Mettere a confronto l’azione di governo con la cultura cattolica democratica significa a mio avviso misurare l’incommensurabile. Mi chiedo se solo l’azione di governo merita di essere criticata o forse anche la cultura cattolica democratica pecca oggi di gravi limiti. Vorrei soffermarmi su questa seconda questione, pietosamente più trascurata.
L’esperienza storica dei cattolici democratici può essere riassunta in alcuni tratti peculiari:
- La scelta fondante della democrazia rispetto alle molte esitazioni della chiesa e del mondo cattolico a riguardo, se non di vere e proprie deviazioni.
- Una significativa apertura di dialogo con le altre culture, quelle moderne e quelle sociali, con le loro espressioni politiche (in particolare socialiste e comuniste).
- Una scelta di fede spesso profonda, alla ricerca di come la fede potesse coniugarsi con la nuova realtà civile.
Questa esperienza, almeno in Italia ma non solo, si è svolta comunque all’interno del movimento cattolico (politico e sociale); la chiesa a malincuore decise di dar vita a organizzazioni proprie, di fronte al fatto che altre ideologie le avevano già costituite, e non potendo più pensare di rappresentare l’intero paese e la sua popolazione.
Tutte queste condizioni oggi o non esistono più o si sono nel tempo profondamente modificate, tanto da richiedere un cambiamento altrettanto radicale da parte del cattolicesimo democratico.
Se consideriamo la democrazia, il problema attuale non sta certamente nell’affermare una fede democratica, ma come e quale democrazia sia possibile oggi, democrazia che è messa seriamente in crisi dal predominio del mercato, dalle tensioni mondiali e migratorie e dalle forti tendenze individualiste (per non parlare della caduta dei partiti, dell’emergere del populismo, ecc…)
La situazione è ancora più difficile per quanto riguarda il dialogo con le altre culture; scomparsi i partiti socialista e comunista, non esiste più un riferimento della cultura di sinistra rappresentativo, e la cultura politica si presenta come un campo variegato di molteplici pensieri individuali. Lo stesso vale per il lavoro e per il sociale; più che forme di pensiero significative e consistenti abbiamo di fronte problemi, esperienze, situazioni, gruppi.
Nella società fortemente atomizzata di oggi, anche la fede fatica a trovare forme di espressione che siano capaci di incidere, salvo pensare che la soluzione stia nei movimenti o in qualche richiamo al Concilio.
Un ragionamento positivo e costruttivo potrebbe partire dalla constatazione della fine storica del movimento cattolico sociale e politico, in quanto espressione di un mondo cattolico separato e distinto da altri mondi: comunista, socialista, laico-liberale, ecc… Questa esigenza di separatezza non c’è più e quindi il cristianesimo può ritornare ad essere lievito nella pasta (e non una “pasta” cattolica, accanto ad altre “paste”). Se ciò vale sul piano della fede, ritengo che possa valere anche sul piano politico e sociale; perché i problemi sono analoghi e si pongono al livello dell’intera società (dove appunto si tratta di agire da “lievito”, da stimolo, per far crescere).
Si sposta radicalmente l’orizzonte e l’asse di riferimento dei cattolici democratici, perché il centro dell’impegno è la società nel suo complesso, nella ricerca di soluzioni e di idee per rispondere ai molti problemi nuovi che la attraversano. Ciò non significa abbandonare i nostri maestri, ma avere presente che in un mondo del tutto mutato le trasposizioni da fare sono notevoli e indispensabili. E’ rischioso muoversi senza aver fatto questo passaggio.
Un grande aiuto in tutto questo viene da Papa Francesco, non per la franchezza del suo linguaggio, ma perché propone un “metodo” che consiste, a mio parere:
- nell’avere come base il vangelo, senza glosse (questo è un fatto nuovo, che va al di là della dottrina sociale, che è citata sì, ma al servizio del vangelo, non come vangelo);
- nel partire non tanto da concetti, idee, culture, ma dai problemi reali e da persone e soggetti reali (ne è un esempio l’incontro coi cartoneros);
- nel porre immediatamente i problemi per quello che sono, cioè mondiali.
I cattolici democratici dovrebbero seguire la medesima strada:
- mettere al primo posto il vangelo e la fede (senza un cambiamento serio a riguardo, da parte del mondo cattolico, ci sono poche speranze di cambiare qualcosa);
- partire dai problemi e dalle persone reali (senza cui è impossibile parlare di partiti, sindacati, associazioni.. . oggi perlopiù autoreferenziali e autodifensive);
- collocare tutti i problemi dentro un modo di vedere globale, perché è l’unico modo per fare dei passi in avanti duraturi.
