Quanti ricordi (per chi è anziano come me) suscita la lettura, seppur di corsa, del libro che Francesco Lauria ha dedicato alla figura di un sindacalista esemplare, quale è stato Pippo Morelli. Esemplare, ma anomalo al tempo stesso. Sindacalista della Cisl, classe 1931. Attivo dal ’58, dopo una laurea in Scienze politiche e sociali alla Cattolica di Milano, fino al 1993, quando a soli 62 anni è colpito da un ictus cerebrale che lo fermerà e costringerà a un silenzio lungo vent’anni, fino alla morte nel 2013.
Ma quei 35 anni di vita e di lavoro sono stati una bella avventura, intensa, vitale, dentro le grandi speranze degli anni sessanta, le conquiste e i conflitti degli anni settanta, fino ai passaggi via via più problematici e talvolta amari degli anni ottanta, ma sempre vissuta con la serenità di fondo e la passione di chi ha motivazioni forti e un’intelligenza vitalmente rivolta a interpretare la realtà e a cercare risposte alle sempre nuove sfide.
Fare il sindacalista negli anni in cui lo ha fatto Pippo Morelli significava attraversare in pieno la scena sociale del paese, la sua storia. O, meglio, lo poteva significare se lo si faceva con consapevolezza e con dedizione. Così è stato per lui, come per non pochi altri; ma per lui in un modo particolare. Intanto le sue radici: la Reggio Emilia dove nasce, il padre che era stato candidato nel Partito popolare di Sturzo, la madre di forte fede cattolica anch’essa, uno zio sacerdote, il fratello maggiore, Giorgio, partigiano, il primo a entrare nella Reggio liberata da tedeschi e fascisti, morto a 21 anni, nel ’47, pochi mesi dopo essere stato gravemente ferito in un agguato tesogli da un gruppo di ex partigiani comunisti. Poi la sua formazione, prima, da ragazzo, come scout, poi da studente alla Cattolica di Milano, con la tesi di laurea discussa nel ’55 con Mario Romani, l’economista che insieme a Giulio Pastore aveva dato vita alla Cisl pochi anni prima, nel 1950.
Nella Cisl Morelli cominciò frequentando con una borsa di studio il mitico Centro Studi che Romani e Pastore avevano da poco fondato sulla collina tra Firenze a Fiesole. Lì imparò la contrattazione, che è il cuore del lavoro sindacale; e, forte poi di questa competenza, unita all’apertura di orizzonti procurata dai suoi studi e dalle sue stesse origini ed esperienze giovanili, visse da protagonista la stagione della “primavera sindacale”, prima nella federazione dei metalmeccanici, la Fim, poi nella Cisl milanese, a fianco di Pierre Carniti e di tanti altri cislini doc (da Bruno Manghi a Franco Bentivogli, da Sandro Antoniazzi a Gian Primo Cella, da Guido Baglioni a Tiziano Treu, da Rino Caviglioli a Eraldo Crea…). Era, quello, quasi un imprinting fatto di humus cristiano e di valori di autonomia (dai partiti politici, e segnatamente dalla Dc) e di attenzione alla persona, reso più marcato dalla competizione con il più forte (ma meno autonomo) sindacato della Cgil (competizione che, però, non fu d’ostacolo alla ricerca di unità, che, seppure per un periodo breve, fu poi raggiunta e vissuta dalla parte migliore della Cisl con convinzione).
