Pedrazzi, il racconto del Concilio (2008-2013). Con una sua pagina del settembre 2013

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Vorrei inserirmi nella scia del bel ricordo che Grazia Villa ha dedicato a Gigi Pedrazzi, per dare conto di un aspetto del suo impegno che ho potuto vedere da vicino nel corso di anni di frequentazione ravvicinata e che forse resterà un po’ ai margini nelle molte testimonianze che ne descriveranno i più noti aspetti politologici. Mi riferisco all’aspetto ecclesiale della sua personalità. Gigi sapeva mirabilmente temperare un genuino (e, al bisogno, ribadito) senso della laicità con un’attenzione palpitante alle vicende della chiesa cattolica, tanto al livello universale quanto al livello locale della sua Bologna.

Come battezzato si sentiva sempre parte responsabile della vicenda ecclesiale e ne faceva spesso oggetto delle sue riflessioni, anche critiche, senza mai rifiutare, quando ve ne fossero le condizioni, di collaborare cordialmente senza ombra di bigottismo. E’ stato scritto che Gigi  è stato “imprenditore di mille iniziative comunitarie”. E’ vero.  Negli ultimi anni, una di queste iniziative, quella che voglio testimoniare, l’ha messa in piedi per fare memoria del Concilio (mi piace ricordarlo qui, su un sito che si richiama a Costituzione Concilio e Cittadinanza…). Nel momento in cui gli nacque l’idea, il Concilio pativa già da alcuni anni di un senso di oblio se non addirittura di una presa di distanza; con il rischio, perciò, di essere trasmesso alle giovani generazioni come un evento controverso. E questo avveniva proprio anche all’interno della chiesa. Fu così che Gigi, da poco compiuti gli ottant’anni e trovandosi da pochi mesi privato della compagnia della sua Ada, interpretò questa nuova fase della sua esistenza come un tempo da dedicare all’impresa, un po’ donchisciottesca, di ri-raccontare il Concilio a una rete di corrispondenti da raggiungere ogni mese con una lettera inviata via mail. Il suo intento era di cercare di ritrasmettere la forza dell’avvenimento conciliare, l’entusiasmo che infuse alle generazioni di allora, l’importanza che ebbe nella formazione delle coscienze. E per non eludere nessuno dei contenuti, dei problemi, delle poste in gioco nella vicenda conciliare immaginò un itinerario narrativo che, a partire dall’autunno 2008, si ricollegasse esattamente a cinquant’anni prima, all’autunno del 1958, e dunque all’elezione di Papa Giovanni XXIII e alla sua volontà di indire un Concilio, e poi procedesse mese per mese per tutta la lunga fase preparatoria fino all’inizio del Concilio (2012–1962). Per quasi cinque anni una lettera corposa, mediamente di 15 pagine, raggiungeva ogni mese (compreso luglio e agosto) un indirizzario di alcune centinaia di persone in tutta Italia che si erano iscritte all’impresa dichiarandosi disponibili a “fare festa” al Concilio attraverso la ricezione delle lettere e la riflessione (anche in piccoli gruppi) sulle proposte di condivisione e di scambio che in esse Gigi offriva ai suoi interlocutori. In quegli anni il pensiero della lettera mensile è stata la preoccupazione principale delle sue giornate, e delle sue notti perché di notte soprattutto leggeva e lavorava.

La lettera constava sempre di tre parti: una cronaca dei giorni del Concilio (della sua preparazione e poi dell’avvio della sua realizzazione), seguiti mese per mese, a distanza di cinquant’anni, una enucleazione delle tematiche principali che emergevano da quella cronaca, e infine una terza parte in cui Gigi lanciava un suo sguardo sulla situazione politica italiana e internazionale sulla quale gli sembrava impossibile non pronunciarsi nel suo colloquio con gli interlocutori che lo seguivano ogni mese (tutta la raccolta delle lettere del progetto “il nostro ’58” è consultabile  qui).

