E’ diventato un luogo comune suddividere il mondo politico in populisti e democratici. L’accusa di populismo dilaga, coprendo anche fattispecie piuttosto diverse e non sempre contribuendo a chiarire il quadro. A me pare che dovremmo tenere per “populismo” quello che originariamente esso vuol essere: cioè l’appello al “popolo”, alla “gente comune”, contro il potere, contro il “quartier generale”, contro i privilegiati del “Palazzo”. Il punto da notare è che questa impostazione porta con sé certamente semplificazioni e sloganismi, ma copre a sua volta approcci diversi. Può essere una retorica usata da chi effettivamente vuole criticare dall’esterno il sistema: pensiamo all’ondata di micro o macro-rivendicazionismi e movimenti polemici, a volte localistici, a volte generalisti (dai “forconi” in giù, fino ai grillini). E pensiamo invece all’uso di categorie e linguaggi populistici da parte di chi il potere lo gestisce in prima persona: abbiamo avuto nell’ultimo ventennio il preclaro esempio berlusconiano (cioè di colui che si presentava come estraneo alla politica anche lustri dopo essere entrato in parlamento e aver guidato il governo!), abbiamo avuto un candidato al governo della Lombardia che ha vinto il posto promettendo di combattere gli sprechi (come se lui non fosse stato ministro degli Interni e il suo partito membro da tempo immemorabile delle coalizioni del Celeste governatore); abbiamo oggi un presidente del Consiglio che ha individuato un punto forte del suo ruolo comunicativo nel presentarsi come portatore delle istanze dei cittadini contro la Casta politica e amministrativa (dalle rottamazioni come compito personale, passando per la vendita delle auto blu, fino alla polemica facile contro la burocrazia).
Tutto è populismo, quindi? Certo, i tempi attuali della sovraesposizione mediatica della politica, sembrano facilitare molto la semplificazione e favorire chi è capace di adottare la retorica populista, che è di per sé binaria e schematica. Allora dobbiamo accettare che si tratti di scegliere tra populismi diversi? Che basti un certo minimale aplomb, una sorta di self-containment e di rispetto delle regole, per rendere accettabile una forma moderata di populismo? Un conto è infatti l’eccesso di retorica per ottenere il consenso, che può essere disdicevole ad orecchie bene educate, ma in fondo fa parte del gioco democratico. Un conto è invece che nel nome del “popolo” si introducano strumenti per limitare la libertà, come in paesi dove il populismo nazionalista si sta facendo Stato (nemmeno troppo lontano da noi, pensiamo all’Ungheria…).
Oppure è ancora possibile ragionare e agire in modo diverso? E cioè rilanciare un modello di politica che non ha bisogno di ricorrere al populismo, perché trova modo di mediare in sé stessa le istanze emergenti nella società. Una politica che non lasci montare l’indignazione e lo scandalo, il mugugno e la polemica dei cittadini nei propri confronti, senza batter ciglio (come troppe volte ha rischiato di fare chi, anche tra i politici migliori, ha sottovalutato il problema del distacco tra cittadini e potere). Una politica che non continui a smantellare quella rete di presenze orizzontali e capillari – in mezzo al popolo, verrebbe propriamente da dire – che dovrebbero essere i terminali più veri di ogni dialogo continuo tra politica e mondi vitali, tra la “gente” e il “palazzo”. Una politica che non si smonti di fronte ai movimentismi, anche sguaiati, ma li affronti con le armi della ragione e della responsabilità, spuntando le armi della polemica con l’evidenza del proprio buon servizio alla causa del bene comune. E’ mai possibile confidare ancora in una politica di questo tipo?
Guido Formigoni
20 Maggio 2014 at 12:39
1.”un presidente del Consiglio che ha individuato un punto forte del suo ruolo comunicativo nel presentarsi come portatore delle istanze dei cittadini contro la Casta politica e amministrativa (dalle rottamazioni come compito personale” Sì, ma il punto è se queste istanze dei cittadini (e quindi il compito del loro “portatore”) hanno o no un fondamento. Qualcuno pensa che in questo campo le “istanze dei cittadini” siano infondate? Quanto alla rottamazione è un discorso nato anzitutto all’interno del PD, e io da iscritto posso testimoniare che quello che qui viene erroneamente presentato come “compito personale” in realtà rappresentava l’esigenza di gran parte (la maggiore, stando all’esito delle primarie tra gli iscritti) degli iscritti.
2. “Una politica che non lasci montare l’indignazione e lo scandalo, il mugugno e la polemica dei cittadini nei propri confronti”. Mi pare che il taglio – tutto teso a indicare obiettivi ‘in positivo’ agli elettori – dato dal primo ministro tra l’altro anche all’attuale campagna elettorale (in contrapposizione al taglio disfattista di un Grillo), vada precisamente in questa direzione (poi attuare le cose è un tantino più difficile, naturalmente).
3. “Una politica che non continui a smantellare quella rete di presenze orizzontali e capillari – in mezzo al popolo”. Sì, ma attenzione: criticare a fondo i “corpi intermedi” quando si rivelano inadeguati al mutare delle condizione NON vuol dire affatto “smantellarli”, vuol dire porre un’esigenza perentoria di rinnovamento. Un solo esempio: i sindacati hanno rappresentato adeguatamente i giovani in cerca di primo lavoro in questi ultimi anni?
4. Una lettura utile per articolare il discorso impostato qui da Formigoni al link http://www.europaquotidiano.it/2014/05/10/renzi-e-la-falsa-etichetta-di-populista/
20 Maggio 2014 at 16:27
I populismi denunciano anche quanto sia costoso l’affidamento ai media delle informazioni. A prescindere dalla ben nota carenza di senso dello stato che sembra propria non solo degli italiani perché le trasformazioni storiche impongono anche di rinnovare il senso dei valori, ma la “gente” ascolta la TV passivamente e ne trae reazioni acritiche, “di pancia” come si usa dire. I populismi si aggravano quando si combinano con posizione nazionaliste. Un conto è amare la patria e l’Europa, un altro diventare cittadini italiani ed europei in attesa di diventarlo “del mondo” (la globalizzazione non sarà solo quella economico-finanziaria dei disastri, sarà pure anche quella della cultura…).
I populismi nazionalisti parlano di uscire dall’euro. Per gli italiani è pura follia: a parte la difficoltà di usare il referendum per problemi che fanno parte di trattati internazionali (i costituenti vollero che la sovranità in questi casi faccia un passo indietro), ma si è persa memoria del pessimo valore della lira quando i governi avevano l’abitudine di stampare moneta: il debito non si cancella e se si vuole comperare petrolio e gas, si paga in dollari, non in lire. Dimenticato che cos’è il cambio sul mercato? Ma, peggio, dimenticato anche che chi ha denaro in banca o titoli ne perde gran parte? e che le banche che sono piene di titoli in euro falliscono? Sembra di sognare nel sentire ragionamenti che più che illusori sono colpevoli. Soprattutto se detti in campagna elettorale.
La quale campagna è la più importante per gli europei che accusano – anche giustamente – l’Europa di scarsa democrazia perché il Parlamento è surclassato dal Consiglio dei Capi di stato e di governo: per la prima volta il Parlamento eleggerà il Presidente della Commissione. Se sarà un progressista – dico Schulz – saranno possibili cambiamenti (sia pur graduali) di politica per riportare il sociale ad essere punto di riferimento nelle decisioni economiche. Se sarà Junker del Pp (a cui appartiene il partito di Berlusconi), difficilmente il Consiglio cederà le armi e proseguirà il rigore del fiscal compact….