C’è un lato positivo nella votazione dell’altro giorno in Senato. Ha chiarito le appartenenze e prefigurato gli schieramenti per le prossime elezioni: democratici e popolari, da una parte; sovranisti e populisti, dall’altra
La crisi che si è consumata in questi giorni e che ha portato alla caduta del governo Draghi è stata definita con tanti aggettivi, incomprensibile, complessa, inedita… e, ovviamente, gravissima in un contesto internazionale già segnato da una crisi umanitaria globale. E il comportamento dei partiti, “presenti non votanti” alla votazione del Senato, mercoledì scorso, è stato bollato, giustamente, come irresponsabile e vergognoso.
In realtà, la subdola manovra di lanciare il sasso e nascondere la mano rivela un certo modo di concepire la politica come “stratagemma”, termine che il vocabolario, in base all’etimologia greca, definisce “astuzia militare”, cioè, “mossa per trarre in inganno il nemico”. Con altra parola, più vicina al linguaggio politico, possiamo parlare di comportamento demagogico e ingannevole, quale abilità a “cattivarsi il favore del popolo”.
La votazione dell’altro giorno, mentre apparentemente ha contrapposto la Lega al movimento di Conte, di fatto li ha riavvicinati (ammesso che si fossero mai allontanati ) nella comune postazione populista. Il centrodestra, a sua volta, si è presentato con l’anima populista della Meloni.
Per il Pd, paradossalmente, la votazione è stata benefica, perché lo ha convinto, finalmente, a rompere l’alleanza ostinatamente condotta con i 5stelle, che Renzi, nel suo intervento al Senato, ha detto di non capire, come “un mistero della fede”! In verità, non l’avevamo capita neanche noi, a meno che la frammentazione dispersiva del Movimento non fosse il calcolo di una probabile eterogenesi dei fini!
Cosi, a voler vedere il lato positivo della votazione dell’altro giorno, rilevo che ha chiarito le appartenenze e prefigurato gli schieramenti per le prossime elezioni: democratici e popolari, da una parte; sovranisti e populisti, dall’altra.
L’attuale legge elettorale, che i partiti, colpevolmente, non hanno voluto o saputo cambiare, obbliga a coalizzarsi. Ebbene, il Pd abbandoni il ventilato “campo largo”; o, comunque, lo risemantizzi, “allargandolo” all’arcipelago centrista e alle insorgenze del civismo che le ultime elezioni amministrative hanno reso evidenti: una coalizione popolare, avversa alla coalizione populista. Con una formulazione breve e tuttavia completa, papa Francesco ha definito il popolarismo “la cultura del popolo”, cioè, la “coltivazione”, la “cura”, il “riscatto” del popolo, le cui dimensioni coincidono con le “periferie” della città.
Tocca alla politica, sviluppata come ricerca responsabile del bene comune, il compito di elevare la massa alla dignità di popolo e contrastare il populismo, che tende a lasciare il popolo nella condizione di massa, oggetto e non soggetto della vicenda politica.
Lino Prenna