Il cammino che hanno di fronte i cattolici democratici è lungo (come sempre del resto); il primo passo indispensabile è scegliere la strada giusta.
Aprile 2015 Sandro Antoniazzi
25 Aprile 2015 at 21:50
L’idea dei “mondi separati” si è consunta da tempo, e nell’ambito cattolico si è tentato di tenerla in vita artificiosamente ai tempi di Ruini con tutta una serie di artifizi (Retinopera, Scienza &Vita … ) che nascevano in clima di costrizione (nel senso che i vertici delle varie associazioni erano forzati ad aderirvi volenti o nolenti) e che servivano a nulla visto che i loro documenti ricalcavano pari pari la relazione del Cardinale Presidente all’ultimo Consiglio permanente della CEI. Questo attivismo mediatico – che rimaneva sulla carta, tanto quanto il Progetto Culturale, questa enorme macchina per tagliare il brodo, però riccamente finanziata- mascherava non solo il dissolversi del tessuto ecclesiale a causa della secolarizzazione, ma anche il progressivo venir meno della stessa presenza sociale, a malapena mascherata dalla parallela e assai più rovinosa scomparsa delle altre culture. Se è vero quello che scrive Antoniazzi – ed io credo sia vero- il punto è che ormai non ci sono più alibi per nessuno, la storia di prima è passata e ora dobbiamo inventarne una nuova, evitando di fare come fanno certi esponenti politici che vengono dalla matrice che- per disperazione, per calcolo, per non so che motivo – sentono il bisogno di travestirsi da quello che non sono. I tre consigli che Antoniazzi deduce dall’insegnamento di Papa Francesco – centralità del Vangelo, partire dalla realtà, pensare globale- sono un buon punto di partenza.
19 Maggio 2015 at 05:46
È indispensabile setacciare “l’oro e la paglia” presenti nel nostro contesto attuale. Non si vive solo di auspici e di quotidianità. Molto di ciò che compone le forme di rappresentanza democratica è corrotto e va superato ma ci sono anche interessanti buone pratiche di “uscita dalla crisi” che sono coraggiose, resistenti e fortemente isolate, calunniate, derise e emerginate. Vanno invece incoraggiate, sostenute e fatte emergere attraverso la pratica della rendicontazione sociale, accompagnata e certificata. Come diceva il grande vescovo don Tonino Bello: “dobbiamo forzare l’aurora” con i fatti concreti (seppure con i limiti della sperimentazione) e basta solo con le parole.
27 Maggio 2015 at 14:45
La novità apparentemente radicale del cattolicesimo democratico rispetto a ieri è che non è più una distinzione tutta interna alla Chiesa, un impegno per la sua svolta evangelica segnata in chiave democratica, ma vorrebbe presentarsi come un di più, in chiave di coerenza, messaggio rispetto alla crisi di tutte le cultura politiche, rischiando invece l’effetto sgradevole e tutt’altro che accolto da pretesi primi della classe.
In realtà le cose sono un po’ più complesse
Già nella sua prima uscita politica sistematica ( il PPI il pensiero di Sturzo) il cattolicesimo si caratterizzava per alcuni aspetti specifici: il rifiuto di un concetto di classe rigido e universale rispetto alla consapevolezza delle variabili storiche implicite nel concetto stesso di interclassismo:. La rilevanza democratica rispetto a tutti gli statalismi centralisti vecchi e nuovi delle democrazie locali, delle municipalità come luogo di origine, sviluppo, consolidamento, controllo di pratiche democratiche reali e concentriche; la rilevanza del governo pacifico dei conflitti a tutti i livelli, compreso quello internazionale e la spinta allo sviluppo di un sistema internazionale ( sia universale che continentale) di rapporti di governo; la coscienza del limite della politica, dei suoi condizionamenti, del suo obbligato realismo, dell’impossibilità di affidare a essa e solo a essa la costruzione dell’uomo nuovo. Questa non è una sfida politica è la sfida delle pratiche di fratellanza
Nel disfarsi delle vecchie ideologie questo è qualcosa che rimane e non va cancellato: semmai va meglio ritradotto insieme ad altri come disegno comune irrinunciabile
Resta invece, direi da rielaborare per noi e per altri la lezione che viene dallo sviluppo di una economia mondiale comunicante in cui globaalòizzazione e tensione verso l’uguaglianza si cancellano reciprocamente. Qui non abbiamo mi pare nulla da insegnare a nessuno, nulla di già verificato. E questo basta a proibirci ogni pretesa di egemonia.