E’ noto come il corso politico renziano e, tanto più, la sua riforma costituzionale abbiano diviso quell’universo che usa denominare cattolicesimo democratico. Ora la traiettoria e l’approdo di Renzi consigliano una lettura retrospettiva. Significativa la circostanza che, per lo più, quei cattolici liberali che avevano condiviso la linea da lui praticata ai vertici del PD non lo abbiano seguito in Italia viva. Un piccolo partito di stampo centrista. La cosa si spiega: anche chi non ha cambiato opinione (positiva) sulle politiche adottate in quella stagione (pure coronate da una bruciante sconfitta elettorale) ha dovuto riconoscere che Renzi ha sconfessato il suo modello politico. E’ la distinzione tra policies e policy. Un modello politico ispirato a una interpretazione spinta della democrazia maggioritaria, governante, d’investitura, orientata a un bipolarismo al limite del bipartitismo. L’opposto di piccoli partiti che si inscrivono entro una logica proporzionalista e una conforme regola elettorale che sembra sia alle viste. Ma possiamo fermarci qui? Io penso di no. I cattolici democratici, di vario rito, farebbero bene a mettere a tema un bilancio del corso renziano. Sia chiaro, è legittima e naturale la circostanza che ci si sia divisi nel giudizio. Semplifico: lungo una linea di demarcazione tra cattolici liberali e cristiano-sociali (in senso proprio, non nominalistico, considerato che tra i più strenui sostenitori del corso renziano d’intonazione liberal figuravano amici che formalmente avevano militato nel movimento dei Cristiano-sociali fondato da Gorrieri e Carniti).
Mi ha sempre fatto riflettere un passaggio della biografia politica di Renzi cui si è prestata poca attenzione. Dentro la Margherita, egli, pur venendo da una tradizione familiare democristiana, non faceva riferimento ai Popolari, ma piuttosto a Rutelli. Cioè a un nuovismo di difficile (o impossibile) ascrizione dal punto di vista delle ascendenze politico-culturali, al più riconducibile a un centrismo liberale-libertario (salvo la sua tardiva svolta neo-confessionale sensibile al ruinismo). Quanto a Renzi, della sua distanza dai paradigmi del cattolicesimo democratico, si è avuto un riscontro poi, negli anni della sua leadership nel PD. Solo quattro esempi. Primo: penso alla sensibilità manifestata in tema di diritti civili (individuali?) e di una, decisamente minore, per i diritti sociali e del lavoro. Secondo: penso alla cosiddetta, rivendicata disintermediazione, l’opposto dell’apprezzamento e della valorizzazione delle formazioni sociali e dei corpi intermedi, con i quali intrecciare un fecondo dialogo. Tratto caratteristico del pensiero politico di matrice cattolica. Terzo: penso a una cultura istituzionale che, dalla forma partito al modello di governo, molto investe sulla leadership, con meno attenzione alle dinamiche e agli strumenti partecipativi. Quarto: penso alla concezione propria dei costituenti di parte cattolica circa la Costituzione come casa comune, patto di convivenza, palesemente contraddetta da una riforma costituzionale – per stare anche solo al metodo – espressione della stretta maggioranza di governo, smentendo peraltro un solenne impegno scritto nella carta fondativa del PD. Profili che, pur nelle differenze di opinione, dovrebbero risultare critici un po’ per tutti.
Ma, come osservato, la novità rappresentata dall’approdo in Italia viva offre due ulteriori elementi per un giudizio critico. Il primo attiene al posizionamento. Su un punto i cattolici democratici tutti, mi pare, concordassimo e concordiamo: un orientamento naturaliter di centrosinistra. Ora, mi pare sempre più evidente il terzismo centrista di Renzi. Trattenuto solo e a fatica dalla circostanza della egemonia sovranista (Salvini-Meloni) dell’attuale destra-centro. Un posizionamento, quello della formazione renziana, che non si discosta da quello un tempo occupato da FI. Ai cui elettori ed eletti Renzi indirizza messaggi ammiccanti. Secondo elemento attinente alle politiche al plurale: il fisco. Materia singolarmente qualificante sul piano politico. Si veda il dogma della riduzione fiscale, il no alle tasse di scopo, il no a una rimodulazione dell’Iva che distingua tra beni di prima necessità e consumi voluttuari. In sintesi, trasmettendo più l’idea della “oppressione fiscale” che non quello di una concezione del fisco come strumento privilegiato di una distribuzione del reddito in chiave equitativa.
Ce n’è abbastanza per chiedersi, retrospettivamente e non solo, se anche in casa nostra non si sia insinuato il germe di una subalternità culturale prima che politica al paradigma liberista e a un mood leaderista che hanno egemonizzato un po’ tutte le culture politiche, sinistra e centrosinistra compresi. Liberismo e verticalizzazione del rapporto politico, che, a mio avviso, segnano uno iato rispetto alla cultura e alla tradizione del cattolicesimo democratico, contrassegnato da sensibilità sociale e partecipativa. Quella esemplarmente espressa dalla figura dello Stato democratico e sociale disegnato nella Costituzione.
