Sensazioni e riflessioni a caldo, a contatto dei volti e delle parole dei partecipanti alla XV Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica italiana
di Vittorio Sammarco
Questa Azione cattolica, non solo quella che è stata negli oltre 140 anni di storia, ma proprio questa fatta dei suoi 350mila iscritti, delle sue 7mila parrocchie, e degli oltre 800 delegati che hanno partecipato all’Assemblea nazionale dal 30 aprile al 3 maggio, questa Associazione merita rispetto e attenzione. E anche tanto.
Più di un amico sincero e serio, in questi anni mi ha chiesto che ne è di questa storica aggregazione laicale. “E’ ancora viva? Non la si sente più…”, mi ha domandato un po’ mesto. E il criterio giudicante è sempre quello della scarsa presenza sui media, dell’ininfluenza evidente su tanti circuiti comunicativi che scrivono l’Agenda dei temi pubblici, delle questioni primarie, delle leadership, e dei toni del dibattito ecclesiale sociale e politico. L’Ac è sembrata, forse lo è stata, ai margini, defilata, di basso profilo. Ma poi capita di partecipare all’assemblea triennale che statutariamente prevede il rinnovo degli organi dirigenti e l’impostazione delle linee programmatiche del triennio, la XV della sua storia post statuto del ’69, titolo “Persone nuove in Cristo Gesù. Corresponsabili della gioia di vivere”, e se ne apprezza tutto il valore. E senza paura di passare per esagerato (affezionato, sì, anche se non ne faccio più parte da anni), oso dire della sua importanza strategica per la ricostruzione della Chiesa e ancor più del Paese. Se vogliamo ridare tessuto connettivo, speranza, solidità ad una società e ad una comunità che appaiono troppo sfilacciate da un individualismo esasperato, che tanti danni ha fatto negli ultimi tempi, bisogna ripartire da quanto, quotidianamente, questa associazione semina nei suoi percorsi formativi.
Non mi riferisco ai contenuti, che ci sono eccome, ma li lascio alla lettura integrale dei testi scaricabili sul sito (relazioni e documento Assembleare finale in QUESTO LINK). La sintesi, parziale e superficiale, penso che non farebbe bene ai testi.
Mi va piuttosto di evidenziare una serie di piccoli dettagli che ho potuto constatare direttamente stando presente alcune ore durante i lavori, passeggiando tra le persone e orecchiando, guardando in faccia i delegati, presidenti o semplici iscritti, uditori o con diritto di voto, responsabili o giovanissimi (persino i ragazzi dell’Acr). Ho visto le persone, il loro modo di essere e di fare, che è, o potrebbe essere, il presupposto più importante per diventare il classico lievito nella pasta. Ma occorre valorizzarlo bene, non trascurarlo facendosi colpire dai fin troppo facili cliché di questi tempi liquidi, di ipercomunicazione esagerata e a dimensione spettacolare. Questo, allora, è il “canonico” pezzo di costume (o di colore) che di solito accompagna la seria e diligente analisi dei lavori di una qualsiasi assise di rilievo in una struttura importante (sia essa ecclesiale o socio-politica). Ecco, questa la metto da parte e voglio (lo ripeto, sono di parte), puntare l’obiettivo sugli aspetti umani.
Intanto ho toccato con mano un clima positivo, bello, fatto di facce pulite, sguardi sinceri, sobrietà di atteggiamenti, anche nei confronti delle persone “importanti” (onorevoli? sì ma come lo sono tutti…), una gioia di esserci e di stare insieme, che in tempi di crisi che spesso alimenta acrimonia e sospetti, è un valore a prescindere. “Vi riconosceranno da come vi amerete”, e questi sì, si vogliono bene…
Comunione che è anche corresponsabilità (come si dice nel titolo) “La grande sfida di pensarsi legati gli uni agli altri”, ha detto il presidente uscente Franco Miano nella sua relazione. “L’Ac non è per se stessa, ma per la Chiesa e per il Paese. Una passione per il popolo che vive intrecciando relazioni e costruendo ponti”, ha sottolineato. E per diventare popolo (anche di una sola nazione) – ha ribadito Miano “occorre un processo lento e un lavoro arduo, che ciascuno impara uscendo dalle proprie sicurezze e assumendosi le proprie responsabilità personali”.
L’Ac, inoltre, si sente coinvolta dalla storia del mondo intero e non disdegna di mettere al primo posto la propria collocazione internazionale, universale, con uno sguardo d’insieme alle vicende, soprattutto le più tristi (Siria, Palestina, guerre in Africa), con tante iniziative concrete e un significativo rilievo dato al coordinatore del FIAC (Federazione internazionale di Ac), che è il presidente dell’Ac argentina Emilio Inzaurraga. Nella rappresentatività geografica, poi, l’Italia c’è tutta, dal Nord al Sud alle isole. L’Ac ha già “fatto” gli italiani, e ora prova a fare gli europei.
Avanti i giovani? Sì, ma senza perdere le risorse di chi ha già dato tanto negli anni. L’età media dei delegati, era bassa (tanti i bambini e i ragazzi che scorrazzavano in allegria accompagnando in genitori). Da sempre in Ac il confronto generazionale è vivo e sentito senza però nessuno dei due pessimi estremi: né la rottamazione irriverente da una parte; né la presuntuosa superiorità anagrafica dall’altra, ma l’equilibrio di un confronto costante nel reciproco, e sottolineo reciproco, arricchimento.
