Fra “vecchio” e “nuovo”… un passaggio delicato nella nostra democrazia, cosa è venuto meno, cosa ha preso la direzione sbagliata, quali le prospettive future…. credo sia indispensabile e urgente rendersene conto per non esserne condizionati passivamente e renderci capaci di intervenire per far diventare evoluzione positiva quella che oggi appare più una pericolosa involuzione. Nelle istituzioni il “vecchio” è nella crisi di partiti che non appaiono libere associazioni di cittadini che concorrono “con metodo democratico a determinare la politica nazionale” e che pare non abbiano la capacità di autoriformarsi, è in un sistema elettorale che svisa il Parlamento e ne paralizza la funzione, con la tentazione, per questo, di togliergli potere a favore di presidenzialismi o semipresidenzialismi…e il “nuovo” è scritto nella Costituzione, si tratta di ritrovare le ragioni dell’”antico” in una situazione sociale mutata. In economia si fa fatica a riconoscere il “vecchio” perchè si ammanta di novità e si ritiene inevitabile assoggertavisi anche se quel sedicente nuovo ha prodotto disuguaglianza sociale, disequità, emigrazione disperata, crisi di impresa, disoccupazione….e qui il “nuovo” è da inventare, soprattutto assumendo come riferimento l’ambito sociale ed i diritti delle persone: l’economia è in funzione del benessere sociale e se questo viene meno significa che l’economia deve cambiare, non viceversa! Credo che non si possa fare affidamento ad un gruppo “illuminato”, abbastanza ipotetico, che assuma il potere, quanto piuttosto ci sia bisogno di analisi critica, di esercizio di discernimento, di impegno a pensare, a costruire proposte, a sollecitare……
E poi mi chiedo se e perchè i cristiani siano abilitati e se debbano addirittura svolgere questo ruolo: ne trovo le ragioni nella libertà interiore che si fa libertà da interessi e condizionamenti, nella speranza che va al di là dell’evidenza quotidiana, nella carità che può e deve assumere la dimensione sociale più ampia. In questo senso credo possa essere contraddetta la tesi di Paolo Floris d’Arcais circa la incompatibilità di Dio con la democrazia.