Paolo Ricca, 1936-2024 – sermone di Gianni Genre

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di Gianni Genre*

E’ morto lo scorso 14 agosto Paolo Ricca, teologo valdese, impegnato da anni nella ricerca appassionata della Parola e nel dialogo ecumenico.  E’ possibile rileggere una sua intervista apparsa su Rocca lo scorso febbraio

Paolo Ricca, il nostro fratello in Cristo Paolo Ricca, il pastore valdese Paolo Ricca, l’illustre professore, il teologo profondamente protestante (basti pensare alla cura dedicata alle opere di Lutero) eppure convintamente ecumenico, Paolo Ricca, ci ha lasciati a 88 anni.
Il marito, innamorato, della sua sposa Stella Girolami, il papà molto amato di Laura e di Alberto, il fratello di Anna e di Mirella, il nostro amico carissimo ci ha lasciati.
Adesso – e non sarà affatto facile – tocca a noi lasciarlo andare.
Non è affatto facile, perché è assai difficile e dolorosa la condizione di chi si sente un poco orfano. Sì, uso questo termine perché alcune e alcuni di noi (ho rintracciato questo sentimento in alcune dei tanti messaggi e delle tante testimonianze che sono state lasciate sui social) sente davvero di essere più sola, più solo e più disorientato… Sebbene sapessimo che Paolo era più fragile, sapevamo che Paolo c’era, era pronto a rispondere e ad accogliere le nostre domande e i nostri dubbi.
Non lo lasceremo andare nel nostro cuore e nella nostra riflessione, nella nostra preghiera e nella nostra memoria, nel nostro affetto grande per lui, ma dovremo imparare a vivere sapendo che il suo posto rimarrà vuoto, qui accanto, nell’aula sinodale come in mille e mille momenti di culto in cui abbiamo ascoltato la sua voce, nei suoi interventi e nei dibattitti biblici, teologici, ecumenici, su un numero infinito di questioni di attualità, di etica, di storia.
Su un versetto biblico o anche solo su una parola biblica che Paolo sapeva scavare e far vivere come nessun altro.
A settembre, il 16 settembre, a Roma, una commemorazione ufficiale ricorderà alcuni, solo alcuni, degli aspetti e dei doni che il Signore ci ha messo a disposizione attraverso questo nostro fratello maggiore. Ci sarà dunque un tempo per l’omaggio e per l’elogio.
Penso alla sua disponibilità infinita a visitare e a predicare nelle nostre piccole e malandate chiese, come in occasioni di assoluto rilievo e prestigio. È stato il primo pastore valdese ad avere libertà di parola a San Pietro, per la prima volta nella storia della Basilica. Accadde nel novembre del 2022, invitato dal cardinale Gianfranco Ravasi in occasione di una Lectio Petri. Quel giorno Ricca parlò dell’interpretazione del versetto biblico: “Su questa pietra edificherò la mia chiesa”.
Ma noi siamo qui, oggi, per rendere grazie a Dio per la vita di Paolo Ricca. Sì, un momento di culto di rendimento di grazie al Signore, questo vuol essere anche oggi il momento di congedo che chiamiamo funerale. Abbiamo tutte e tutti, molti e diversi motivi di gratitudine a Dio per ciò che abbiamo ricevuto da Paolo.
Siamo insieme, sì, molto numerosi, perché vogliamo dire “ad-Dio” a una persona che ha avuto un posto importante nelle nostre vite personali.
Nessuna azione di suffragio, nessun rito religioso destinato a lui o a noi, perché affidiamo Paolo al Signore della vita, quel Signore che Paolo ha conosciuto e predicato instancabilmente. Ma vogliamo condividere una speranza comune sapendo che la morte non è il nostro orizzonte, ma siamo promessi alla vita.
Paolo Ricca aveva deciso, da lungo tempo, che sarebbe stato meglio non avere un funerale. Solo nelle ultime settimane ha pensato che fosse forse opportuno avere un momento di riflessione e di ascolto. Senza lasciare indicazioni di testi biblici o di inni.
(…)

