative i gruppi promotori hanno di fatto avviato un percorso di memoria del concilio e di papa Giovanni, che vuole ricollegarsi a quanto, in molte altre parti del mondo, gruppi di credenti, associazioni e riviste cattoliche stanno portando avanti, per lo più dal basso, e che dovrebbe concludersi nel dicembre 2015 con un incontro mondiale a Roma.
Se la prima assemblea si era tenuta in una sede religiosa, l’Istituto Massimo dei gesuiti, questa seconda si è tenuta in un ambiente laico, il Centro Congressi della Cgil. Più di un centinaio i gruppi aderenti nella prima iniziativa, una sessantina in questa seconda. E più basso anche il numero dei presenti: circa 300 rispetto a più del doppio lo scorso settembre. Ma questo si deve probabilmente al periodo dell’anno in cui si è realizzato l’incontro sulla Pacem in terris, e al nuovo contesto politico ed ecclesiale di questi giorni. E comunque nulla toglie alla qualità dell’iniziativa e al clima di impegno e di attenzione con cui l’iniziativa è stata realizzata e seguita. Anzi, va notato che si è ampliato il numero di persone presenti comitato promotore. Ne hanno fatto parte: Vittorio Bellavite, Nandino Capovilla, Emma Cavallaro,Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Valerio Gigante, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Serena Noceti, Gianni Novelli, Enrico Peyretti, Stefano Toppi, Fabrizio Truini, e Rosa Siciliano.
L’assemblea, moderata da Emma Cavallaro, ha visto alternarsi sei relazioni e numerosi interventi. Le relazioni sono state tenute dalla biblista Rosanna Virgili (“L’annuncio di pace del Vangelo”), dallo Daniele Menozzi (“Guerra e pace al tempo dell’enciclica”), dal teologo delle religioni Giovanni Cereti (“Religioni e pace”), dalla teologa domenicana che vive in Bolivia Antonietta Potente (“L’antropologia della Pacem in terris”), dal teologo Giovanni Mazzillo (“La teologia della Pacem in terris”) e infine da Raniero La Valle, il cui intervento è stato però letto da Fabrizio Truini per un’indisposizione che lo ha colto alla vigilia dell’assemblea (“Non basta dire pace”). Tra gli interventi, da segnalare quelli di mons. Bettazzi, Giancarla Codrignani, Nanni Salio, Renata Ilari (collaboratrice di Maria Vingiani al SAE), Marinella Perroni (già presidente del coordinamento delle teologhe italiane), Efrem Tresoldi (direttore di Pigrizia), mons. Domenico Mogavero (vescovo di Mazara del Vallo), mons. Matteo Zuppi (vescovo ausiliare di Roma), Renato Sacco (Pax Christi), padre Marco Malagola (che fu segretario di mons. Angelo Dell’Acqua), Umberto Allegretti, Roberto Fiorini (ex prete operaio), Giovanni Sarubbi.
Molti materiali di questa assemblea, compreso un documento conclusivo e alcuni impegni per il futuro, come pure i materiali della precedente assemblea e di una serie di attività collegate al “percorso” di memoria del concilio avviato da questi gruppi ecclesiali, si possono trovare sul sito www.chiesadituttichiesadeipoveri.it .
Nel corso dell’assemblea sono emersi molti elementi di confronto e di discussione. Ne ricordo alcuni. Giancarla Codrignani ha messo in questione il “magro bilancio” dei 50 anni che ci separano dall’enciclica di papa Giovanni: “Oggi – ha detto – nel mondo ogni momento c’è guerra; la pace non l’abbiamo ancora vista veramente”; e, anzi, “viviamo una perversione in tema di sviluppo degli armamenti”. Su questo aspetto si sono soffermati anche altri interventi. Il direttore della rivista dei comboniani, Nigrizia, padre Efrem Tresoldi ha ricordato che nel 2011 gli ordinativi di armi nell’Unione europea sono aumentati del 18 per cento. Renato Sacco, di Pax Christi, ha lamentato che la chiesa ancora non riesce a sopprimere l’istituto dei cappellani militari (e anzi è stata avanzata la proposta di fare di papa Giovanni il protettore dei militari!). Giovanni Sarubbi, che dirige il giornale on line dialogo.org, ha sostenuto che la chiesa dovrebbe finalmente saper dire ai soldati “non andate in guerra”, e ha ricordato che i militari italiani in Irak sono stati autori, di fatto, dell’uccisione di alcune migliaia di irakeni. Il pacifista e ambientalista Nanni Salio, del Centro Studi Sereno Regis, ha ricordato che forse servirebbe una nuova enciclica che sollecitasse la trasformazione non violenta dei conflitti e si occupasse anche della crisi ecologica e della sostenibilità dello sviluppo. Mons. Mogavero ha affrontato la sfida che l’immigrazione, il dialogo interculturale e il dialogo tra le chiese pongono oggi alla società italiana e dunque alla chiesa italiana; e ha detto di essersi vergognato in questi anni per come il paese Italia ha reagito di fronte ad alcune migliaia di africani che hanno varcato il Mediterraneo per cercare protezione nella nostra terra.