Dicevo che la contrattazione nella vita di un sindacato ne è il cuore. Pippo Morelli è partito da lì, cioè dalla conoscenza della vita di fabbrica, dell’organizzazione del lavoro e delle tante variabili in gioco, dall’ascolto delle diverse esigenze delle persone nei loro differenti ruoli, dal dialogo con le controparti. E ha portato questa competenza nelle prime esperienze italiane di contrattazione aziendale, affiancando i consigli di fabbrica e dando vita, da allora in poi, a numerosissime iniziative di formazione per i delegati di fabbrica e i sindacalisti. Poi, nello scorrere degli anni sessanta, in un paese in forte ripresa economica, i settori di punta del sindacato hanno cominciato a guardare anche oltre i luoghi di lavoro e i diritti del lavoro. Perché la vita di un operaio non si racchiude nella fabbrica. E se si guarda alla persona nella sua interezza, e alle persone al plurale nella loro interezza, emerge l’esigenza di estendere l’iniziativa di riscatto ai problemi della casa, della salute, dei trasporti… – a quello che abbiamo imparato a conoscere con la parola pregnante di “territorio” -; e ai problemi della formazione, della cultura.
Nacque così, nei primi anni settanta, nella discussione per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, che era la principale categoria operaia del paese, l’idea di inserire tra le rivendicazioni quella di un numero di ore, da sottrarre all’orario di lavoro, che i lavoratori potessero dedicare alla loro formazione: le cosiddette 150 ore. Pippo Morelli ne fu l’ideatore, nella Fim, e condivise questo impegno con il dirigente più anticonformista e più lucido della Cgil, Bruno Trentin, allora segretario generale della Fiom. In quello scorcio degli anni settanta, infatti, si era anche avviata la realizzazione dell’unità sindacale (poi interrotta nell’84). Fu questa una straordinaria esperienza di recupero di dignità da parte dei lavoratori, che entrarono in contatto con il mondo della scuola (nelle cui aule i corsi delle 150 ore si svolgevano, in orario pomeridiano e serale) e poterono rispondere alle diverse loro esigenze: dalla prima alfabetizzazione, al conseguimento del diploma di scuola media, all’accesso a corsi di educazione civica, di tutela della salute, di lingue straniere…. Fu uno straordinario ponte tra mondo del lavoro e mondo del sapere, dell’apprendimento. I corsi finirono poi per coinvolgere anche giovani disoccupati senza titolo di studio e persino casalinghe desiderose di riprendere contatto con la scuola magari abbandonata nelle prime classi elementari.
In quegli stessi anni Pippo Morelli, sempre alla ricerca di percorsi di promozione dei lavoratori e di costruzione di democrazia, anche al di fuori del sindacato, nella società, prese parte alla nascita di formazioni politiche che riteneva potessero essere più in sintonia con i fermenti che stavano scuotendo la società, sia tra gli operai che tra gli studenti. Fu partecipe della nascita del Pdup (nel ’72), con Vittorio Foa, come anche del Movimento politico dei lavoratori di Livio Labor. Fu anche attento a quanto si muoveva nella base ecclesiale e partecipò al primo convegno dei Cristiani per il socialismo, a Bologna, nel 1973. E scrisse più volte nella rivista reggiana “Cristiani a confronto”. Nel 1974 fu uno degli 88 intellettuali cattolici che firmarono a favore della legge istitutiva del divorzio e per il no al referendum abrogativo, disobbedendo così al richiamo della Cei. In una sua nota scrisse che il matrimonio, per i cattolici, avrebbe dovuto rappresentare un “sacramento, e non una imposizione giuridica anche per i non credenti”; e, in ogni caso, affermò, il “modello cristiano va proposto (con convincimento e testimonianza), non imposto con integrismo”.
