Più che correggere la Costituzione servirebbe ritornare alle sue sorgenti

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Si sta sviluppando un’ampia discussione su riforme istituzionali, costituzionali, elettorali… alla quale partecipano anche molti nomi amici e autorevoli della cosiddetta tradizione cattolico-democratica: da Prodi a Bindi, da Monaco a Ceccanti, da Pizzolato a Balboni, Allegretti, Castagnetti, Armillei…  Il dibattito, che coinvolge anche persone e idee di diversa matrice culturale e politica, è interessante; e la circostanza, pur nelle difficoltà del momento, è anche simpatica perché sembra un po’ d’essere tornati allo spirito della Costituente. C’è tuttavia il rischio che serpeggi uno spirito di contrapposizione e di precipitazione. Alcune posizioni, a mio avviso, vorrebbero imporsi con un eccesso di forza e di sicurezza. Alcune affermazioni, date per ovvie e condivise da tutti, non lo sono affatto; e talvolta sembra che alcune proposte siano poco motivate, se non da una pistola sul tavolo.

Dunque mi sembra  importante che nel dibattito, destinato a durare,  prevalga davvero uno spirito costituente  (o…ri-costituente) e non la polemica e la personalizzazione eccessiva. E questo perché non si tratta semplicemente di correggere, ad esempio, una legge elettorale; ma di ripensare e restaurare regole e spirito del nostro sistema politico per raggiungere due risultati connessi. Il primo è un rapporto più trasparente e amichevole tra i cittadini e le istituzioni (e gli uomini) della politica. Il secondo è una migliore democrazia ed una migliore efficienza operativa delle istituzioni, soprattutto dell’esecutivo.

Un eccellente contributo alla riflessione è offerto dall’ editoriale dell’ultimo numero di Aggiornamenti sociali (giugno-luglio 2013) perché  va alla radice, obbliga a riflettere. Scrive il direttore Giacomo Costa s.j: “Il senso delle istituzioni della democrazia rappresentativa è permettere di trovare accordi al di là delle fratture tra interessi contrastanti come tra differenti visioni del mondo che dividono le nostre società, sempre più plurali e parcellizzate”. L’autorevole gesuita riconosce che in questi mesi c’è stato in Italia come un terremoto, che ha rivelato fratture e crolli. Che fare?

Citando Marc Augé, p.Costa suggerisce di distinguere attentamente tra “rovine” e “macerie” . Le prime hanno qualcosa da insegnare; permettono, ed anzi obbligano, a fare i conti con il passato, provocano ad una fedeltà creativa. Le macerie invece non hanno alcun interesse: sono materiale informe, inutilizzabile; anzi, impediscono di passare oltre. E suggerisce: “Solo ripensando con cura il passato, assumendolo come proprio, accollandosene responsabilmente il peso – oltre che servendosi delle risorse che ancora offre – si possono aprire nuovi orizzonti”.

E ancora: “Occorre essere prudenti nel mandare in frantumi l’intera architettura istituzionale e politica italiana, affrettandosi a ridurre tutto a macerie da sgomberare….. È indubitabile che la politica e la democrazia italiane siano rovinate, nel senso che hanno subìto un lungo processo di rovina, ma siamo sicuri che tutto ciò che resta siano solo macerie? Ha davvero senso mandare in discarica una tradizione democratica che ha dato alla luce una delle Costituzioni più evolute del mondo , frutto tra l’altro di un processo di mediazione nel suo senso più alto, che ci ricorda che trovare accordi non è sempre sinonimo di fare inciuci?”.

Insomma, si tratta, probabilmente, di capire e accettare che “la politica non sia solo una prova di forza per conquistare o mantenere il potere, ma anche un paziente lavoro per la costruzione di politiche pubbliche a servizio dei cittadini”.