Letture bibliche
Giudici 6, 11-16
11b Gedeone, figlio di Ioas, trebbiava il grano nello strettoio per nasconderlo ai Madianiti. 12 L’angelo del SIGNORE gli apparve e gli disse: «Il SIGNORE è con te, o uomo forte e valoroso!» 13 Gedeone gli rispose: «Ahimè, mio signore, se il SIGNORE è con noi, perché ci è accaduto tutto questo? Dove sono tutte quelle sue meraviglie che i nostri padri ci hanno narrate? (…)Ma ora il SIGNORE ci ha abbandonati e ci ha dati nelle mani di Madian». 14 Allora il SIGNORE si rivolse a lui e gli disse: «Va’ con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian; non sono io che ti mando?» 15 Egli rispose: «Ah, signore mio, con che salverò Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse, e io sono il più piccolo nella casa di mio padre». 16 Il SIGNORE gli disse: «Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti come se fossero un uomo solo».
Marco 4: 26-34 26 Gesù diceva ancora: «Il regno di Dio è come un uomo che getti il seme nel terreno, 27 e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come. 28 La terra da se stessa porta frutto: prima l’erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. 29 Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l’ora della mietitura è venuta». 30 Diceva ancora: «A che paragoneremo il regno di Dio, o con quale parabola lo rappresenteremo? 31 Esso è simile a un granello di senape, il quale, quando lo si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; 32 ma quando è seminato, cresce e diventa più grande di tutti gli ortaggi; e fa dei rami tanto grandi, che all’ombra loro possono ripararsi gli uccelli del cielo». 33 Con molte parabole di questo genere esponeva loro la parola, secondo
quello che potevano intendere. 34 Non parlava loro senza parabola; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Cara Stella, cara Laura e caro Alberto,
care Anna a Mirella,
care e cari…
Paolo Ricca utilizzava volentieri un termine che dice la cura che possiamo avere per la realtà che ci circonda. Che si trattasse di un versetto biblico, anche di una sola parola, di un solo vocabolo biblico o di una questione che riguardava qualcuno, (esempio del ragno…), Paolo ci ha insegnato a chinarci su ciò che stiamo facendo o su chi incontriamo.
Cerchiamo dunque di raccogliere qualche frammento dell’eredità che Paolo ci lascia (anche questo è nostro compito quando prendiamo congedo), provando a chinarci, nella dimensione della riconoscenza, sulla traccia che ha lasciato la sua vita.
Ciò che colpisce è stata la sua capacità di fare mille e mille cose. Sarà difficilissimo provare a fare un elenco, se mai qualcuno proverà a farlo, e questo elenco sarà sempre assai parziale.
Ma, in mezzo a questa montagna di impegni assolti, ciò che ci appare davvero incredibile, era la sua capacità di lasciarsi interrompere per ascoltarti, per risponderti, a voce, per telefono o per iscritto, prendendo infinitamente sul serio ciò che ti stava a cuore, che fossero cose davvero serie o, molto spesso, cose e domande e questioni che non rivestivano importanza capitale.
Era così negli anni dell’insegnamento, ogni volta che ponevi una domanda, magari suonando il campanello della sua abitazione, e negli ultimi decenni in cui ha risposto agli inviti più disparati, che apparivano anche a me (e certamente ai suoi familiari!) del tutto eccessivi.
Con la parola, quella sua e quella con la P maiuscola, oltre alla mole gigantesca del lavoro accademico (basti pensare alle opere scelte di Lutero), arrivava davvero ovunque: predicazioni, conferenze, interventi, inviti anche personali, articoli, interviste…, spendendosi in modo un po’ folle.
Forse non lo abbiamo rimproverato abbastanza (ma comunque non ascoltava questi rimproveri, vero?…).
Qualunque impegno stesse vivendo – e con qualunque intensità lo stesse vivendo (forse il giorno dopo doveva consegnare uno scritto o intervenire a mille km di distanza) Paolo ti ascoltava, aveva tempo per te… tempo che poi doveva in qualche modo recuperare di notte…
E ti accorgevi, sempre, e ne eri edificato, che lo faceva con attenzione e con gioia, come tutte le altre cose che faceva. Tutte!
Perché dico questo? Per scoprire il segreto che si nascondeva dietro questa disponibilità.
Ed ecco una possibile risposta nei due testi che abbiamo appena ascoltato.
Il primo è la parola con la quale Dio risponde a Gedeone. Ti ricorderai, sorella e fratello, la situazione di Israele è drammatica. A causa del loro peccato (di Israele) i Madianiti opprimono Israele che vive nella paura. E Dio chiama questo giovane impaurito, senza arte né parte, figlio della famiglia più povera di Manasse, a liberare il suo popolo. Non solo gli israeliti sono molto meno numerosi dei Madianiti, ma sono ancora, per Dio, troppo numerosi. Ne verranno selezionati soltanto trecento, affinchè, dice il testo, Israele non si vanti di fronte a Dio pensando che la vittoria è stata frutto del proprio valore.
Ed ecco la parola della vocazione. «Va’ con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian; non sono io che ti mando?».
Vai con la forza che tu hai. Paolo Ricca ha fatto quello che ha fatto, faceva tutte le cose che faceva, a causa di questa chiamata di Dio che lo aveva investito (“investito” è un termine congruo per Paolo, nelle sue diverse accezioni). Tutto era dovuto alla sua vocazione che lo rendeva capace di rispondere così come ha risposto. Eravamo ammirati ma lui sapeva che non c’era alcun merito in tutto questo…
Penso allora a questa nostra chiesa, così amata da Paolo e così affaticata, a me e a noi, pastore e pastori, sorelle e fratelli. E, se vuoi, volentieri allargo lo sguardo al cristianesimo europeo del nostro tempo: stanco, incerto, ripiegato, segnato dal disincanto. Insicuro perché incerto sul senso della propria vocazione.
Tu mi dirai, ovviamente, che anche Gedeone voleva tirarsi indietro ed ha chiesto a Dio dei segni che fosse Dio a chiamarlo. Vero, ma poi ha accettato la sfida, fino in fondo, della vocazione.
Vai con la forza che tu hai. È bellissima questa parola che Dio rivolge a Gedeone. Questa parola che ha rivolto a Paolo e a cui Paolo ha creduto. Non gli ha detto e non dice neppure a te: vai con la forza soprannaturale che ti darò, vai con i superpoteri che riceverai.
No, vai con la forza che tu hai, che hai già ricevuto.