Poi attraverso una collaborazione di sapore ecumenico tra l’editrice Claudiana e il Mulino tutto il lavoro delle lettere diventò anche un fatto editoriale in una collana intitolata “Il Vaticano in rete”, in cui uscirono quattro volumi: tre con la pubblicazione delle lettere (Il nostro ’58 – Conservare le tradizioni: poteva bastare? – Migliorare e cambiare: come e perché) e un quarto di carattere monografico affidato alle mani di una brillante teologa, Sandra Mazzolini, con la quale si era creata un’amicizia proprio lungo la trasmissione delle lettere; questo quarto volume si occupava della presentazione e della traduzione degli schemi preparatori, quelli che in gran parte furono respinti durante le primissime fasi del concilio (Una lunga preparazione andata in fumo).

Diceva spesso, Gigi, che l’impresa di portare a termine il racconto del Concilio con le lettere era per lui una scommessa per allungarsi la vita. Di fatto, il racconto nelle lettere è arrivato al 1963, allo svolgimento della  prima sessione del Concilio. L’ultima lettera è del settembre 2013. La decisione di sospendere è dovuta solo in piccola parte a un venir meno delle forze, ma soprattutto è conseguenza dei grandi e imprevisti avvenimenti del 2013, con la rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco, che da quel momento diventava il racconto vivente e l’inveramento del Concilio. La storia vissuta superava il racconto della storia passata. All’età di 86 anni Gigi aveva portato al termine il debito di raccontare il Concilio.

Oggi che piangiamo la perdita della sua intelligenza ironica e affettuosa possiamo riascoltare la pagina con cui, in quell’ultima lettera del settembre 2013, raccontava il suo personale vissuto conciliare.

Nicola Apano

 

Il Concilio si è presentato nella nostra coscienza con una interessante capacità di rafforzare la nostra già esistente convinzione di vita cristiana: l’educazione familiare, quella parrocchiale e quella associativa avevano già “collaborato” tra loro, quando Roncalli parlò a San Paolo fuori le Mura della sua “idea” di convocare un Concilio ecumenico, per rafforzare e migliorare, anche ai nostri occhi, ruolo e significato di una “appartenenza alla Chiesa”. Essa si era già imposta nella nostra coscienza giovanile, studentesca (di livello liceale e universitario), “nazionale”, col fascismo giudicato con una certa severità e i valori democratici emersi assai più validi, ma indubbiamente “problematici”, da controllare e costruire seriamente; ma solidi – così li avvertivamo – sul piano personale, un po’ “filosofico” (forse, all’inizio, più esplorato di quello “teologico”): insomma, con un “catechismo” artigianale ma non banale, quindi aperto a sviluppi che subito giudicammo “in arrivo” tramite il promesso Concilio, il cui “annuncio” veniva a completare e approfondire il passaggio, da poco avvenuto, da una “monarchia ottocentesca” ad una “Repubblica” degna delle conquiste democratiche e, perché no? delle Nazioni Unite viste nascere con grande simpatia alla fine della seconda guerra mondiale, sperata ultima davvero…

Il Concilio, per meriti bolognesi di Lercaro (dal 1952), Dossetti (dal 1951 a Bologna, conosciuto personalmente dal 1955), e poi anche dell’ “Avvenire d’Italia” diretto da La Valle, completava la nostra modesta formazione culturale cristiana: la Liturgia, da noi, a Bologna, anticipò di sei – sette anni rispetto all’arrivo del Concilio, e anche l’attenzione per la Scrittura e una certa scoperta della Patristica, più simpatica della sistematica Scolastica, che un po’ avevamo “masticato” con non pochi dubbi e perplessità (su testi della Gregoriana presentatici da padri Gesuiti, dispiaciuti che il nostro liceo Galvani quasi fosse chiuso tra ’44 e ’46) …