Con l’avanzare degli anni settanta il clima nel paese, e nei luoghi di lavoro, comincia a cambiare. Forse il sindacato ha assunto un ruolo eccessivamente politico, a livello generale, finendo con il trascurare la vita di fabbrica e soprattutto le profonde trasformazioni che attraversava il mondo del lavoro. Morelli, che dal 1977 è divenuto segretario della Cisl dell’Emilia Romagna, sente il bisogno di guardare anche in un’altra direzione. Nel 1981 fa il primo di una lunga serie di viaggi in Brasile, con un amico prete operaio. Impara a conoscere quel paese, i suoi problemi, e decide di impegnare la Fim a sostenere la costruzione di una scuola di formazione sindacale a Belo Horizonte, nei pressi di un grande stabilimento della Fiat. Morelli si richiamò anche agli orientamenti di Paulo Freire e del suo celebre libro “Pedagogia degli oppressi”. In quegli anni il segretario dei metalmeccanici brasiliani è Lula Ignacio Da Silva, futuro presidente del Brasile, e Morelli e i suoi amici sindacalisti lo aiutano anche economicamente. Dirà Morelli che da questa questa sua esperienza ne ha tratto una convinzione profonda: “Il legame con il Sud del mondo avviene davvero solo se noi, anche grazie ad esso, riusciamo a capire dove sta scivolando l’Occidente. La frequentazione del Sud del mondo ci aiuta, infatti, a capire dove stiamo andando, dove ci sta portando il mercato. Quest’incontro aiuta a rinsaldare i legami”.
Nei primi anni ottanta Morelli si fa pensoso sull’evoluzione della società italiana e sul ruolo del sindacato. Nel 1983 scrive: “Siamo usciti da un periodo di grandi espressioni di democrazia: dal movimento studentesco che ha combattuto culturalmente e praticamente l’autoritarismo, alle conquiste sindacali delle assemblee e dei consigli dei delegati; dai movimenti dei giovani e delle donne che hanno contestato il modo tradizionale di fare politica dei partiti e delle associazioni, ai gruppi e alle comunità di base che hanno messo in crisi la tradizione ascetico-autoritaria della Chiesa; dalle più diffuse esperienze di partecipazione alle teorizzazione delle forze di sinistra nella democrazia partecipata e consiliare”.
“Di tutto questo – prosegue – è rimasto forse un caro ricordo. Sembrano ora prevalere difficoltà e perplessità. La stanchezza della gente e qualche volta la paura porta sempre a maggiori assenze alle riunioni ed alle assemblee il che comporta implicitamente la riduzione delle decisioni a pochi, alla burocrazia di organizzazione, al potere di governo. C’è chi teorizza che in periodi di grandi trasformazioni, come quello attuale, bisogna prendere decisioni rapide e da parte di vertici più informati e illuminati: da qui il prevalere – nei partiti, come nelle istituzioni e nelle associazioni – di un governo più per «immagini» che per parole ragionate o di sostanza”.
In un’altra occasione dice: “E’ cambiata anche la classe lavoratrice: dalla maggioranza del ceto operaio-massa si è passati ad una articolazione più indeterminata, con l’aumento dei settori del terziario, di impiegati e tecnici, di lavoratori più scolarizzati, meno sensibili al richiamo di massa. Dobbiamo collocare i problemi della democrazia nel sindacato in un quadro più generale di trasformazione, per evitare il rischio di isolare il mondo sindacale dal resto”.
E ancora: “Ragioniamo ancora poco di sindacato come organizzazione e parliamo sempre di politiche, di obiettivi, di lotte, al più considerando l’organizzazione come strumentale ai fini che ci diamo, come se fosse un esercito compatto agli ordini di generali, mentre invece l’organizzazione ha una sua vita, una sua autonomia, una sua cura di conservazione, ha sue norme di comportamento e tutto ciò va conosciuto meglio”.
Si vede bene qui non solo l’uomo che sa vedere, con grande libertà e lucidità, dentro le cose in trasformazione, ma anche il sindacalista che sa che quel che va tenuto assolutamente fermo è il rapporto diretto con i luoghi di lavoro, anche se più frammentati, anzi proprio perché più frammentati, e con i lavoratori, che cambiano, sono più istruiti, forse anche più individualisti, ma proprio per questo vanno ascoltati, capiti, coinvolti. “Il primo impegno allora – scrive Morelli – è ricostruire realmente una capacità contrattuale dei consigli, il che vuol dire formazione e preparazione ad un ‘mestiere’ che cambia, ma anche incanalare la contrattazione su ipotesi pratiche di cambiamento”. L’autocritica è palese. “Avremmo fatto meglio – dalla metà degli anni Settanta – a parlare meno di politica, per vedere invece come attuare la prima parte dei contratti, come controllare le trasformazioni delle imprese, come salvaguardare l’occupazione con riduzioni più estese degli orari e forme più flessibili di lavoro”. Che fare, dunque? “Ritengo opportuno – dice – pensare al sindacato come comunità educante. Il sindacato, infatti, non va considerato solo come quantità di iscritti, articolazione di strutture, strumento di pressione e di lotta, ma, in quanto organizzazione di persone, va visto anche come momento educativo”.
