di Gianni Gennari, in “l’Unità” del 19 febbraio 2012
«Il pensiero cattolico può aiutare il Pd a vincere il liberismo». Manca un punto interrogativo, quindi è questa la convinzione di Stefano Fassina in vista dell’iniziativa del primo marzo per una crescita politico culturale dell’attuale Pd con la sua storia complessa, carica di un passato non tutto morto e ideologico, ma anche fatto di valori che hanno presente e futuro. Questo – mi pare importante – non solo per vincere il liberismo, cioè primato della forza, del denaro, dei pochi su tutto il resto, ma anche semplicemente per «vincere», in termini di consenso, e quindi realizzare un disegno politico, istituzionale e culturale più giusto per l’Italia: giustizia sociale, giovani, donne, lavoro, solidarietà, non discriminazione, accoglienza, rispetto delle regole, sobrietà.
Ho l’età per ricordare alcuni momenti – anni 70 – in cui ho toccato con mano la vicinanza dei valori della fede cattolica, alla luce del Concilio e di alcuni testi papali del tempo (Pacem in Terris di Giovanni XXIII, Ecclesiam suam e Populorum Progressio di Paolo VI, per esempio) anche alla vita di quella che allora era la base operaia italiana, con l’allora Pci che cercava di liberarsi dell’ideologia che veniva dall’esperienza sovietica… Poi – ucciso Moro e morto Berlinguer – tutto parve cambiare. Sul piano dei rapporti con «il pensiero cattolico» c’è stata una lunga nottata. È finita la Dc, è finito il Pci, è finito anche il sogno socialdemocratico, che da noi non ha mai convinto le masse, sono venute a galla tante cose pesanti e negative, che hanno imperversato per tanti anni, e ora siamo come all’inizio di una fase nuova.
Il mondo cattolico è molto vasto, in Italia, e se si guarda agli attuali partiti, è in evidente disagio con tutti. Per quanto riguarda l’attuale Pd, almeno in quella sua parte che non si è fatta colonizzare in tutto dal pensiero radical/relativista – molto diffuso purtroppo – in genere libertario e liberista, ma spesso fornito della vecchia prepotenza totalitaria che vede sempre e solo Chiesa e cattolici come nemico implacabile e necessario per sentirsi vivi e in azione, esso può includere cattolici autentici, quindi coerenti con i principi di questa identità, e convinti dei valori che vengono anche da una piena professione di fede?
A me pare, e lo penso da decenni, che la risposta debba essere positiva. Ciò che serve a questo scopo è che nessuno – l’ideale sarebbe che la cosa riguardasse tutta la società, ma qui e ora si parla del Pd e di ciò che è ancora autenticamente popolare e vivo socialmente anche alla sua sinistra – pretenda di fare bandiera di programma obbligatorio, di partito o di coalizione, quanto è direttamente opposto ai valori e ai principi coessenziali con la professione di fede cristiana e cattolica. E quali sono, questi? Qui i punti che finora appaiono dolenti: vita e famiglia, certamente, ma anche accoglienza, scelta degli ultimi, giustizia sociale concreta e solidarietà. Meno ostacoli, in apparenza, per altri punti ugualmente essenziali: eguaglianza vera tra uomini e donne, sobrietà di stile, rifiuto di ciò che è solo brillante e appariscente, ma implica il disprezzo degli altri, consumismo e frou frou elevati a ideale, ideale di denaro e potere sugli altri…
Questo vuol dire che il Pd deve diventare un partito cattolico? No! Personalmente non ho mai approvato un partito cattolico come tale, neppure quando era reale e al potere, per tanti anni. L’identità cattolica, l’appartenenza alla Chiesa, la fedeltà al Vangelo sono realtà tali che è blasfema l’identificazione con una qualsiasi parte politica, che suppone sempre un pragmatismo pesante, il rischio di servirsi del Vangelo senza servirlo, l’eventualità di confondere le convinzioni vere con le convenienze di parte. E allora? Allora, attualmente, molta attenzione a non ripresentare vecchi schemi democristiani, doroteisticamente vissuti, come ricetta del nuovo. Debbo dire che qualcuno in giro riesco a vederne anche attualmente…
Chiarezza di distinzioni: nel partito – dato che si parla di questo – alla pari tutti, con le loro convinzioni ideali, e quando queste sono inevitabilmente diverse, per questioni di principio di ciascuno, tutti ugualmente liberi in coscienza di essere fedeli ad esse: in democrazia ci si confronta, si dialoga, e se non si riesce a mettersi d’accordo si rispetta la libertà di tutti. Senza drammi: se su un punto si è diversi in molti non si impegna su di esso il programma come tale, ma ciascuno nella società democratica avrà la possibilità di scegliere – al voto – secondo la propria convinzione. Un cattolico serio non è sempre e come tale costretto a dire no, quando sono in ballo certi valori, ma di fronte alla realtà concreta può non opporsi a ciò che gli appare moralmente un male, ma in concreto un male minore. Pensiero un po’ malinconico: questo oggi è pacifico anche ufficialmente per la nostra Chiesa. Se fosse stato così anche nel 1974 e nel 1981 la storia del rapporto tra cattolici e società italiana sarebbe stata diversa. Su queste basi mi pare possibile, anzi necessario, il grande «aiuto» del «pensiero cattolico», singoli e anche Chiesa, per «superare il liberismo» e tutto ciò che in Italia impedisce il bene autentico, e non solo della sinistra.