Cosa significa? Significa questo: non avere paura se a tratti la tua vita ti appare fragile, in alcuni momenti addirittura un po’ inutile o vuota. Oggi ancora la vita è un dono per te, che ti viene rinnovato come ogni giorno. E non devi giustificare questa tua giornata, è un dono immeritato. Sei come il giglio del campo e come l’uccello del cielo, che approfittano del sole e della pioggia senza porsi delle questioni. Semplicemente vivendo la loro giornata.
Significa chiedersi: la fede che cos’è? La fede è questo, semplicemente: affidarsi, dare fiducia. Non è un insieme di convinzioni, di certezze dogmatiche che ti permettono di sottoscrivere delle affermazioni teologiche che puoi trovare nelle confessioni di fede. Non è credere che Dio è Uno e Trino o cose del genere.
Fede è lasciarsi portare, lasciare che la tua vita sia portata, sostenuta. Non dalla tua fiducia in Dio, ma dalla fiducia che Dio ha in te.
Paolo questo sapeva, questo credeva, di essere portato.
Farò quello che posso fare, quello che Dio mi consentirà di fare, con le forze che mi dà… Me lo ha detto in circostanze difficilissime, a Firenze, in ospedale, più di vent’anni fa, dopo l’infarto e dopo il tumore. Farò, andrò, con le forze che ho, con le forze che ho ricevuto e riceverò. Fino a quando Dio lo vorrà. Amen.
Questo è il segreto-non segreto che stava dietro alla forza straordinaria che Paolo aveva anche quando in questi ultimi tempi era fragile, assai fragile, dal punto di vista della salute e delle energie. Nell’ultima mail che mi ha scritto mi chiedeva però se il prossimo XVII febbraio fosse possibile essere ancora invitato una volta, un’ultima volta, alle Valli…
Era come se Dio gli dicesse (e dice a te oggi): Lo so, domani, avrai altre difficoltà da affrontare, avrai forse di nuovo paura. Ma domani io sarò di nuovo con te. Hai poca forza? Vai con quella poca forza. Se hai poca fede, vai con quella poca fede, è sufficiente quella poca fede.
Hai poca speranza? Spera con quella poca speranza, sarà sufficiente a proseguire il cammino. Dio ti farà sempre trovare quel poco di pane, di coraggio e di perdono che ti permetteranno di andare, di vivere, di predicare, di credere.”
Secondo pensiero, collegato a questo, dal secondo testo che ho scelto, quello delle brevi parabole di Marco (sono presenti solo in Marco).
La vocazione è quella di sapersi giardinieri del Signore. Paolo non ha mai fatto nulla di ciò che ha fatto per una qualche ragione di ambizione, di prestigio, di una qualche forma di affermazione di sé (e avrebbe avuto mille ragioni per averne!). Non ambizione, ma spontaneità e gioia.
Faceva, con la forza che aveva, sapendo che il suo unico compito, la sua unica vocazione era quello di seminare. Il resto non è affar nostro, non era affar suo.
Il resto, tutto il resto, è affare di Dio, è sempre affare di Dio. Fare del proprio meglio, certamente, ma senza guardare con ansia ai propri risultati e, ancor meno, al proprio successo. È come per il Regno di Dio che cresce nella notte.
Sapere che sei autorizzato, autorizzata a spenderti, in questo mondo, da una vocazione. Sapendo, come ci dicono queste due brevi parabole, che non saranno i risultati raggiunti a giustificare il tuo lavoro, il tuo impegno, la tua fede.
Ma la fiducia di Dio in te che ti precede. Nessun bisogno, anche qui, di legittimare la tua vita e il tuo lavoro, è l’amore di Dio per te che autorizza ogni cosa.
Pensare che tu sei ciò che riesci a fare, quand’anche tu facessi tutte le cose che ha fatto Paolo Ricca, ti condurrebbe e ti condannerebbe all’amarezza, altro rischio che sta sempre in agguato nella nostra vita…
Indicizzare il senso della tua vita sui risultati raggiunti, sui successi o sui fallimenti registrati, rende la tua vita qualcosa di invivibile. No, la fiducia di Dio in te, che precede ogni tua decisione o azione, ti libera e ti apre all’impegno.
Produce quella stessa libertà che Gesù ha vissuto, nel perdonare gli imperdonabili, nell’accogliere gli impuri, nel frequentare le prostitute, nel toccare i lebbrosi, nel mangiare con i pubblicani. Nell’essere accanto fino alla maledizione della croce ai maledetti.
Paolo ti dava sempre l’impressione di darti fiducia, quando parlavi con lui, perché sapeva della fiducia prioritaria, precedente, quella di Dio che lo ha reso libero per il suo servizio nei confronti della chiesa e del mondo. E per renderlo capace, a sua volta, di seminare fiducia.
Concludo con un’immagine che a Paolo piacerebbe molto perché è un’immagine che riguardava anche Lutero che lui ha studiato così a lungo. E che riassume il senso della sua vocazione e della sua fede. Della vocazione di Lutero e di quella di Paolo.
Ebbene, in mezzo alle sue giornate così piene, di studio e di impegno, di servizio alla Parola e alla gente che lo cercava per mille cose diverse, Paolo sapeva fermarsi.
Per la condivisione, per momenti di comunione, per sorridere, per mangiare e bere con le tante persone che amava e che lo amavano. Perché sapeva che la fase di crescita, di trasformazione del piccolo seme che a noi viene chiesto di seminare, non dipende affatto da me, da te, da noi.
Durante la fase del germogliare, del crescere, il seme che ho buttato nella terra non ha bisogno di essere “aiutato”, difeso, sostenuto da me. Quel seme, così debole, così insignificante quando lo butto, è estremamente forte mentre cresce. Ciò che accade dopo la semina non è più affare mio, non è affare tuo, ci pensa Dio stesso.
Questo è motivo di infinita consolazione.
Lutero, a proposito dei semi della Parola, scriveva: “La Parola deve agire, non noi, poveri peccatori. Io voglio predicarla questa Parola, voglio dirla, voglio scriverla. Ma la Parola da sola deve agire e lo fa mentre io dormo e quando bevo la birra con i miei amici”.
C’è una grazia straordinaria in queste parole. C’è il tempo dell’impegno, assoluto, senza risparmio, senza accontentarti del pressapochismo di chi pensa che comunque non ne vale la pena… Poi, però, dovrai imparare a dire con Lutero: “La sera, quando vado nella mia stanza, butto le chiavi ai piedi del mio Signore e gli dico “Adesso è tutto affare tuo”.
Adesso, Paolo Ricca ha buttato le chiavi ai piedi del suo e nostro Signore.
Anzi, io credo le stia già riprendendo. E stia concordando con Lui sul come riprendere il filo del discorso appena interrotto.
Sono certo che la faccenda sia impegnativa per Paolo Ricca, ma credo lo sia anche per Dio.
Soli Deo gloria!
E così sia!

