Più trasparenza per un sindacato “libero ed autonomo”

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Promemoria su alcuni problemi prioritari per il sindacato / 1

 

Le notizie su casi clamorosi di retribuzioni abnormi di alcuni dirigenti (per quanto riguarda la Cisl, a cominciare dall’ex segretario generale) hanno creato indignazione, turbamento e un crescente disamore verso l’impegno sindacale tra iscritti e militanti. Di fatto si è determinata una condizione che ha assimilato sindacato e sindacalisti al disprezzo sempre più diffuso verso la politica e i politici. Aspetto quest’ultimo che, alimentato da anni, ha ormai superato ogni soglia di tollerabilità. Indicativo uno sconcertante episodio (sottovalutato dai media e dall’opinione pubblica) che si è verificato a metà agosto 2015. Sara Giudice, giornalista della trasmissione in Onda della 7, è stata aggredita al Luna Park di Tarquinia per essersi presentata con il proposito di dare notizia e fare un commento (probabilmente) critico ad un chiosco di tiro a segno dall’insegna inequivocabile: “Spara al politico e vinci sempre”. Sappiamo tutti che negli ultimi anni gran parte delle forze politiche e dei politici hanno fatto del loro meglio per essere giudicati impresentabili a causa del malaffare, delle tangenti imposte sulla spesa pubblica e della diffusa corruttela. Ma questo avrebbe semmai dovuto essere ritenuto uno stimolo ad una radicale ricambio (con il voto) della classe politica. La reazione prevalente si è concretizzata invece in giudizi populisti, qualunquisti e astensionisti.

Fino ad alcuni anni fa la situazione del sindacato appariva diversa. Pur non sollevando brividi di entusiasmo tra i lavoratori per la manifesta incapacità a reagire con una appropriata iniziativa contrattuale alle conseguenze della crisi economica e occupazionale, per la inettitudine delle organizzazioni nello stabilire rapporti costruttivi e di cooperazione, per la progressiva burocratizzazione dei quadri dirigenti, malgrado tutto riusciva a mantenere un forte insediamento tra i lavoratori attivi e i pensionati.

Oggi, anche a causa degli scandali esplosi e delle polemiche che ne sono seguite, la condizione risulta assai diversa. La denuncia di Fausto Scandola (ex dirigente della Cisl del Veneto, incomprensibilmente minacciato di espulsione, quando i provvedimenti da prendere avrebbero semmai dovuti essere di segno opposto), il quale dava conto del trattamento retributivo immorale di alcuni dirigenti di primo piano dell’organizzazione (in certi casi si è arrivati a superare i 300 mila Euro lordi all’anno), ha suscitato le reazioni indignate di migliaia di iscritti, non solo della Cisl, obbligando i leader sindacali a correre ai ripari, e cioè a promettere tetti ai compensi e divieti di cumulo. La promessa forse arriva tardi. Soprattutto assomiglia troppo alle leggi delega del governo che, per diventare provvedimenti effettivi, hanno bisogno di qualche decina di decreti attuativi e quindi (se non ci sono intoppi) mesi di attività legislativa. Ad esempio, per quanto riguarda la Cisl, alla fine di luglio l’esecutivo ha approvato un regolamento retributivo che però diventerà operativo solo all’assemblea organizzativa prevista in autunno. Soprattutto, allo stato, non è chiaro con quali strumenti si pensa di renderlo cogente.