Franco Monaco
3 Febbraio 2020 at 19:20
Condivido il giudizio sulla tendenza politica di Renzi provata dalle scelte compiute, ma credo che, prima di ogni altra considerazione, Renzi sia condizionato da un ego straripante che lo vuole protagonista e sempre leader indiscusso. In questa luce interpreto la sua propensione per l’elettorato di centro che prima si riconosceva in Berlusconi ed ora, presumibilmente, è orfano e privo di un riferimento: conquistare quell’elettorato vorrebbe dire acquistare potere. Anche la scelta ora di costituire un suo partito risponde certamente a quello scopo ma soprattutto alla esigenza di avere spazio per sé, una visibilità, un ruolo da protagonista. Una leadership così concepita uccide la democrazia e ne distrugge le strutture: ne abbiamo avuto prova con la distruzione del PD operata da Renzi. Lo spazio ed il successo per leaders di questo tipo si crea e aumenta – e oggi ne abbiamo ampia prova – se non ci sono alternative valide, se la politica diviene, come ora, competizione fra persone sempre più vuota di idee organiche e motivate ma basata sulla prospettiva di singoli provvedimenti d’effetto. Questo vale anche per Renzi nonostante non sia assolutamente comparabile con Salvini. Qui sta l’urgenza di una rinascita della “sinistra” non ideologica ma che dia sostanza ai principi che stanno alla base della Costituzione, una “sinistra” credibile e affidabile, qui sta un appello al PD perchè si faccia autorevole espressione di questa “sinistra” sociale/cristiana/liberale e qui si colloca, a mio parere, la politica con la P maiuscola a cui sono sollecitati i cattolici.
6 Febbraio 2020 at 10:23
L’invito dell’autorevole amico Franco Monaco è intrigante e potrebbe essere oggetto in effetti di una qualche riflessione anche al nostro interno. Sul primo punto, però, quello del “germe del liberismo”, per rispondere andrebbe maggiormente argomentato in che cosa sarebbero consistite le scelte di stampo liberista, in particolare in campo economico, del governo Renzi (e Gentiloni). Mi sembra di poter dire che diverse delle politiche assunte (condivise dal Consiglio dei ministri e dalla maggioranza parlamentare) non siano andate in quella direzione: l’ottenimento di maggiori margini di flessibilità in sede UE, gli 80 euro, gli ingenti investimenti nel Piano periferie e nel programma Italia Sicura (assetto idrogelogico), l’assunzione di migliaia di insegnanti, la conferma (nonostante una situazione dei conti ben diversa dal passato) delle detrazioni, in particolare per edilizia, risparmio energetico, spese sanitarie e di istruzione, il sostegno all’Expo di Milano… il reddito di inclusione per i poveri è stato approvato sotto il governo Gentiloni ma ha avuto una lunga gestazione nel corso del governo Renzi (Alleanza contro la Povertà). Anche nelle politiche del lavoro, l’obiettivo in ogni caso era favorire l’ingresso di giovani (poi si può legittimamente discutere su modalità e risultati). Solo per fare alcuni esempi a memoria. Forse altre decisioni saranno state di segno diverso, ma sinceramente la prevalenza di un “mood liberista” andrebbe un po’ più dimostrata; di conseguenza, diventa difficile anche rispondere alla domanda sul possibile germe di una subalternità culturale a tale impostazione nel mondo del cattolicesimo democratico; il quale, in ogni caso, anche quando ha avuto posizioni dialettiche al suo interno, non mi pare abbia mai rinunciato ad una vigilanza attenta sui processi in atto e una sua originalità di pensiero e contributo. Aggiungo per inciso che se si vuole fare un bilancio più approfondito su questi temi, bisognerebbe considerare un periodo più ampio, andando alla fase in cui furono privatizzati o esternalizzati i servizi idrici ed energetici, i trasporti o, ancora prima, quando furono smantellate le imprese statali e la chimica industriale pubblica: periodi in cui i cattolici democratici e in generale esponenti di centrosinistra o sinistra sono stati in importanti posizioni di governo nazionale e/o locale e in cui non emersero particolari accenti critici, anzi. Su questo tema non mi sono fatto ancora un’opinione definitiva, ma quando nella mia piccola esperienza municipale vedo quanto sia difficile incidere da parte dei Comuni sulle politiche delle multiutilities, di cui pure sono azionisti (ahimè in piccola percentuale), qualche domanda me la pongo. Più complessa la questione della “verticalizzazione”. Certamente il modo con cui Renzi ha esercitato la sua leadership (sancita da milioni di voti popolari nelle primarie e confermata con vasto consenso alle elezioni europee 2014) ha creato qualche disagio nel nostro “mondo”: a mio parere, anche chi lo sosteneva vedendo in lui una risorsa importante per un Partito Democratico più autorevole e riformista ha tuttavia “sofferto” per gli eccessi di centralità del suo ruolo, per le asprezze polemiche verso i sindacati e la tendenza a quella “disintermediazione” più volte evocata nel dibattito. E’ certamente un elemento critico, che in parte veniva riequlibrato dalla presenza di altre figure a lui vicine più “moderate” e del Partito Democratico in generale e che probabilmente si riteneva di poter correggere nel tempo; in diverse occasioni è apparso più come rivendicazione di autonomia della politica dai condizionamenti che non come un vero e proprio rifiuto del ruolo dei corpi intermedi. Ma su questo aspetto è certamente giusto fare una riflessione, che serva anche per il futuro. Senza dimenticare però che l’altro corno del problema, per buona parte del cattolicesimo democratico, sta nella difficoltà di elaborare un pensiero più adeguato sul tema della leadership, soprattutto in una società come questa che non è quella dei De Gasperi, dei Moro, dei Berlinguer, persino di Prodi (che per fortuna continua a svolgere un ruolo importante e costruttivo). Tra il rischio del verticalismo da un lato e del “tabù” della leadership dall’altro, c’è un largo spazio di utile elaborazione. Un caro saluto a Franco Monaco, sperando di poterci confrontare presto anche direttamente!