In questi ultimi due anni, con Papa Francesco, si comincia a capire lucidamente cosa volesse dire l’espressione transizione epocale, applicata al Concilio Vaticano II dalla scuola di Bologna diretta dal compianto prof. Giuseppe Alberigo, ad indicare un processo avviato da papa Giovanni XXIII con la sua indizione. Pare chiaro come l’attuale pontefice, in tutti i passaggi decisivi del suo pontificato, sia ben radicato nelle istanze più profonde del Concilio Vaticano II, a differenza della Conferenza Episcopale Italiana, che in molte sue articolazioni per decenni ne è rimasta disallineata, e di un immaturo e sempre più secolarizzato popolo cattolico, semplicemente distratto dalle promesse di un capitalismo rampante ed individualistico che poco tempo ha lasciato alla costruzione di un bene comune universale, fagocitando energie ed intelligenze alla realizzazione di interessi particolaristici e privatistici. Chiediamoci: quanto è stato osteggiato, frenato, accantonato il Concilio nelle diocesi italiane? È un caso il fatto che siamo scivolati nella deriva berlusconiana, con tutte le sue implicazioni antievangeliche?
Le urgenze, le spinte, gli impulsi che Papa Francesco elargisce sono quelli di un pastore che ha fatto propri gli insegnamenti del Concilio e si è misurato con essi ruminandoli profondamente nelle loro priorità più rilevanti. Ha vissuto in un’area, l’America latina, dove l’urto delle idee che hanno percorso il Concilio ha inciso fattivamente: molte donne e uomini di buona volontà hanno spinto perché le loro diocesi in quella temperie si ispirassero alle idee conciliari; hanno pagato duramente con la loro testimonianza e spendendosi con tutte le loro forze perché questi fermenti facessero fiorire il loro tessuto ecclesiale, collocandosi in modo fattivo al fianco degli oppressi. E’ un papa che va calato, collocato nel suo contesto e non decontestualizzato se vogliamo capire la portata di quanto sta innescando. I suoi discorsi sono segnati dal tema dei poveri, della pace, dal dialogo ecumenico, dal dialogo interreligioso, dalla collegialità, dalle urgenze della storia, dal vangelo come unico punto di riferimento per tutti i cristiani. Questi erano i temi che agitavano, scuotevano le punte più avanzate del Concilio o avevano attraversato i pionieri e gli uomini di frontiera che vedevano la corsa del Vangelo appesantita nella chiesa del proprio tempo, nei vari collateralismi politici o schierata con il sistema dominante.
Quello che colpisce in questo papa, come in papa Giovanni XXIII, è la considerazione della storia come luogo teologico per una testimonianza mite e umile del sermone sul monte e non un luogo di riconquista di spazi e potere: non si muove come chiesa costantiniana o nella logica della cristianità, ma come una compagine che si lascia interpellare dall’Evangelo, si lascia alle spalle i compromessi con i poteri ed è audace nella ricerca della giustizia, attenta all’appello degli uomini dentro le trame della storia del proprio tempo, si muove da protagonista responsabile, nel segno della diaconia nei confronti dei più feriti, dei più calpestati. Non voglio buttarla in politica, ma c’è un aspetto che mi colpisce del nostro papa: la sua critica al capitalismo. Spesso con gli studenti parlo dei manuali sui quali studiano: in essi si ripercorre il secolo che è alle nostre spalle, che si è chiuso o è ormai esaurito, e si denunciano i disastri compiuti dal fascismo, dal nazismo, dal comunismo, dal maschilismo, dai limiti del femminismo che è pur segnato da istanze altissime, dal razzismo, dall’ateismo, dai fondamentalismi religiosi, tutti accomunati dalla mancanza di rispetto verso i diversamente pensanti. In questi manuali manca spesso però una critica dura nei confronti del capitalismo che sta sfruttando e distruggendo la natura, gli animali, l’ambiente. E’ la storia scritta dai vincitori. Papa Francesco, invece, fa proprio lo sguardo delle vittime e ci offre un’interpretazione diversa del passato e del presente. Io penso che le generazioni che vivranno la congiuntura futura, ringrazieranno questo papa per essersi speso nella critica di un capitalismo che calpesta tutto e ha al suo soldo fiancheggiatori ben prezzolati nella comunicazione, tra cui molti intellettuali che volentieri voltano la faccia alle disumanità pesantissime di un sistema economico finalizzato al profitto. Ci si chiederà come mai tutti, non solo le masse, non abbiano aperti gli occhi sulle ingiustizie inaccettabili che schiacciano gli ultimi.
Questo papa, laddove è egemone l’ala tradizionalista, lo si accusa di essere colluso con il marxismo e non si coglie la forte spinta evangelica che lo attraversa e con la quale vorrebbe contagiare la sua amatissima chiesa. La sua direttrice di marcia è vento conciliare che soffia senza ripiegamenti: diventi imprescindibile per tutti noi cristiani!
Speriamo che il tessuto ecclesiale intercetti i fermenti che con energia, grinta, mite determinazione il nostro papa Francesco generosamente semina, per costruire una storia delle donne e degli uomini più giusta e solidale. Intanto registriamo, come con papa Giovanni, che nel popolo di Dio, come tra gli uomini di buona volontà, la stima nei confronti di Papa Francesco è alta come le montagne e di questo ne siamo tutti immensamente contenti. Aiutiamolo dunque a storicizzare il Vangelo in una fase densa di mutamenti e processi sociali segnati da grande complessità. Infine, come cattolici conciliari, cristiani adulti, cerchiamo di far maturare nei contesti dove siamo coinvolti gli impulsi evangelici che caratterizzano l’attuale pontefice: comportandoci come lui, uomo in mezzo agli uomini, compagno di viaggio fecondo per un vero contributo all’umanizzazione della società, malgrado le ostinate resistenze al Concilio che tuttora serpeggiano nella chiesa.
Molli Mario Giuseppe 3-4-2015