Un amico prete mi conserva L’Osservatore Romano che ogni giorno arriva nelle parrocchie: per lo più, questo giornale “del papa” serve ai preti per conoscere i nomi degli eletti all’episcopato: ciò che, nell’immaginario collettivo, corrisponde ad essere stato “promosso”. Il giornale, oltre a notizie brevi e utili che vengono da tutto il mondo, ospita, di tanto in tanto, articoli di cultura storica, scientifica, filosofica, teologica, pastorale che mi hanno sempre interessato.
Ho sotto gli occhi l’Osservatore dell’11 giugno A pagina 7 c’è un bel titolo: “Nelle grandi città, più angeli che demoni”. Si tratta di un convegno internazionale svoltosi a Barcellona dal 20 al 22 maggio scorso, tra sociologi, teologi e pastoralisti di tutto il mondo. Il tema era quello caro al papa: come evangelizzare i grandi centri urbani delle nostre città. L’articolo è stato redatto da Luis Martinez Sistach, e rende bene il senso dei vari interventi, che hanno cercato di indicare le vie, i mezzi, le forme per raggiungere anche oggi, il mondo urbano delle nostre città.
Personalmente ho sempre pensato che il nostro lavoro pastorale, come è stato pensato e realizzato fino ad oggi, di fatto non riesce ad esprimere il valore del vangelo e non riesce a penetrare nei grandi centri delle nostre città (alcune, nel mondo, raggiungono fino a 20 milioni di abitanti, di razze, culture, religioni, realtà economiche e sociali totalmente diverse!). Ho sempre pensato, infatti, che la chiesa non è ancora riuscita a trovare un metodo per evangelizzare i centri urbani, nell’attuale contesto sociale e culturale, a differenza del primo annuncio cristiano che da Gerusalemme a Corinto ad Atene, ad Alessandria fino a Roma, era stato capace di penetrare culture e civiltà pagane, sensibilmente così lontane dall’annuncio del vangelo di Gesù. Il cristianesimo è nato urbano, prima di diffondersi nelle campagne.
La vita sociale, culturale, politica, spirituale della nostra gente ben di rado incontra il vangelo, per lo più ne è indifferente, nonostante le centinaia di chiese che si trovano sparse nei nostri quartieri.
Il sociologo spagnolo Manuel Castells, nella sua relazione, “Angeli e demoni delle grandi città”, che ha suggerito il titolo al quotidiano della Santa sede, non ha parlato di angeli e demoni biblici. Con molto realismo, ha parlato, invece, di demoni quale la disoccupazione, l’inquinamento ambientale, la povertà che diviene spesso miseria, la mancanza di alloggi e di trasporti, la disintegrazione sociale, la violenza, la paura… Gli angeli, invece, nella nostre città, possono essere – ha scritto – la famiglia e la religione.
Tutte le relazioni hanno cercato di identificare i fondamenti dell’esortazione di papa Francesco, l’“Evangelii gaudium”, considerata come l’insegnamento fondamentale per i prossimi decenni di annuncio del vangelo. Ha detto espressamente Castells: “Portate avanti il programma di Papa Francesco; leggete il discorso che egli ha fatto ai vescovi brasiliani. E, se necessario, siate disponibili al martirio, come ha fatto il vescovo Oscar Romero”.
Ecco, c’è, nel mondo cattolico, qualcuno che avverte realmente l’importanza e il senso del ‘tempo’ che la chiesa sta vivendo!
Non riesco veramente a capire perchè, nella chiesa italiana, l’esortazione del Papa non sia ancora stata scelta come base per l’evangelizzazione e per tutte le attività pastorali dei prossimi anni.
Si continuano, invece, a sentire gli stessi messaggi, esortazioni, di sempre, le stesse prediche sempre inascoltate, senza che si riesca a mettere a fuoco quella necessità di cambiamento che il Papa continua a porre in evidenza con le sue parole, la sua preghiera e i suoi gesti.
Sembra a molti che, dopo la venuta di Papa Francesco, nella chiesa italiana sia subentrato un silenzio di riflessione, di incertezza, di confusione. O
forse si tratta di un atteggiamento di vero rifiuto? Viene da pensare al detto evangelico: “lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,41).
E’ di queste ore (16 giugno), davanti al Papa, nell’aula Paolo VI, l’inizio dell’annuale Convegno di pastorale della diocesi di Roma. Il tema, che si ripete da circa quarant’anni, è quello della “iniziazione” alla vita cristiana, e interessa perciò i sacramenti, con particolare attenzione quest’anno al sacramento della Cresima.
Sono convinto che a guidare queste scelte pastorali siano i collaboratori del Vicario di Roma, sui quali certamente scende ogni giorno la grazia di Dio. Ma, se con la grazia di Dio, ci fosse anche un pò di fantasia, di creatività e anche di coraggio, usciremmo forse da questi schemi prestabiliti e che da molti anni non lasciano segni efficaci nella vita pastorale di una città grande e complessa come Roma.
Perchè, almeno adesso, non mettersi in sintonia con l’insegnamento di Papa Francesco?
Nei discorsi dei sacerdoti e dei catechisti, illustrati davanti al Papa, come sempre, ci sono stati segni di sconforto, di stanchezza e di sfiducia per i rari risultati ottenuti dalla catechesi adolescenziale. Naturalmente ci sono anche stati spiragli di luce, se non altro, per l’amore e il servizio generoso di tanti bravi catechisti e sacerdoti.
Il Papa ha preso la parola, parlando per più di un’ora. Ha ignorato il discorso sulla faticosa problematica dei sacramenti della vita cristiana. Il Papa è partito dalle parole di Gesù ai discepoli: “Non vi lascerù orfani…” (Gv. 14,14): questo, ha detto, è il compito della Chiesa, “una madre che non lascia orfani i suoi figli”.
Come sempre, con un linguaggio concreto e colorito, il Papa, portando molti
esempi, ha detto che la chiesa non può chiudere le porte in faccia a nessuno; ha detto che non può esistere una pastorale del ‘rifiuto’, del giudizio, della condanna. Nessuno, nella chiesa, deve sentirsi ‘orfano’, ‘senza genitori’, perchè verrebbe meno la stessa vocazione della chiesa che è madre. Sull’esempio del cuore di Gesù, la Chiesa ha sempre un cuore di madre, di amore per il suo figlio, di tenerezza.
Un lungo discorso, quello del Papa, che sa molto bene che i sacramenti sono segni di tenerezza, di amore, di salvezza che vengono dal Signore per donare al cuore dell’uomo l’amore, il perdono e la gioia di Dio.
Come dire che non si generano nuovi figli alla chiesa con il rito del sacramento, ma vivendo nelle nostre parrocchie la compassione verso il prossimo, verso chi è lontano, disinteressato, malato.
Alla fine il Papa ha chiesto di meditare sulle sue parole. Parole che mi sono sembrate piene di grazia, e unite alla fantasia del vangelo. Parole come nuovi <angeli> della città.
Don Enrico Ghezzi