Questo documento (il cui titolo completo è “Per una vera fase costituente: ricostruire il Pd sulle fondamenta originarie dei valori dei Democratici”), a firma di Stefano Ceccanti, Graziano Delrio, Stefano Graziano, Marianna Madia, Roberto Morassut, Pina Picierno, Debora Serracchiani, Giorgio Tonini e Walter Verini, è stato presentato il 22 dicembre nella sala Sassoli della Direzione nazionale del Pd alla presenza del segretario Enrico Letta e dei tre candidati Stefano Bonaccini, Paola De Micheli e Elly Schlein
- La sconfitta subita alle elezioni politiche del 25 settembre ci ha consegnato un Pd più piccolo e solo. Dimezzato sul piano elettorale rispetto al partito fondato nel 2007 e isolato sul piano politico, circondato non già da un sistema di alleanze imperniato sulla sua forza e la sua leadership, ma da competitori che si pongono l’obiettivo di un suo drastico ridimensionamento. Il risultato del 25 settembre ha in definitiva messo in discussione la funzione storica del Pd, il senso stesso della sua esistenza: unire le culture e le forze riformiste italiane, storicamente divise e in competizione tra loro, elaborando un pensiero comune e una proposta unitaria per il governo del Paese, con l’obiettivo di rendere il riformismo maggioritario e di consentire all’Italia di sperimentare un vero ciclo riformista, cosa mai accaduta nella sua storia. La sconfitta del Pd allontana questo orizzonte, perché rende più difficile, se non impossibile, l’unità dei riformisti, condanna il centrosinistra ad una strutturale minorità e priva il Paese di un’effettiva possibilità alternativa al governo di destra-centro.
- La proposta del segretario Enrico Letta di dar vita ad un “Congresso costituente” rappresenta un passaggio in sé straordinario, ad indicare la comune consapevolezza della radicalità esistenziale della sfida politica dinanzi alla quale si trova il partito. Si tratta di un’occasione che il Pd non può sprecare, perché non è affatto certo che possa essercene un’altra. Tutti i dirigenti e i militanti devono avere piena coscienza che si tratta di un’operazione delicata, basata su un difficile equilibrio tra i due termini in gioco. Lo spirito “costituente” chiama le componenti culturali, politiche, territoriali del partito ad uno sforzo per convergere su ciò che unisce: l’identità del Pd, la sua funzione storica, la missione di medio termine che è chiamato a svolgere nel e per il Paese. D’altra parte il Congresso, massima espressione di democrazia interna, implica un passaggio di lotta politica vera e quindi anche aspra, per la decisione necessariamente a maggioranza, da parte di una platea ampia di iscritti ed elettori, su ciò che fisiologicamente divide: la proposta politica, esplicitata da mozioni e ipotesi di leadership personale e collettiva.
- Tenere insieme e armonizzare le due diverse tensioni, il Congresso e lo ‘spirito costituente’ è tanto difficile quanto indispensabile. Spetta a tutto il Pd dimostrare di essere fedele al motto dell’Ulivo “Uniti per unire”: uniti tra noi, su ciò che è essenziale, per poter essere credibili nel federare il centrosinistra su una proposta di governo per il Paese. È dunque essenziale che lo “spirito costituente”, inteso come consapevolezza della radicalità della sfida e della necessità di affrontarla in modo solidale, influenzi positivamente il confronto tra i candidati e le mozioni. Va invece evitato, con la massima cura da parte di tutti, che si verifichi il processo inverso, che il fisiologico antagonismo congressuale travolga le basi di quell’impresa collettiva che porta il nome grande e ambizioso di Partito democratico. Questa cura va dimostrata in modo tanto più attento e rispettoso se si intende procedere a una revisione critica, come può essere opportuno e perfino necessario fare, dei testi costituzionali del Pd, fermi i presupposti di fondo tuttora validi. Vanno messi al bando i giudizi sommari in favore di un approccio rispettoso, non solo delle personalità che di quella vicenda furono protagoniste, ma anche e soprattutto del metodo partecipato che allora fu adottato: un primo Manifesto per il Pd, redatto nel 2007 da un comitato di saggi nominati da Romano Prodi, d’intesa con Piero Fassino e Francesco Rutelli, allora leader di Ds e Margherita, poi votato dai congressi dei due partiti e sottoscritto dai tre milioni di elettori che parteciparono alle primarie per l’Assemblea costituente ed elessero Walter Veltroni primo segretario del nuovo partito; un nuovo Manifesto dei valori, redatto da una commissione presieduta da Alfredo Reichlin, che lavorò in parallelo con la commissione che elaborò lo Statuto e quella che redasse il Codice etico. La complessità di quel percorso e l’autorevolezza delle personalità che vi furono coinvolte non devono ovviamente comprimere, oggi, la riflessione e se necessario la revisione, ma impongono un confronto di alto livello, che escluda caricature grottesche, tanto offensive quanto infondate, di ciò che si è pensato, elaborato e codificato in quella felice e feconda stagione della nostra storia comune. Sappiamo che ci sono davanti a noi scandalose diseguaglianze e che i processi di globalizzazione che hanno consentito in altri contesti la fuoriuscita di centinaia di milioni di persone dalla povertà hanno creato, nelle democrazie stabilizzate, ingenti problemi di tenuta sociale e politica. Ma un’analisi seria e approfondita richiede tempi e modi adeguati, che consentano di ritrovarsi uniti sull’essenziale.
