All’inizio di questo millennio, mentre l’Europa economica veniva unificata con la moneta unica, Jacques Delors, già presidente della Commissione europea e presidente della Commissione incaricata dall’Unesco del Rapporto sull’educazione nel XXI secolo, valutando il cammino compiuto dall’Unione, segnalava il fallimento delle proposte finalizzate alla costruzione dell’Europa politica, con la conseguente necessità di ripiegare sulle strade complesse e tortuose dell’integrazione attraverso l’economia. E aggiungeva: «Se in dieci anni non saremo riusciti a dare un’anima, una spiritualità, un significato all’Europa, avremo perso la partita» (“La costruzione dell’Europa”, in il regno-documenti n. 11/2000).
L’associazione Agire politicamente, nella tradizione ideale e storica del cattolicesimo democratico, che ha coltivato lo spirito europeo come anima di un progetto unitario, si fece interprete di tale accorato appello, promovendo, a Trento, nell’ottobre del 2002, un colloquio di cultura politica sull’identità spirituale e sulla vocazione della construenda Europa communis, ispirato all’umanesimo plenario, tracciato da Paolo VI come orizzonte cuturale di «sviluppo integrale dell’uomo e sviluppo solidale dell’umanità» (Populorum progressio, 5).
La scadenza elettorale del 26 maggio 2019 imponeva di dedicare l’assemblea annuale dell’associazione all’Europa, chiamata alle urne per rinnovare la propria vocazione comunitaria ma minacciata da diffuse rivendicazioni di sovranità nazionale. E abbiamo scelto di dare il nostro contributo di riflessione e di elaborazione alla costruzione del «nuovo umanesimo europeo», sognato da papa Francesco «con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede» (discorso per il Conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016).
Le relazioni, rielaborate da parte degli autori e qui raccolte, esprimono anche la nostra speranza che la madre Europa continui il processo di integrazione europea come cammino di umanizzazione dei popoli, delle culture, delle religioni, affacciati sul quel drammatico crocevia, culla dell’umanità, che è il Mediterraneo. Il sogno del Papa e nostro di un nuovo umanesimo nasce dalla dolente constatazione di un’Europa, «stanca e invecchiata», «un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice».
Intesa come laboratorio paradigmatico della modernità, l’Europa del “secolo breve” sembra aver consumato tutti i simboli della stagione moderna e il passaggio al nostro secolo, con la caduta delle ideologie, sembra aver spento anche le idealità, faticosamente accese da una luminosa storia di pensiero e di azione.
In particolare, la democrazia, che della modernità è la forma politica, pur entrata in territori inediti e pur impegnata nell’arduo compito di coniugare i diritti delle libertà individuali con i doveri di giustizia sociale, è apparsa vulnerabile e perfino soggiogabile da forze di eversione populista e sovranista.
Il conseguente logoramento delle tensioni ideali e la caduta della socialità hanno prodotto profonde ferite dell’umano e vistose lacerazioni del tessuto sociale.
Inoltre, le pretese sovraniste e nazionaliste costituiscono una minaccia al pluralismo culturale e ritardano la costruzione stessa dell’Europa politica, la cui unione è, di fatto, costituita dalla diversità dei popoli e delle culture che, storicamente, ne hanno configurato il volto.
E’ una minaccia anche alla laicità degli Stati moderni, che vorrebbero modellare sulle rigidità delle identità religiose, mentre piegano la religione all’uso strumentale di una politica rivendicazionista ed esclusiva.
Eppure, la modernità consumata, insieme con la concezione plurale del mondo quale universo molteplice e nella consapevolezza che il pluralismo è la condizione di compimento dell’unità, ci ha consegnato lo statuto di laicità dell’agire umano, quale esito definito del processo di democratizzazione della vita sociale e politica.
Ma, se il pluralismo è il tratto di maggiore distinzione delle società democratiche e la laicità è il principio regolatore della stessa vita sociale, le religioni rappresentano un potenziale di protagonismo conflittuale, giacché sono istituzionalmente centralizzate e rigidamente gerarchiche, oltre che definite nei loro sistemi confessionali.
Pertanto, la storia plurale dell’Europa chiede alle religioni di riposizionarsi nella geografia dei rapporti sociali, assumendo la seconda modernità come paradigma della stessa condizione umana, sempre più mobile, mutevole, incerta. E le sollecita a rivedere il loro mansionario sociale, nella prospettiva di una ministerialità che renda la fede assoluta (libera, sciolta) dalla minaccia di relativizzazione che viene dalle strutture religiose. Sciogliere la fede dalla rigidità degli assoluti terreni implica un’opera di relativizzazione delle religioni, come antidoto di ogni fondamentalismo e dello stesso terrorismo religioso.
Ma, anche la società, pur nella sua configurazione fluida, e la politica, nelle sedi istituzionali del consenso, devono interrogarsi sullo spazio da riservare alle religioni, riconoscendo la valenza culturale dell’esperienza religiosa dei popoli e tenendo conto che i movimenti religiosi e le Chiese sono portatori di risposte etiche e continuano ad essere, sia pure in forme diverse dal passato, fattori di produzione di identità individuale e collettiva.
Alla formazione di una rinnovata coscienza europea, fondativa di un nuovo umanesimo, sono chiamate anche le Chiese cristiane. Il cristianesimo è la religione della maggior parte degli europei. Questo primato numerico non può che tradursi in un primato di ministerialità. La Charta oecumenica, firmata a Strasburgo nell’aprile del 2001, chiede alle Chiese europee di «contribuire a plasmare l’Europa».
«La nostra fede – scrivono il presidente della Conferenza delle Chiese d’Europa (KEK) e il presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) – ci aiuta ad imparare dal passato e ad impegnarci affinché la fede cristiana e l’amore del prossimo irraggino speranza per la morale e l’etica, per l’educazione e la cultura, per la politica e l’economia in Europa e nel mondo intero».
La nuova coscienza europea non può che essere consapevolezza diffusa di una responsabilità comune per la realizzazione del progetto (com)unitario. Tale responsabilità, perché sia impegnativa di condivisione, può derivare solo da un fondamento etico. Per la nuova Europa, l’elaborazione di un ethos comune, quale figura della sua stessa identità, è urgenza prioritaria che coincide con il processo di umanizzazione dei popoli, delle culture, delle religioni.
Anzi, un’etica comune, per il suo potenziale naturale di universalizzazione, può costituire il luogo cruciale dove le relazioni economiche, le attività istituzionali, le pratiche sociali, le scienze, le arti possano attingere significato e senso ultimo.
Nell’Europa di oggi, i parametri etici sono poco evidenti. Tuttavia, la millenaria storia europea, segnata dal cristianesimo, ha prodotto una cultura delle regole, che coincide con il modello stesso della sua democrazia. Nel contesto europeo e mondiale, segnato da profonde ferite dell’umano e da diffuse situazioni di ingiustizia, si tratta di ispirare a quella cultura il progetto di un nuovo umanesimo politico, per una democrazia compiuta che, ai diritti di libertà e ai doveri di uguaglianza, aggiunga i sentimenti di fratellanza universale, riconoscendo che «la fraternità rimane la promessa mancata della modernità» (Francesco, Humana communitas, 13).
Lino Prenna