A un mese circa dalla votazione sul referendum, sui diversi giornali si sono lette ampie disamine sul voto: raccontato in modo vario l’esito, con narrazioni le più diverse, spesso con una propaganda spudorata messa in campo dalle varie tendenze padronali delle singole testate, attorno ai motivi che hanno spinto il nostro popolo a posizionarsi sui uno dei due fronti relativi al referendum. Moltissimi di questi articoli si sono attardati ad analizzare il no al referendum e ci hanno spiegato come la parte maggioritaria di questa fascia sia costituita dai giovani o da segmenti estesi di persone che sono scivolate dentro processi di impoverimento generale; solo una piccola frangia dei no, come ci è stato raccontato, ha votato in modo consapevole in merito al referendum sulla Costituzione. L’impoverimento generale, delineato dai più autorevoli commentatori, ha dato la spinta decisiva alla vittoria del no, ed è composto da un ex ceto medio sempre più depotenziato e non più in grado di condurre una vita decente; da una classe operaia bombardata e ormai alla canna del gas, sempre più vulnerabile; dal commerciante schiacciato dalla concorrenza on- line e dai grossi centri commerciali; dal il piccolo imprenditore fragile di fronte alla globalizzazione e sempre più tartassato; dal genitore separato che fatica sempre di più a onorare i suoi impegni, ma anche da famiglie unite che, malgrado il lavoro, hanno il rilevante problema del fine mese; dal disoccupato senza futuro e alla deriva. Pochi articoli si sono attardati ad analizzare il voto referendario relativo al sì, esame che, se fatto bene, avrebbe potuto generare riflessioni fertili sui processi sociali in corso. Infatti, se si scavasse con cura, si scoprirebbe come non solo il grosso dei pensionati, ma quasi tutta la classe dirigente che dovrebbe essere la locomotiva del nostro paese, si è schierata, senza ondeggiamenti, con il sì al referendum e ha dato un forte appoggio al governo spesso prescindendo dal merito, esponendosi frequentemente e spendendo molte energie durante tutta la lunga campagna elettorale che abbiamo alle spalle. E’ un dato fattuale che il mondo della Confindustria , della comunicazione (RAI in testa), quello bancario, il settore finanziario, buona parte dell’ambiente accademico, il popolo dei sindacati (con la CISL in prima fila), molti responsabili di organizzazioni cattoliche significative (le progressiste ACLI), si sono molto spese perché il sì trionfasse, facendosi cinghia di trasmissione a favore del governo presso i propri iscritti, dando l’impressione di un interesse non disinteressato e di un’insufficiente valutazione delle conseguenze. Uno sbilanciamento a favore del sì veramente sospetto. I vertici europei, infine, non hanno fatto mancare il loro pieno sostegno. Tutte queste organizzazioni si sono mosse cercando il regno, ovviamente non dei cieli. Inoltre mi ha colpito molto, da parte di queste organizzazioni, la mancanza di critica verso il governo: un atteggiamento che dimostra quanto siano slegate dalla storia in corso. Mi riferisco a quando in prossimità del voto referendario, il governo ha messo sul tavolo, per vincere il passaggio cruciale, una politica economica fatta di bonus, una tantum, aumento delle pensioni minime, rinnovo dei contratti statali, ponte sullo stretto, posizioni muscolari e sovraeccitate contro l’Europa del rigore e dell’austerità, non degne di una sinistra moderna e responsabile e invece segnale di un ulteriore indebolimento della politica. Una politica che non abbandona vecchi metodi nell’adescare il consenso, gli stessi che eravamo abituati a vedere nella parte più retrograda della vecchia democrazia cristiana, la cui filosofia scorre ancora nelle vene di molti dirigenti del partito democratico.
Come credente che ha fatto suo l’orizzonte del cattolicesimo democratico, in cui i maestri che hanno marcato questa linea di pensiero hanno trasmesso un prezioso lascito e sono stati sentinelle vivaci della democrazia, della Costituzione, dell’uguaglianza (la consegna di papa Francesco sulla giustizia per molti aspetti è omogenea a questa tendenza), provo molto disagio per come la sinistra si sta muovendo in questa stagione caratterizzata da sfide veramente terribili. Io penso che, in questa congiuntura, il cruciale mandato dei nostri maestri sia imprescindibile in quanto stiamo passando da regimi democratici a regimi plutocratici, in cui i ricchi scendono in campo in prima persona. Il fatto che Trump, Berlusconi e leader di molti paesi dell’est Europa spesso riescano a vincere, dovrebbe spingerci a riflettere a fondo.
Un’ultima considerazione, non irrilevante, di carattere pedagogico: Renzi sosteneva che in caso di vittoria del no si sarebbe dimesso dalla politica; non lo ha fatto. Il partito ha voltato la faccia dall’altra parte, dimostrando un impianto mentale con poco spessore culturale e morale, incurante del fatto che questo potrebbe influire sui più giovani, nel loro modo di relazionarsi alla politica e non solo. Non è cosa irrilevante prendersi le proprie responsabilità educative verso le future leve dirigenti.
Molli Mario Giuseppe
1-1- 2017