Secondo alcuni commentatori e membri del governo, incluso il premier, tardi epigoni della cultura corporativa e autoritaria che nel nostro paese ha lasciato tracce profonde (basti pensare alla teoria: “tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato, niente contro lo Stato”, che è stata la cifra del ventennio fascista), il problema delle retribuzioni abnormi di qualche disinibito sindacalista sarebbe una delle conseguenze del mancato riconoscimento giuridico del sindacato. A cui si somma l’opinione diffusa che l’assenza di una regolamentazione legislativa avrebbe effetti anche sull’accertamento della rappresentanza. Perciò la domanda che periodicamente viene posta a livello politico e sui media è: quanti sono gli iscritti a Cgil, Cisl e Uil? Con esattezza nessuno lo saprebbe. Perché, secondo i devoti del riconoscimento giuridico, essendo associazioni di fatto il numero degli aderenti sarebbe privo di basi che lo possono attestare. Per la verità gli strumenti esistono. Nel settore pubblico c’è infatti una certificazione degli iscritti affidata all’Aran. Nel privato esiste invece un accordo tra Cgil, Cisl, Uil e la Confindustria. Firmato nel gennaio 2014, ma non ancora attuato. L’accordo prevede infatti che debba essere l’Inps a conteggiare il numero degli iscritti per ogni organizzazione. Ma un buon gruppo di aziende (in assenza di una legge che le obblighi) non avrebbero comunicato i dati delle trattenute su delega. Per la verità non ci sarebbe alcun bisogno di una legge. Basterebbe infatti una circolare dell’Inps, come avviene per le informazioni che l’ente previdenziale richiede alle aziende. Ma finora non si è mossa foglia. Applicando l’accordo per il pubblico impiego e per i privati si otterrebbe un numero di iscritti probabilmente sottostimati. Perché nel conteggio non risulterebbero quelli fatti tramite i Caf e i patronati. Tuttavia sarebbero pur sempre dati indicativi della rappresentatività di ciascuna organizzazione. Sia ai fini della proclamazione degli scioperi che della sottoscrizione di accordi.

Naturalmente, unitamente alle informazioni rivolte all’opinione pubblica, nulla esime le organizzazioni sindacali, se vogliono scongiurare un discredito altrimenti inevitabile, dall’adottare rigorose misure di trasparenza interna. Controllabili da tutti a cominciare da iscritti e militanti e rese effettive con l’istituzione di un comitato per la trasparenza dotato dai necessari poteri di intervento. Unica strada se vogliono scongiurare un destino di inesorabile regresso.

Purtroppo nella nostra cultura pubblica c’è un aspetto che tende ad essere oscurato ed è una sindrome che sembra ormai avere colpito anche parte delle organizzazioni sindacali. Vale a dire la mancata consapevolezza che nei paesi in cui non esistono sindacati “liberi ed autonomi”, quale che sia la motivazione adottata per sottoporli al controllo della legge e in definitiva dell’esecutivo, soffrono di un deficit di efficacia e dunque anche di minore capacità di influire anche sulle dinamiche democratiche, sociali ed economiche.

Sappiamo, come ci hanno insegnato i filosofi, che la democrazia non ha nessuna verità assoluta in se stessa. Essa è in realtà il gioco delle diverse verità. E’ un sistema vuoto di verità se non si accetta la verità della regola del gioco democratico. Infatti non c’è una verità trascendentale della democrazia. C’è piuttosto una evoluzione morale e mentale necessaria per una vitalità democratica. E’ per questa ragione che le democrazie sono fragili e non a caso necessitano di un tempo abbastanza lungo per mettere radici. Lo vediamo in molti paesi dell’Africa, dell’America Latina, ma pure dell’Europa. Persino nella storia dell’Italia, della Spagna, della Francia, della Germania. Per questa ragione dobbiamo pensare che la democrazia è un bene prezioso, proprio perché è molto fragile. Del resto anche nella vita le cose più preziose sono le più fragili. Non si dovrebbe perciò mai dimenticare che la democrazia vive e si rafforza solo se la cultura democratica viene considerata un bene condiviso. Quindi solo se viene salvaguardato il rapporto società-Stato, a cominciare dalla dialettica tra gruppi intermedi e potere politico. Tutto il resto, ad iniziare da una deprecabile propensione alla ipertrofia legislativa, non può produrre altro che tendenze autoritarie, regresso democratico, disordine e guai.

