Le vicende legate alla frantumazione dell’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Lega e la conseguente caduta del governo che ha fatto della demagogia del popolo, della bugia della sicurezza e della strumentalizzazione delle persone e delle fede stessa, le sue cifre salienti, hanno assunto, almeno per chi scrive, una valenza catartica. Hanno cioè avuto un effetto liberatorio: liberatorio da personaggi a dir poco inquietanti e parolai; liberatorio da una narrazione dei fatti pericolosa e farneticante.
Le macerie sociali ed economiche prodotte dal “salvinismo” e dai suoi adepti hanno, per contrasto, disvelato i tratti di una politica finalmente “educata”, di una politica dal volto umano, fondata sul rispetto della persona e sul riconoscimento della sua ontologica apertura agli altri. Tratti che sintetizzerei con tre parole: speranza, responsabilità e coerenza.
La speranza. Nei discorsi sopratutto di Conte e di Zingaretti è risuonata spesso questa parola. Assumere la prospettiva della speranza non significa scivolare nel sentimentalismo buonista o nell’ottimismo effimero, ma – per dirla con Ernst Bloch – riconoscere che essa “è una funzione della razionalità che ti permette di oltrepassare il limite, di aprirti al cambiamento, scoprendo la forza di trasformazione dei sogni diurni, quelli cioè che facciamo da svegli, con gli occhi aperti, e l’azione emancipatrice dei desideri umani”.
La speranza, in altri termini, è capacità di progettare il cambiamento, superando i limiti imposti dalle diseguaglianze. Per noi cristiani, poi, è la traduzione concreta del principio di “non appagamento” che ci spinge a superare lo statu quo e ad essere naturaliter riformisti e giammai paurosi conservatori. Perciò, la speranza sul piano politico si pone agli antipodi delle ideologie sovraniste e nazionaliste fondate sulla chiusura, sulla paura e sull’odio del diverso. Muoversi nella dimensione della speranza aiuta a smascherare il “boccone avvelenato che ci viene servito nel menu di oggi: il baratto della virtù della speranza per il Paese con parole d’ordine quali orgoglio, patria, sicurezza” (padre Antonio Spadaro).
La responsabilità. L’altro nome della speranza è responsabilità. Il cosiddetto governo del cambiamento si è nutrito del “primato dei diritti”: il diritto alla sicurezza, enfatizzando i pericoli derivanti dalla presenza degli immigrati; il diritto alla difesa dei confini, contraddicendo i diritti naturali riconosciuti dai trattati internazionali; il diritto all’assistenzialismo, confondendo il diritto al lavoro con il diritto al reddito; il diritto a trattenere sui territori il relativo gettito fiscale, etc.
La responsabilità, al contrario, esige l’affermazione anche dei doveri. I doveri rappresentano la premessa “per riconoscerci come comunità di vita e per pensarci dentro un futuro comune da costruire insieme” (Sergio Mattarella). Essi rendono possibile la vita comunitaria. Senza di essi, gli stessi diritti, secondo la lezione morotea, rischiano di rivelarsi effimeri. Ecco, solo un nuovo senso del dovere, una rinnovata adesione ai valori di solidarietà possono superare rancori ed egoismi. Naturalmente, perché questo richiamo non sia mera retorica occorre che il cittadino, tutti i cittadini avvertano l’amicizia delle Istituzioni proiettate con efficacia a rimuovere gli ostacoli che di fatto alimentano rancori ed egoismi.
La coerenza. Infine la terza parola che i fatti di questi giorni dischiudono è coerenza. Si dice: ma come, due partiti antagonisti che si sono combattuti sino a ieri oggi siedono intorno allo stesso tavolo per condividere un nuovo progetto politico? Dov’è la coerenza? In politica, cioè quando ci si impegna a ricercare il bene comune, il granitico attaccamento a quanto si è pensato, detto e fatto, quasi mai rende possibile una dinamica “intelligenza degli avvenimenti”. Quando sull’altare di una astratta coerenza si immola il discernimento come capacità di comprendere ciò che accade intorno a noi, si corre il rischio di negare alla politica la sua principale missione: dare soluzione ai problemi della comunità. Quando si è, come in questo momento storico, di fronte alla confusione generata da studiate strategie di comunicazione volte a mistificare la realtà, a rappresentare pericoli inesistenti, ad assecondare gli istinti e a misconoscere il ragionamento, proprio di fronte a questa confusione, il discernimento aiuta – come scrive il Papa nella Evangelii gaudium – “ad esercitare la propria libertà”.
Rimanere ancorati “per principio”, cioè per ossequio ad una astratta coerenza, ad una propria decisione quando le circostanze cambiano e si aprono prospettive che rischiano di compromettere il bene comune, si nega non solo l’esercizio della propria libertà, ma si priva la stessa politica della sua forza e della sua intelligenza.
Luigi Lochi
Coordinatore Scuola diocesana di formazione politica Lecce