in “l’Unità” del 31 gennaio 2012
“Se oggi si può sperare, finalmente, in una riforma che apra una nuova stagione politica, se oggi una parte del gruppo dirigente del centrodestra è più avvertita del rischio populista, molto si deve al coraggio e alla fermezza di Scalfaro. (…) Il suo messaggio comunque reca un segno di contraddizione anche per il centrosinistra, che oggi giustamente lo celebra e gli rende onore…”
di Claudio Sardo
A Oscar Luigi Scalfaro, uomo della Costituzione, non è stata risparmiata la polemica neppure nel giorno della sua morte. I giornali di destra hanno riproposto l’antico risentimento per le vicende del ‘94. Più squallidamente i rappresentanti Pdl di Bologna, Modena e Reggio Emilia sono usciti dalle aule consiliari durante le commemorazioni. Si tratta di un gesto che umilia le istituzioni e che nessun dissenso politico può giustificare. Scalfaro era un uomo intransigente. La sua stella polare era sì la Costituzione «casa di tutti gli italiani», ma la sua idea di politica non era riconducile a una mera pratica di compromesso. Le polemiche e i duri attacchi personali lo ferivano, tuttavia ha sempre pensato che la politica fosse innanzitutto battaglia e richiedesse convinzione e rischio. Il centrodestra italiano cresciuto all’ombra di Berlusconi ha coltivato e rappresentato un’idea radicalmente diversa dalla sua. Una diversa idea di politica e una diversa etica della politica. Ma ciò che infine ha provocato lo scontro con la «squadra» berlusconiana è stata l’interpretazione della Costituzione.
Il Cavaliere è sceso in campo sull’onda populista. I suoi motti erano iper-democratici e ipermaggioritari: in nome del potere ai cittadini pretendeva il mandato diretto del premier, «unto del Signore». La Seconda Repubblica si è materializzata sulle ceneri di Tangentopoli senza modifiche formali alla Carta. E così la Costituzione «materiale» è diventata terreno di scontro politico, laddove invece per mezzo secolo è stata il luogo della condivisione, anzi dell’«allargamento delle basi democratiche». Da presidente, Scalfaro ha combattuto contro la modifica «di fatto» alla Costituzione, di cui Berlusconi nel ‘94 si fece interprete e leader. La gestione della crisi del primo governo Berlusconi – quella che i giornali di destra indicano ancora come il «ribaltone» – fu un passaggio decisivo per ribadire il primato della Costituzione formale, consegnataci dai costituenti, e per respingere i tentativi di torsione, sostenuti da tanti politologi di passaggio. A tanti anni da quello scontro si può dire che la vittoria di Scalfaro salvaguardò la qualità democratica del nostro sistema. Anche se ovviamente non riuscì a evitare la crisi politica e istituzionale, che maturò negli anni successivi. La Seconda Repubblica ha tradito le sue promesse, perché non si può innestare un presidenzialismo di fatto in un sistema parlamentare (neppure attraverso il maggioritario di coalizione). Scalfaro alzò una barricata in difesa della Costituzione. La destra per questo non lo perdonò mai. Non lo perdonò anche perché, dal punto di vista di Scalfaro, quell’assalto alla Costituzione «materiale» violava un principio etico della politica. La vittoria di Scalfaro, però, ha preservato la stessa dialettica della Seconda Repubblica, trattenendo almeno in parte le spinte alla delegittimazione reciproca. E se oggi si può sperare, finalmente, in una riforma che apra una nuova stagione politica, se oggi una parte del gruppo dirigente del centrodestra è più avvertita del rischio populista, molto si deve al coraggio e alla fermezza di Scalfaro.
Il suo messaggio comunque reca un segno di contraddizione anche per il centrosinistra, che oggi giustamente lo celebra e gli rende onore. Scalfaro è uno dei padri del Pd. Lo è perché il Pd, nato dall’esperienza dell’Ulivo, si è definito sempre più come il «partito della Costituzione». Attenzione: questa identità non può essere rivendicata in modo esclusivo. Essere il partito della Costituzione vuol dire costruire attorno ad essa, ed eventualmente alle modifiche che il Parlamento apporterà alla seconda parte, una larga, matura condivisione. Il partito della Costituzione è un partito fedele ai principi fondativi e a quell’idea di democrazia, radicata nella società, negli interessi, nelle istituzioni, che certo non si concilia con il populismo corrente e con le fughe ipermaggioritarie. Ma dobbiamo porci con onestà la domanda: quanti, anche a sinistra, in questi anni hanno coltivato l’idea di una Seconda Repubblica presidenzialista nei fatti, senza neppure il contrappeso di poteri radicati nella Costituzione formale?
Scalfaro era anche un cattolico intransigente. Un uomo di fede, devoto, persino conservatore, che aveva però conosciuto e praticato la laicità della politica, incrociando talvolta l’incomprensione della Chiesa ufficiale. Non era un uomo del Concilio, come tanti cattolici per i quali è stato facile, quasi naturale, l’impegno a sinistra per l’uguaglianza e la solidarietà. Nella Dc ha combattuto da destra la battaglia contro il centrosinistra di Moro. È stato, appunto, il filo della fedeltà alla Costituzione a portarlo ad essere, a pieno titolo, uno dei fondatori del Partito democratico. Forse addirittura uno dei simboli. Per una personalità che tanto ha dato alla Patria, si ha timore di parlarne come uomo di parte. Ma l’etica della politica sta nel cercare il bene comune anche muovendo da una parte.