In questo momento non sappiamo se la scelta di Pisapia di non candidarsi verrà da lui confermata o se ci sarà un ripensamento (al momento non in vista) sulla base delle pressioni che stanno venendo dal Partito Democratico e da altri ambienti. Né sappiamo se la sua scelta comporterà uno “sfarinamento” di quel Campo Progressista da lui stesso creato con nobili intenzioni. E’ auspicabile in ogni caso – a mio parere – che qualcuno provi a portare avanti questa esperienza.
Personalmente, così come mi ero augurato che il centrosinistra si presentasse con un fronte ampio e plurale, auspico ancora – dopo che è naufragata l’ipotesi di accordo con Articolo1-Movimento Democratico e Progressista, poi confluito in Liberi e Uguali -, che ci sia spazio almeno per un’alleanza tra PD e il movimento fondato da Pisapia, anche senza un suo diretto impegno.
E’ abbastanza curioso che in un’epoca in cui, in diversi ambienti, si è aspramente criticato – certamente con qualche ragione – l’eccesso di personalismo, abbiamo assistito in pochi giorni all’investitura, per acclamazione, di un leader, il presidente del Senato Piero Grasso; e, per contro, alle difficoltà di un altro movimento, Campo Progressista, collegate – almeno per ora – alle scelte del suo “creatore”, l’ex sindaco di Milano.
Mentre il PD, che sceglie i suoi leader con primarie democratiche e aperte, mobilitando migliaia di persone, che elegge i propri dirigenti a tutti i livelli, che riunisce regolarmente i propri organismi interni, dal livello nazionale a quello locale, viene ancora additato da alcuni come un partito personalistico e leaderistico…
E’ chiaro che ogni leader ha stili diversi e, legittimamente, si potrebbe riconoscere la necessità di un ruolo di “guida”, ma attribuendo ad esso certe caratteristiche e non altre.
Ciò che vorrei sottolineare è che la questione della leadership è importante anche nelle formazioni “progressiste” e che, qualunque sia la sensibilità propria di ciascuno, prima o poi riemerge in modo ineludibile. E ad essa si accompagna tutta la riflessione su come debba essere individuata e del rapporto tra la sua funzione e le persone che è chiamata a rappresentare.
Potrebbe essere utile – per noi stessi e, chissà, magari anche per altri – ragionarci assieme.
Sandro Campanini
20 Dicembre 2017 at 17:28
Molli Mario Giuseppe
Questione di leader? Io penso che il maggior errore di Renzi sia stato quello di cassare l’Ulivo: riorientare il partito verso posizioni più moderate o comunque abbassare le difese immunitarie verso un centrismo poco attento alle fatiche delle classi popolari o di chi non era in grado di misurarsi con i processi di globalizzazione. L’aspetto saliente che marcava l’Ulivo era una cultura con molta energia attrattiva: aveva in sè una grande suggestione, era magnetico verso tutti i riformismi e non costituiva un’istanza divisiva come avviene per la cultura che segna oggi il Partito Democratico. A me pare, che in fondo tu, Antoniazzi, Forcesi (lo dico con rispetto) in questi anni vi siate comportati , verso Renzi, come dei buoni partigiani, dei militanti agguerriti , come ultras della curva, senza capire (non voglio fare gli esami del sangue a nessuno) che il renzismo aveva poco a che fare con l’Ulivo. Io credo che un lavoro socialmente utile sia quello di dire la verità e comunicare, con onestà intellettuale, che i cattolici democratici, mettendo in campo l’Ulivo, hanno reso la sinistra più moderna e innovativa sul piano sociale e culturale. Nel cestino della storia non finirà l’Ulivo, elaborato dagli uomini e dalle donne di punta del cattolicesimo democratico, insieme agli uomini di buona volontà, ma il renzismo con tutti i suoi fiancheggiatori poco avveduti.