Un tale approccio mi pare molto importante e prezioso in questo momento. Infatti è certamente opportuno che si giunga ad una riforma delle nostre istituzioni; ma è molto importante anche il modo col quale tale riforma possa avvenire; il consenso che possa raccogliere; e l’intenzione con la quale venga realizzata e i frutti che possa offrire. Non servirà molto, infatti, (e potrebbe essere molto pericoloso) un eccessivo entusiasmo, quasi un delirio, di riscrivere la Costituzione e inventare nuovi meccanismi elettorali e istituzionali. È facile e perfino demagogico parlare di presidenzialismo e di sistema maggioritario; bisogna capire bene quanto ciò sia compatibile con l’impianto essenziale della nostra Costituzione (che certo non deve e non può essere stravolta!).  Tale impianto ha consentito infatti in questi decenni di contenere i danni e i rischi provocati dal deterioramento del sistema dei partiti e dalle novità indotte dalla “personalizzazione” della politica, dalla trasformazione del sistema mediatico e comunicativo, dai mutamenti del quadro internazionale e dalla diffusione della corruzione, con il crescente distacco dei cittadini dalla politica (intesa come speranza e progetto, impresa collettiva, costruzione di un futuro di pace, benessere e solidarietà).

Più che correggere la Costituzione (tanto più in senso presidenzialistico e maggioritario) si tratterebbe di ritornare alle sue sorgenti, riprenderne i valori fondanti, accrescere lo spirito di solidarietà, ritrovare – anche attraverso  una vera riforma-regolazione dei partiti e delle altre forme bilanciate di rappresentanza e di partecipazione – la forza creatrice della “vita politica” alla quale tutti i cittadini sono chiamati a contribuire e dalla quale traggono molti benefici materiali e morali.

Certo, la commissione di esperti appena creata potrà indicare una rosa di ipotesi per rinnovare alcuni aspetti giuridici del sistema costituzionale; ma assai più importante è che tutto il Paese, nelle sue istanze culturali, morali, politiche (dalle associazioni ai partiti, dalle università ai luoghi di lavoro), si renda conto delle difficoltà di oggi e delle loro cause, dell’orizzonte delle novità possibili e desiderabili; e dei mezzi per raggiungerle, insieme. Basterebbe pensare a quanto dividerebbe il Paese la scelta per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. O a quale risultato porterebbe la scelta di un esecutivo votato da una maggioranza parlamentare espressa da una evidente, definita minoranza dei cittadini! O a quale “continuità di governo” porterebbe l’elezione di un leader scelto dai cittadini nel momento in cui l’attenzione generale fosse concentrata su di un tema, poi  in breve tempo sostituito da ben diverse priorità! Non è bastato l’esempio, pur infinitesimale, di una campagna sull’Imu ?!  Tantopiù che il nostro sistema di informazione, soprattutto politica, è quello che è (e che è pudìco non definire).

Per fare ciò torno a dire che è essenziale una riforma dei partiti (che non è una riforma costituzionale ma semplicemente l’attuazione, doverosa e …ritardata,  dell’art 49).  Anzitutto una loro riforma, morale e organizzativa, anche sul lato economico e soprattutto sul versante della trasparenza, apertura e comunicazione con la società. Riforma morale incisiva, capace anche di restituire al Paese una classe politica formata da veri servitori dei concittadini e dello Stato.  E poi, anche  sul fondamento di questo ritrovato ruolo e profilo veramente costituzionale dei partiti come soggetto di democrazia, si potrà anche rivedere qualche meccanismo del sistema elettorale ed istituzionale per conferire al potere legislativo e soprattutto all’esecutivo una maggiore stabilità e funzionalità, anche in rapporto agli altri livelli della decisione politica, dalle regioni alla comunità europea.  Ma partire da riforme costituzionali in senso presidenzialistico e maggioritario (cioè partire dal vertice della piramide anziché dalla base) potrebbe rivelarsi assai più dannoso che inutile.

Angelo Bertani

 

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  1. Gentile Bertani, vedo che lei fa parte del comitato redazionale. Più che commentare il suo articolo (su cui comunque avrei qualche riserva), vorrei sottoporre a lei e a c3dem una domanda relativa al tema “riforme istituzionali”. La domanda è la seguente: dato che tutti i più recenti interventi comparsi su c3dem (mi riferisco a:
    “Più che correggere la Costituzione servirebbe ritornare alle sue sorgenti
    In Italia il presidenzialismo ci riporterebbe a un sistema oligarchico
    L’ambiguo fascino del (semi)presidenzialismo
    Uno strappo alla Costituzione, e un equivoco politico
    L’antropologia del semipresidenzialismo
    Il tempo del Caimano”)
    vanno in una e una sola direzione, come fa c3dem a tener fede a quanto scritto in “chi siamo”, e cioè
    “aprire nuovi percorsi di incontro e di dialogo, sempre nel rispetto e nella valorizzazione delle pluralità”?
    Grazie anticipate della sua risposta. cordiali saluti.

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