- A quindici anni di distanza i principi fondamentali alla base della fondazione del Pd, al di là delle loro formulazioni puntuali, appaiono del resto più attuali che mai. A cominciare dall’idea che esista un’identità democratica, per così dire “senza aggettivi”, che non solo non è meno forte e strutturata delle sue declinazioni novecentesche, vuoi in senso liberale, socialista, cristiano, o altro ancora, ma si pone al contrario come più capace e adeguata a cogliere e interpretare le sfide e le speranze del nostro tempo. Un tempo segnato dalla dura competizione per l’egemonia mondiale tra paesi retti da un compromesso, sempre imperfetto e in perenne evoluzione, tra capitalismo e democrazia, e paesi che invece considerano la democrazia incompatibile con i loro obiettivi di crescita e sviluppo. In questo mutato contesto storico, l’identità democratica è tutt’altro che debole o remissiva. Al contrario, si colloca al centro della frattura fondamentale che oppone le forze che scommettono sulla democrazia per spingere in alto la crescita economica, coniugandola con la sostenibilità sociale e ambientale, e le forze che invece considerano la democrazia, la libertà, i diritti umani e civili, un fattore di debolezza nella competizione globale e scommettono sulla migliore efficienza dei sistemi di stampo autoritario. Si tratta di una frattura che solo in parte coincide con quella tra Occidente e Paesi emergenti, asiatici e non solo. La sfida tra democrazia liberale e “democratura”, nel senso di democrazia illiberale e autoritaria, attraversa anche l’Europa e il Nord America, come dimostra il diffondersi delle tendenze populiste e sovraniste.
- Se dunque i documenti costitutivi possono essere aggiornati, non è certo per tornare indietro rispetto all’intuizione della centralità della questione democratica in quanto tale. Si tratta, semmai, di sviluppare quanto è contenuto nel codice genetico del Pd. Basti pensare al tema della democrazia sovranazionale come risposta obbligata a questioni decisive per il futuro dell’umanità: mutamenti climatici, accesso a beni primari e fonti energetiche, ripresa della minaccia atomica, squilibri demografici, grandi migrazioni, parità di genere. E la piena affermazione dei diritti umani, civili e di cittadinanza, che non sono altro dalle battaglie per i diritti sociali. O ancora si pensi al tema della democrazia economica o alle nuove frontiere del rapporto tra rappresentanza sociale e rappresentanza politica. È qui che si può rinvenire la radicalità riformista dell’identità democratica, la sua straordinaria potenzialità di attrazione, mobilitazione e cambiamento. Se i democratici sapranno prenderne coscienza e agire di conseguenza. In particolare si tratta oggi di partire da tre pilastri entro i quali crediamo che la sua funzione trovi legittimazione e sostegno popolare: un partito che ricerchi un nuovo spirito e una nuova organizzazione europea e transnazionale, perché la crisi più generale della politica coincide con la crisi degli stati nazionali e solo nella cornice europea è possibile immaginare una sua soluzione; un partito della coesione nazionale e europea, perché solo attraverso il graduale superamento del divario territoriale del Mezzogiorno è possibile immaginare una nuova funzione nazionale nelle connessioni europee e globali; un partito della rivoluzione femminile in atto, perché non possiamo permetterci di essere lontani dalla più grande traiettoria di sviluppo democratico, economico e civile di questo secolo, la liberazione delle donne.