Poi donne, tante donne, e ai vertici, a dirigere (non comandare) e orientare. Le quote rosa, in via della Conciliazione e non solo (ai vertici come alla base), sono state attivate e realizzate da molti anni. 10 su 21 le consigliere elette nel nuovo Consiglio nazionale. Ma non è una novità.
Ci sono poi i numerosi “dettagli” di stile del dibattito, che non ho trovato spesso in altri contesti (partiti, sindacati, associazioni numerose): età e ruolo ricoperto non sono prerequisiti per ottenere l’attenzione della platea; ci si ascolta, sul serio reciprocamente, la Presidenza ferma al tavolo a sentire chi interviene. I tempi degli interventi sono tutti ben misurati e rispettosi dello spazio destinato ad altri; manca l’abuso di retorica anche nei ringraziamenti formali e convenzionali che in un’assemblea ci sono spesso per chi lascia il posto dopo anni di servizio. Insomma i dibattiti, sì quelli che a qualcuno fanno temere, ci sono sul serio. E a cascata (nei limiti del fattibile) si riproducono nella reale condivisione dei lavori di gruppo e nei documenti finali.
Non manca poi una certa capacità di prendersi in giro con ironia (vedi il test, scherzoso, su come si vorrebbe il nuovo presidente di Ac), senso dell’humour come approccio alla precarietà naturale delle cose che siamo capaci (o incapaci) di fare. Persino di autocritica sincera. Quella stessa espressa da mons Nunzio Galantino, neo segretario generale della Cei: “Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo – ha detto con forza e sorridendo – di una Chiesa impegnata a difendere le proprie posizioni (qualche volta dei veri e propri privilegi) in un mondo che pullula di gente che già fa questo in nome della politica e che, per fortuna, qualche volta viene smascherata ed esposta al ridicolo? Ma cosa volete che se ne faccia oggi il nostro mondo di una Chiesa che non trova di meglio, in alcune circostanze, che investire (troppe energie) per mettere su adunate che hanno ripetutamente mostrato il fiato corto e che alla lunga si sono mostrate assolutamente inconcludenti”. Applausi sinceri dalla platea.
Infine, ma solo per completezza, ecco i contenuti: “La Chiesa bella del Concilio”, il Concilio la nostra bussola; Educare alla corresponsabilità; “Vivere nel cambiamento. Le nuove sfide del mondo adulto”; “Tracce di pace- Giovani di Ac per un cammino di libertà”; “La scuola che verrà”; “Centrare l’impresa, il lavoro che cambia, start-up e auto imprenditorialità creativa; “Italia ed Europa nel nuovo contesto Mediterraneo”; “Un’Europa da completare: unità politica e valori comuni”; “Nessuno si senta escluso. Ac e fragilità familiari”; I seminari su “Inclusione, legalità, democrazia, partecipazione”. Sono solo alcuni dei temi affrontati nel lavoro dello scorso triennio. Poco? Non mi pare…
Ecco perché le parole di papa Francesco nell’udienza finale sono semi caduti su un terreno che certamente sarà fertile: “leggete tutta la vostra presenza in chiave missionaria. E’ il paradigma dell’Ac”, ha detto Bergoglio con voce vibrante.
La Chiesa e il Paese hanno bisogno della vostra disponibilità e del vostro dinamismo creativo, ha sottolineato, che deve essere centrato su tre parole/concetti che ha affidato alla cura delle migliaia di presidenti parrocchiali presenti (di “quelli che non chiudono le porte della Chiesa, con dentro Gesù, ma di quelli che le aprono per lasciare a tutti la possibilità di conoscere Cristo”): parole come Rimanere, con Gesù e godere della sua compagnia; Andare per le strade delle città e dei Paesi (“mai un’Ac ferma, per favore…!”); e infine Gioire, cantare la propria fede, infondere speranza. Ci sono troppe parrocchie stanche, grigie, che non lasciano intravedere la gioia, ha ammonito Francesco. E in questi luoghi diventa facile cadere nella tentazione della chiusura, dell’intimismo e della quieta rassegnazione.
Sono i pensieri del papa che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi dalla sua venuta “dalla fine del mondo”. E sono concetti che l’Ac ha fatto propri, direi metabolizzati, fin dai tempi della famosa “scelta religiosa”. Gli anni che sono seguiti non sempre hanno ripercorso questa linea. Il Concilio era stato riposto in un cassetto.
Ora che lo spirito di quegli anni e di quei testi sembra tornato a soffiare sulla Chiesa (e non solo) l’Azione Cattolica italiana tornerà – ne sono sicuro – ad essere protagonista.
22 Maggio 2014 at 18:14
Avrei potuto partecipare personalmente all’assemblea con conclusione in piazza S.Pietro udienza dei nuovi presidenti parrocchiali, ma problemi di famiglia non me lo hanno permesso.
Comunque condivido pienamente il cammino che l’Azione Cattolica propone ogni anno al settore adulti facendomi promotrice nella mia parrocchia quale nuovo presidente dell’associazione.
Ammiro che il Santo Padre ci abbia ulteriormente spronati a non deporre le nostre armi: la fede, la gioia, la missione, la carità, la formazione delle nuove generazioni secondo lo spirito del Vangelo. Dall’associazione e nell’associazione trovo ogni giorno la forza di proseguire la mia missione e vocazione nella scuola in qualità di insegnante di religione cattolica nella primaria. Saluti, Mariarosa.