 

* Pastore valdese

2 Comments

  1. Come mi dispiace la morte di Paolo Ricca. Giampiero Forcesi lo stimava molto.
    Scusate se spesso, quando leggo C3dem, penso sempre a Giampiero. .

  2. Grazie per questo ripercorrere passo dopo passo la vita del nostro fratello Paolo. Mi è sembrato di rivederlo, di risentirlo come le volte in cui mi rivolgevo a lui a motivo di momenti di sconforto, di dubbio, che non mancavano mai. Le tue parole, i tuoi pensieri li ho riconosciuti come le parole e i pensieri che hanno attraversato la mia mente e il mio cuore pensando a Paolo.
    Grazie per la forza che questi ricordi hanno su di me, mi incoraggiano ad andare avanti nonostante la mia pochezza perchè una cosa l’ho capita leggendoti: quello che facciamo, quello che faccio lo dobbiamo solo al nostro Signore e alla fiducia che Lui ripone in ciascuno/a di noi e questo lo dovrò ricordare ogni giorno, mi servirà per proseguire, avendo la certezza che il Signore sta camminando avanti a me.
    Gloria Preite
    p.s. da quel che so, la commemorazione dovrebbe essere sabato 14 settembre alle ore 9,00 nella chiesa di P.zza Cavour. Tu scrivi che sarà il 16 settembre. Qual è la data giusta?

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