- I Democratici sono chiamati a fare scelte tali da configurare una forza davvero aperta, che concili la stabilità di ciò che noi chiamiamo “partito” con l’agilità di ciò che chiamiamo “movimento”. Abbiamo intuito prima di altri l’esigenza di nuove forme partecipative non più compatibili con le tradizionali “forme partito” e con certi loro riti. Fu usato impropriamente il termine di “partito liquido” per caratterizzare negativamente quella che invece era la ricerca di un nuovo modello partecipativo teso a garantire una maggiore permeabilità rispetto ad un vasto tessuto civico e associativo e alla volontà di impegno dei singoli cittadini e delle giovani generazioni in particolare. Non siamo riusciti in misura sufficiente. Ad un certo punto “il vecchio ha afferrato il nuovo” e sono risorte, consolidandosi, antiche pigrizie partitiche e correntizie, senza però i pregi dei partiti radicati e popolari e delle correnti un tempo portatrici di apporti ideali, culturali e programmatici. Non ultime le questioni etiche, che hanno coinvolto a vario titolo nostre esperienze istituzionali o comunque a noi prossime. Se è vero, come è vero, che queste non riguardano nello specifico una parte politica, a maggior ragione noi non possiamo avere alibi. C’è bisogno che una riforma morale e istituzionale, rappresentativa dei più urgenti e sani bisogni dei cittadini, attraversi di nuovo la politica ad ogni suo livello. Sarebbe assai curioso che questa non fosse assunta come una questione, in sé, costituente di un nuovo rapporto tra politica e cittadinanza, tra partiti e interesse generale. Così come sarebbe fatale abbassare la guardia sulla lotta alle mafie. Nel corso di questo ultimo trentennio le dinamiche di espressione del potere criminale e del controllo territoriale si sono radicalmente modificate: una presunta invisibilità o comunque una minore visibilità del fenomeno non deve indurre a sottovalutarlo, ma solo a adeguarne gli strumenti di contrasto. Occorre rimettersi in cammino, sviluppare l’esperienza del Pd in un più ampio perimetro di realtà democratiche e associative che rappresentano il reale alveo della partecipazione civile e politica del Paese. Va aperto un nuovo ciclo del cammino dei “Democratici”, che sappia tradurre con modelli e forme di relazioni sociali inedite, in un tempo nuovo e in un mondo nuovo, segnato da nuove contraddizioni, i principi e i valori fondanti del Pd, che restano ancor di più, oggi, validi.
- Il nostro, dunque, è un appello a tutte le democratiche e a tutti i democratici affinché la straordinaria occasione rappresentata dal Congresso “costituente” venga utilizzata al massimo delle sue potenzialità, evitando di ridurla ad una triste e frettolosa resa dei conti o ad un meschino rimpallo di responsabilità.
Chiediamo al Segretario nazionale, nella sua veste di garante del percorso, di favorire la chiara distinzione tra una dimensione di revisione costituzionale, che senza azzerare i principi fondamentali privilegi ciò che unisce, e una più propriamente congressuale, di confronto e competizione tra piattaforme e candidati alla segreteria.
Chiediamo al Comitato di far propria questa impostazione e di agevolare l’azione del Segretario nel farla rispettare.
Chiediamo ai candidati di condividere l’impegno a non trascinare nella legittima e salutare competizione per la leadership i principi identitari del Pd, collocando la competizione sul terreno del loro sviluppo in una efficace e convincente proposta politica e di governo. È in questo spirito che proponiamo ai candidati di distinguere la fase attuale di verifica congressuale e di inizio del dibattito costituente e quella delle decisioni costituenti, da affidare alla prossima Assemblea nazionale.
Stefano Ceccanti, Graziano Delrio, Stefano Graziano, Marianna Madia, Roberto Morassut, Pina Picierno, Debora Serracchiani, Giorgio Tonini, Walter Verini