Reichlin e Salvati. Due padri nobili della sinistra, con opinioni interessanti ma divergenti sul Pd

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Alfredo Reichlin già dirigente del Pci nei decenni scorsi scrive su “l’Unità” del 15 novembre (Il Pd e la prova per i giovani) che un’intera fase della vita del Pd si è conclusa, si è avviato un ricambio dei gruppi dirigenti, e – al governo o all’opposizione – per il Pd si tratterà ora “di pensare un’altra Italia”. “La politica che vincerà – scrive – sarà quella che andrà alla scoperta delle risorse più profonde dell’Italia (…) delineando nuove economie, disegnando nuove possibili utilità sociali e ambientali (…). Dunque serve “un grande progetto culturale” che sia anche capace di risolvere “problemi aperti, quali l’incontro tra la cultura socialista e cattolica”. Reichlin vede le difficoltà, ma mostra fiducia nell’attuale leadership del Pd. Viceversa Michele Salvati, economista, uno dei fondatori del Pd, e spirito liberal della sinistra, oggi direttore de “il mulino”, appare molto deluso e pessimista. Non crede che questo Pd sia capace di modernizzare un Paese come l’Italia, che è fortemente ingessato. In una intervista a “L’Espresso” del 22 novembre, dice di aver stimato Bersani come ministro, ma “ora – osserva -è il garante di quella che lui chiama la Ditta. Una piccola elite di comando che discende dal Pci-Pds-DS, la perpetuazione del pattotra il Pci e la sinistra Dc. Il contrario della rivoluzione dal bass, la sinistra liberale, aperta, competitiva che ci vorrebbe in questo Paese”. Di qui la sue scelta per votare Renzi alla primarie (Renzi può scardinare un Paese ingessato).

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