Quell’articolo di Dossetti

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In “Europa” del 1° maggio 2012 una bella e circostanziata memoria di Pierluigi Castagnetti di quale suggestivo apporto diede Dossetti per fondare sul lavoro la carta costituzionale

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Il lavoro non è soltanto un diritto garantito dalla Costituzione, ma è “il” diritto che ne ha ispirato l’impianto. Certo la centralità della persona, l’uguaglianza, la libertà, la soggettività della comunità locale che è alla base del regionalismo e del federalismo, non lo sono di meno. Ma il lavoro in una qualche misura li riassume tutti e, in ogni caso, rappresenta il punto di convergenza fra le tradizioni culturali e politiche presenti all’Assemblea costituente. Don Giovanni Nicolini, un prete straordinario e molto noto di Bologna, racconta un episodio significativo al riguardo: un giorno fece da autista, da Bologna a Firenze, a due costituenti suoi amici, Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, e riferisce del colloquio fra i due che non si può dimenticare.

Dossetti ricordava a La Pira quando, proprio agli inizi dei lavori dell’Assemblea, si incontrò con Palmiro Togliatti in un bar nei pressi di Piazza del Popolo per discutere di quale avrebbe dovuto essere la “cifra”, cioè il dato di sintesi, dei principi costituzionali e, dopo un girare intorno al tema che non sembrava approdare in quel momento ad un esito, fu proprio lui a rompere gli indugi e a proporre a Togliatti il valore del lavoro. La reazione dell’interlocutore fu del tipo: «Ma lei lo dice per compiacere noi». «No, non mi interessa compiacere voi – fu la risposta di Dossetti – sono proprio convinto che il tema del lavoro debba essere centrale nella nuova Costituzione e possa rappresentare un punto di incontro fra posizioni culturali che per altri aspetti non sono facilmente conciliabili».

In effetti Dossetti ancora un anno prima, il 31 luglio 1945, a commento della vittoria laburista in Gran Bretagna, aveva scritto un articolo dal titolo Il primato del lavoro dove cercava di andare oltre la cultura socialista. Gli stessi La Pira e Fanfani se ne erano occupati intervenendo alla Settimana sociale dei cattolici italiani del 1945 su “Costituente e Costituzione” sostenendo che la Costituzione non si sarebbe dovuta limitare a fotografare la situazione esistente ma avrebbe dovuto darsi l’ambizione di produrre una nuova condizione sociale ed economica del paese e, La Pira in particolare, richiamò il radiomessaggio pontificio del Natale 1942 in cui si diceva che il diritto al lavoro avrebbe dovuto essere condizione al diritto di proprietà (questione che in effetti alimenterà il confronto fra Basso, Fanfani, La Pira, Dossetti, Einaudi e Ruini in sede di definizione dell’articolo 41 della Costituzione). Si capisce allora come il lavoro diventerà così importante da meritare due dei dodici articoli dei “principi fondamentali”, l’1 e il 4, e ispirare buona parte del terzo titolo della Costituzione relativo ai “rapporti economici”.

Non sorprenderà che i costituenti abbiano voluto che fosse proprio il primo comma del primo articolo a sancire un incipit capace di essere ricordato come la sintesi valoriale di tutto il testo: ci fu ovviamente discussione perché Togliatti avrebbe voluto definire quella italiana (come era scritto nella costituzione sovietica) una «repubblica dei lavoratori», ma alla fine prevalse la formula «repubblica democratica, fondata sul lavoro» proposta da Fanfani, proprio perché al di là dei diritti soggettivi e dei soggetti destinatari, i lavoratori appunto, è il lavoro in sé ad essere nella concezione dossettiana un valore. Nel senso che il lavoro è lo strumento attraverso cui non solo l’uomo (per i credenti) completa la Creazione come è scritto nel libro della Genesi, ma ancor più realizza se stesso, cioè diventa veramente uomo.

Dice il filosofo Salvatore Natoli in proposito che l’uomo è un ente trasformatore che utilizza il lavoro come strumento: «Attraverso quello che creo, mi creo». Dunque il lavoro come mezzo ineludibile per diventare persona, per acquisire la dignità della persona, per realizzare il fine esistenziale di concorrere alla costruzione del bene comune e, di conseguenza – anche in questo caso è decisiva la formulazione congiunta Togliatti-Dossetti dell’articolo 36 – il salario sarà frutto e condizione perché il lavoro realizzi tale finalizzazione.

È ancora Dossetti nel dibattito della prima sottocommissione, commentando un testo proposto da Aldo Moro e condiviso da Togliatti, a cercare di allargare il valore del lavoro anche alle attività contemplative e in particolare a quelle monastiche, non solo perché, come sottolineò La Pira, anche il poeta è un lavoratore, anche lo studente lo è, ma perché pure l’attività contemplativa risponde a una finalità sociale, che è ciò che conta. Ovviamente Dossetti non aveva la pretesa che una simile specificazione entrasse nel testo, ma vi si intrattenne a lungo, sorprendendo e provocando varie reazioni in alcuni interlocutori come Lelio Basso e Concetto Marchesi, proprio perché riteneva fosse importante cristallizzare il valore del lavoro in sé, venendo a mancare il quale si sapesse che veniva a mancare non una condizione ma la condizione che consente agli uomini di essere e di essere considerati tali. E per affermare il principio che, essendo degradabile, il valore del lavoro dovrà essere sempre tutelato dall’ordinamento oltreché dalla e nella comunità.

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