La “dignità della persona” (quali fossero le sue idee e anche i suoi “errori”) ci balzava incontro, dalla Sacra Scrittura che diveniva in quegli anni una componente culturale molto “autonoma” e connessa ad incontri élitari e letture personali di fatto per noi nuovissime e di una certa qualità. Tutti questi capitoli di storia andavano ripensati e il ruolo del Cristianesimo appariva problematico quanto volete, ma spesso fortissimo e molto migliore di tanti racconti circolanti attorno a noi. Quasi tutto era emozionante e “da sistemare” come in gran parte nuovo e molto attuale, proprio nel nostro mondo contemporaneo. La “storicità” del Cristianesimo, insieme alla forza espressiva della sua “eticità”, critica rispetto ad idoli altrove suggestivi, come il denaro e il sesso, tanto padroni del mondo reale attorno a noi, vennero a indicarci possibile e interessante una formazione giovanile cristiana piuttosto inedita e molto più ricca di quella già intravista anche “senza Concilio”.

L’irruzione del Concilio nella nostra “attenzione” trascese le “piccole identità associative” con cui il Cristianesimo si articolava (e non poco “si frammentava” e anche …“indeboliva”: “azione cattolica”, “acli”, “partito della Dc”, “modelli” gesuitico, o domenicano, o francescano, o salesiano, ecc.

Fin la nostra città natale, Bologna, “dotta, grassa e rossa” col suo essere, ieri e oggi, molto più seriamente cristiana di quanto ci risultasse in superficie, qualificava i suoi “tratti” più accesi (nel dopoguerra, i “partiti politici” ideologici e fortemente contrapposti), non come avversari radicalmente polemici e davvero alternativi, ma, ai nostri occhi, sistemati e alquanto arricchiti dall’evento conciliare, cogliendo aspetti originali di una identità complessa, per nulla “da buttare”, e piuttosto forza e ricchezza di una “storia” di cui essere contenti e da studiare meglio, senza ridurla a pregiudizi grossolani e banali. Anche l’Università, così importante nella storia della nostra città, diveniva molto importante per la sua identità lunga e profonda. I nostri studi universitari, avvenuti tra il 1945 e il 1949, accompagnarono il notevolissimo rinnovamento nazionale e il dibattito dell’Assemblea Costitunte. Ma gli scontri della Guerra Fredda, giudicati più sciagurati che felici, e inadeguati rispetto all’apprezzatissimo “ripudio della Guerra”, illuminarono di grande ottimismo le forti novità in via di affermarsi al Concilio: era un grande evento e una fantastica vittoria dopo la delusione del “restringimento” avvertibile nel dopoguerra politico, internazionale soprattutto. Di lì a poco, se mai, fu il Comune a conquistare uno sviluppo di grande interesse col memorabile scontro amministrativo del 1956, e il rilancio ideologico democratico dossettiano, che ebbi modo di seguire da vicino e fuori di schemi in certa misura già distorti. Piuttosto quella Bologna, con le sue feconde contraddizioni, manteneva le misure di una città abbastanza autonoma, non solo nel presente, ma anche nel suo passato secolare. Scoprimmo allora l’importanza del suo non essere divenuto uno Stato regionale alla fine del medioevo, ma piuttosto la “seconda città dello Stato della Chiesa” (senza francesi, spagnoli ed austriaci che l’avevano fatta da padroni per secoli anche a Milano e Napoli): tutto qui veniva a preparare un singolare “presente forte” che ci onorava oltre le nostre misure demografiche piuttosto modeste: sentimmo antico un certo “bipolarismo costituzionale” proprio di Bologna (“niente senza Senato”, ossia senza Consiglio comunale di artigiani in città e proprietari terrieri nel forese; e “tutto col legato”, che qui rappresentava moderatamente il Papa romano, abbastanza lontano…).

In questo humus, locale e personale, il Concilio per me fiorì in modo straordinario e indicando con forza una “realtà alternativa” ad ambiti pure interessanti, anche professionali e personali, di lunga durata politica: con oscillazioni, però, e con restringimenti che ebbero effetti di radicamento, più che di delusione attenuativa del cristianesimo conciliare, per iniziativa anche fortemente cattolica, laica e modernizzante pur presa in ambiente largamente (e ovviamente) preconciliare.

 

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