Altri interventi hanno provato a fare un bilancio dei 50 anni dalla enciclica rispetto ai tre “segni dei tempi” che il testo giovanneo aveva indicato come valori positivi del mondo moderno, valori condivisi anche dalla chiesa: l’ascesa dei lavoratori, l’emancipazione della donna e la liberazione dei popoli dal colonialismo. E’ stata Marinella Perrone ad osservare che la questione del lavoro andrebbe oggi profondamente ripensata, di fronte alla crisi che viviamo, e che anche in tema di colonialismo c’è da riscontrare quanto forti siano gli elementi che fanno pensare a nuove forme di dominazione. Viceversa, a suo parere, l’emancipazione femminile ha camminato positivamente, e non ha tradito il giudizio positivo contenuto nell’enciclica. Ma, soprattutto, la Perrone ha voluto insistere sulla necessità di riapprofondire, oggi, la questione dei segni dei tempi, e, con essa, la questione della loro valenza teologica e non solo sociologica.
Più radicale l’approccio di Antonietta Potente, suora domenicana che da molti anni vive in Bolivia. Ha detto che della Pacem in terris va fatta non una commemorazione ma un lavoro di interpretazione, in senso autocritico. Oggi, ha detto, la pace è una necessità ancora urgentissima, e si deve ammettere che la chiesa non è “chiesa di tutti, chiesa dei poveri”. Il termine chiesa rimanda oggi solo alla realtà della istituzione. La comunità cattolica, nonostante il concilio, è rimasta chiusa in un atteggiamento egocentrico. Dopo il concilio e dopo la Pacem in terris non si è più parlato degli uomini – i lavoratori, le donne, i popoli del Sud – come dei “soggetti, ma solo come dei “destinatari” del messaggio evangelico. Delle donne, ad esempio, non si è riconosciuta la soggettività, la creatività, la capacità di pensare e di fare le cose in modo diverso da come sono sempre state fatte… La Potente ha citato il suo maestro, il domenicano Dalmazio Mongillo, che le ha insegnato che non è il mondo che deve diventare chiesa, ma la chiesa che deve diventare mondo. Ha citato anche il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer e la sua teologia condotta senza basarsi sull’ipotesi-Dio: “Noi, ha detto la Potente, dobbiamo oggi ripensarci senza l’ipotesi-chiesa. Il termine chiesa è troppo ristretto…”. La chiesa è “una struttura troppo pesante”. Si devono – a suo avviso – riprendere i documenti ecclesiali di 50 anni fa per riscoprire di nuovo i soggetti della storia, riconoscendo che i passi di giustizia che sono stati fatti in questi decenni non sono venuti dalla chiesa.
Se Rosanna Virgili ha messo in risalto l’impianto biblico dell’enciclica – “un’enciclica”, ha detto, “che ha voluto dare un ordine al mondo a partire dalla dignità”, e poi, attraverso il diritto e la giustizia, fondare la pace -, e se Daniele Menozzi (e con lui Mozzillo e Cereti) ha ricostruito la genesi dell’enciclica sottolineandone le novità (la scelta preferenziale della democrazia come forma di governo delle società; l’approvazione dei diritti umani proclamati dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1948, cosa che Pio XII non aveva mai voluto fare; la verità non più messa al primo posto rispetto agli altri fattori di pace come la libertà, la giustizia e l’amore; la distinzione tra l’errore e l’errante, e dunque l’apertura al dialogo con i paesi comunisti, e, in Italia, alla collaborazione con la sinistra; la condanna della guerra, pur senza arrivare a una radicale sconfessione della cosiddetta guerra giusta), è stata la relazione letta di Raniero La Valle a offrire una lettura del filo che lega la Pacem in terris del ’63 all’oggi, e dunque papa Giovanni a papa Francesco.
La chiesa – ha detto La Valle -, nella primavera del 1963, dopo la prima sessione del Vaticano II, era ancora pre-conciliare. E’ stata la Pacem in terris ad operare un rovesciamento nei rapporti tra la chiesa e il mondo. Nel papa che scrive quell’enciclica, dice La Valle, c’era in nuce una riforma della chiesa e del papato. Il fuoco di quell’enciclica, dedicata non solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà, oggi può tornare ad ardere con papa Francesco. Lo aveva capito benissimo il domenicano mons. Ciappi, teologo del Sacro Palazzo, a cui papa Giovanni aveva fatto leggere il testo dell’enciclica la cui stesura era stata fatta da mons. Pietro Pavan, rettore della Lateranense: Ciappi aveva detto a papa Giovanni che l’enciclica era molto bella, ma in contraddizione con il pensiero di tutti i papi precedenti! E, in effetti, quella avviata da Giovanni XXIII con i suoi gesti è stata proprio una auto-riforma del papato; perché solo un papa può riformare il papto. Con il concilio, poi, papa Giovanni ha cercato di rendere possibile la riforma di tutta la chiesa. Ma, concluso il concilio, la chiesa – sostiene La Valle – è entrata in letargo. Anzi i papi successivi hanno scelto di ridare prestigio al papato. Tra essi Giovanni Paolo II; il quale, però, nominando Jorge Mario Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires, ha posto le premesse perché l’autoriforma del papato potesse riprendere.
21 Aprile 2013 at 20:22
Ringraziamo lo Spirito Santo che ci ha donato Papa Giovanni e che ora ci ha donato Papa Francesco. Se noi lo sapremo ascoltare, certamente Papa Francesco ci condurrà al rinno-
vamento dei nostri cuori e della Chiesa tutta (partendo da noi, naturalmente !)