Nel 1985 Morelli lascia la segreteria della Cisl emiliana e va a dirigere il Centro Studi della Cisl a Firenze, là dove aveva cominciato come borsista. E’ il lavoro che forse ama di più: fare formazione, e farla come la intende lui, ascoltando, dando la parola, ricercando insieme, con rigore e con mitezza insieme. E’ un “maestro” straordinario, lo riconoscono tutti. Resta, però, ugualmente presente nel dibattito politico-sindacale nazionale come mostra la sua partecipazione a un interessante dibattito aperto da Sandro Antoniazzi con una lettera a Pietro Ingrao pubblicata su “il manifesto”, nella quale il sindacalista milanese discute la tesi del leader comunista che aveva parlato di oligarchia nel sindacato. La lettera ha per titolo “Perché non siamo stati capaci di cambiare?”. Per Morelli, il problema è la mancanza di idee politiche capaci di unificare, e di operare per una maggiore uguaglianza. Al dibattito partecipa tra gli altri Bruno Trentin che insiste sulla necessità di rieducare alla pratica della solidarietà. Antoniazzi chiuderà il confronto di nuovo con un interrogativo: quale potrà essere uno sviluppo del paese che sia davvero a beneficio di tutti?
Nell’89 Morelli lascia l’attività sindacale. E accetta l’incarico offertogli di vicepresidente del Parco del Gigante nell’alto Appennino reggiano. Questo impegno gli dà modo di sollevare, ancora una volta con grande lucidità e con concretezza, il tema di un nuovo modello di sviluppo e di lavoro fondato sulla sostenibilità.
Questo e molto altro c’è nel bel libro curato da Lauria, che porta come titolo Sapere Libertà Mondo. La strada di Pippo Morelli ed è edito da Edizioni Lavoro. Sapere, libertà, mondo sono tre parole che possono sembrare pompose ma che tracciano nitidamente tre dimensioni fondamentali di Morelli uomo e sindacalista, come il libro dimostra ampiamente. Il volume è di ben 500 pagine, che non costituiscono, però, un malloppo. Sono anzi molto leggibili. Contiene una prefazione di Bruno Manghi, una post-fazione di Ivo Lizzola, quattordici capitoli in cui si possono ripercorrere – sul filo dell’incessante attività di Morelli – momenti salienti della scena sociale italiana tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni novanta, e infine alcune testimonianze (Franco Marini, Gian Primo Cella e altri) e tre brevi testi di Morelli stesso. Utile anche l’ampia bibliografia. E notevoli sono gli esergo in capo ai vari capitoli: vi si può leggere dove batte il cuore dell’autore! Francesco Lauria (Parma, 1979) si occupa di formazione, progettazione e ricerca su relazioni industriali e mercato del lavoro, storia e cultura sindacale per la Cisl nazionale e il Centro studi Cisl di Firenze. Ed è anche un amico di c3dem. Il libro può essere richiesto a questo link.
Nella prefazione Bruno Manghi dice che quella di Pippo Morelli raccontata nel libro è una “grande avventura collettiva”, una vicenda da consegnare agli atti, “pronta quando servirà a rispondere alla ricorrente domanda ‘Da dove veniamo?’”. Domanda, aggiunge con una buona dose di ironia, che “certo non risolve tutto ma ci sorregge su altri interrogativi: ‘Chi siamo e dove andiamo?’”.
Giampiero Forcesi