 

Pierre Carniti

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  1. La CISL è e resta grande
    Quella pubblicata è solo la prima parte di un testo più ampio di Carniti che tocca molti temi importanti, sia di ruolo che di iniziativa, per il futuro del movimento sindacale nel nostro Paese. Converrà fare delle valutazioni dopo la pubblicazione del testo completo, cosa che mi riprometto. Intanto, vista la rilevanza che anche Carniti attribuisce al tema dei maxi stipendi di alcuni dirigenti della CISL, e con lui molti altri non ultimo Savino Pezzotta ex Segretario Generale della CISL come Carniti, da iscritto alla CISL da sempre che ha dedicato molti anni all’impegno sindacale, credo opportuno intervenire sul tema.
    La CISL è una grande organizzazione sindacale con ben 4.400.000 persone iscritte e in crescita, cioè che pagano la tessera ogni anno, rappresentate da alcune migliaia di sindacalisti ai diversi livelli comunali, provinciali, regionali e nazionali. Se questa è la CISL, lo si deve alla credibilità, coerenza e serietà delle politiche che persegue e ai risultati che consegue ma, anzitutto, alle persone che la rappresentano che altro non sono che santi minori che fanno grande la CISL. Costoro non hanno spazio nei mass media, i giornali e le televisioni non parlano di loro, eppure gli iscritti sanno chi sono e dove sono e, dunque, a chi rivolgersi quando hanno un problema da risolvere. Tra coloro di cui si interessano i mass media vi sono anche santi maggiori (ad esempio Carniti e Pezzotta) non coinvolti nella degenerazione etica e morale di cui si parla in questi giorni. Questo patrimonio di credibilità, coerenza e serietà non può essere messo in discussione ma salvaguardato con azioni di profonda e trasparente pulizia interna.
    Chi, come me, ha passato quasi tutta una vita nella CISL sa benissimo, senza bisogno che lo dica Savino Pezzotta nella sua intervista a Lettera 43 o Pierre Carniti in questo articolo, che la degenerazione etica e morale della CISL è iniziata subito dopo il Congresso Confederale del luglio 2005 con la rivendicazione di Bonanni, sostenuto dai suoi padrini esterni agli organismi CISL, di essere nominato Segretario Generale Aggiunto e dal conseguente motivato diniego di Savino. Nell’arco di sei mesi Bonanni e il suo gruppo, che potevano contare su importanti riferimenti esterni alla CISL, sono riusciti a ribaltare la maggioranza congressuale che aveva eletto Savino con oltre il 95% dei voti congressuali.
    Come ciò sia stato possibile resta per me un mistero. I fatti odierni però aiutano a chiarire i percorsi e le modalità che avevano portato ad un così rapido cambio di Segretario Generale e forse i fatti di cui si parla oggi non sono altro che la conseguenza di quei percorsi e modalità. E come non ricordare i metodi di Bonanni per consolidarsi nel suo nuovo ruolo. Ad esempio: nel 2008, in una importante struttura regionale un candidato alla carica di segretario generale è stato esautorato per la semplice ragione che ha avuto il coraggio di prendere posizione, con una lettera personale indirizzata a Bonanni Segretario Generale della CISL, contro il mega stipendio di 345.000 euro di un segretario nazionale della CISL, Gianni Baratta, grande sostenitore di Bonanni. Nessuna risposta ma solo la sua esautorazione e la nomina di un Segretario generale gradito a Bonanni.
    Ricordare gli avvenimenti del passato non modifica la realtà attuale, ma serve ad individuare responsabilità e connivenze, soprattutto se si considera che gli stipendi indicati nella lettera di Scandola si giustificano solo se si ammette che i componenti degli organismi a cui appartengono o sono appartenuti i dirigenti di cui si parla, non potevano non sapere, anzi, di tale situazione ne hanno tratto un personale beneficio. Vorrei ricordare che il problema della chiarezza e della trasparenza sui livelli retributivi nella CISL esiste da almeno il 2008. Da allora, nonostante le molte richieste di semplici iscritti e operatori sindacali, nulla è stato fatto e ciò ha permesso il caso Bonanni e quelli attuali.
    Ora la Segreteria Confederale dice: svoltiamo verso la trasparenza. Molto bene e meglio tardi che mai. Resta però, e vorrei sbagliarmi, che comunque gli interventi decisi dalla Segreteria Confederale non prendono in considerazione né le carte di credito della struttura di appartenenza in uso ai dirigenti, né il sistema dei rimborsi spese a pie di lista e spesso senza pezze giustificative.
    Se la CISL non ritrova il coraggio di fare pulizia al suo interno per assicurare chiarezza e trasparenza nei confronti dei suoi iscritti, è un’organizzazione che non ha futuro e questo mi preoccupa perchè non ho un sindacato di riserva.

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