Invitiamo i lettori, o frequentatori, del portale c3dem di prestare attenzione (e, certo, anche a partecipare) all’utile dibattito che si è aperto sul portale a proposito del cosiddetto “caso Mineo”, e cioè su come il governo Renzi e la segreteria del Pd hanno condotto e stanno conducendo la battaglia per la riforma del Senato. Il dibattito lo si può seguire cliccando sui “commenti” al “30 righe” di Guido Formigoni (“Riforma costituzionale e dialettica democratica“). Ha iniziato Vittorio Sammarco, poi c’è stata una breve replica di Formigoni, poi gli interventi di Giorgio Armillei (il cui articolo, “Chiti, Mineo e i veto player. Una risposta a Guido Formigoni” sul blog Landino, ci è stato girato da Stefano Ceccanti), di Ceccanti stesso, di Joseph Rossi, di Sandro Antoniazzi, di Augusto Airoldi e di Giancarla Codrignani. Ne riassumo qui le principali linee di svolgimento.
Nell’articolo iniziale Guido Formigoni aveva criticato “la decisione di Renzi di investire sulla questione della riforma costituzionale un capitale personale di credibilità, in modo rischiosamente diretto e massiccio”, rimproverandogli di averlo fatto per la sua “ansia di risultati”, risultati che, in questo caso, poteva perseguire “a costo finanziario accettabile”. Questa scelta discutibile avrebbe poi comportato, secondo Formigoni, la sottovalutazione di una serie di aspetti: il non essere, la materia costituzionale, prerogativa dell’esecutivo; il non aver avuto, Renzi, il mandato dal Pd a riformare il Senato; l’esistenza di una dialettica irrisolta, nel Pd, sulla questione del Senato (ad esempio sulla sua funzione come regolazione delle autonomie o invece come tutela delle garanzie, o sulla elettività diretta o meno dei senatori); una formulazione “infelice” del testo di riforma presentato; un fuorviante ricorso alla retorica del risparmio dei costi. Guido Formigoni aveva concluso che, con la sostituzione di Mineo, Renzi aveva operato una “forzatura della elaborazione del processo democratico”, e, con il non prendere in considerazione la proposta di Vannino Chiti, giudicata da lui invece “interessante”, Renzi aveva mancato a un proficuo confronto.
Vittorio Sammarco, pur condividendo la sostanza delle preoccupazioni di Guido e anzi approfondendole, ha mostrato il suo disaccordo sulla questione del partito. Si è rivolto direttamente a Guido e gli ha chiesto: “Fino a che punto può estendersi quella ‘continuazione del processo di miglioramento del testo in gioco’ di cui tu parli?”. E, ancora: “Cos’è un partito, cosa rappresenta, se un sostanzioso e importante pezzo di esso, nelle prove più decisive, si tira indietro e non fa squadra?”.
Nella sua breve replica Guido Formigoni ha posto l’esigenza di un partito che funzioni “come comunità di persone che ha fini comuni” e che, certo deve avere una linea, ma che deve darsi “regole condivise per arrivarci”. Ha lamentato che il Pd di Renzi non è, per ora, “un partito vero”. “Un partito serio – ha osservato – non può che vivere della molteplicità di persone serie e con la schiena diritta che lo compongono: un partito di yesmen non va lontano…”.
Sul blog Landino.it Giorgio Armillei, ex fucino (vedi qui un suo articolo, di critica al cattolicesimo democratico, di qualche tempo fa e riportato sul questo portale), ha fatto un’ampia disamina dell’articolo di Formigoni concludendo così: “Non si tratta dunque di fretta: il tempo è un fattore di successo. Non si tratta di forzatura democratica: la democrazia governante consegna lo scettro agli elettori e non ai microgruppi parlamentari. Quando il conflitto degli interessi è potente (poteri di veto contro istanze di riforma) il muro contro muro è qualche volta inevitabile. Un passaggio lacerante ma necessario. Le democrazie si riformano e si sono riformate anche così” (“Chiti, Mineo e i veto player. Una risposta a Guido Formigoni”).
Stefano Ceccanti , in un breve intervento, è entrato più nel merito della riforma del Senato, osservando che già i padri della Costituzione erano riluttanti a individuare una seconda camera con funzioni di tutela delle garanzie e che lo avevano fatto per ragioni contingenti: “L’intervista di Elia e Scoppola a Dossetti e Lazzati ci dice che il bicameralismo nacque in modo ab origine non convincente in termini istituzionali per ragioni di garanzia politica reciproca, fatte valere in modo allora motivato dal Presidente del Consiglio (e leader di partito) De Gasperi. Una soluzione tecnicamente sbagliata per ragioni politiche giuste”. E ha ricordato che a Costantino Mortati il Senato previsto dalla Costituzione appariva un “inutile doppione” e a Dossetti “un garantismo eccessivo”.
Per il lettore Joseph Rossi l’opposizione nel Pd è un’opposizione di comodo: “i senatori-oppositori rischiano di perdere in prospettiva il loro mandato; una minoranza di miracolati,che non hanno nessun rapporto con gli elettori e con i militanti del PD”.
Secco l’intervento di Sandro Antoniazzi (già illustre dirigente sindacale della Cisl milanese, e oggi presidente dell’associazione “Comunità e Lavoro”, autore del recente “Lo spirito del sindacalismo”), in dissenso con Formigoni. Si sofferma sul Pd e le sue divisioni. Dice: “presentare una proposta di legge alternativa mi sembra qualcosa che vada al di là della disciplina di partito”. Tanto più, osserva, che “se il Senato è elettivo, rimaniamo nel sistema bicamerale, che è quello che si vuole superare”. Tagliente il suo giudizio conclusivo: “ Io penso che Renzi faccia bene a procedere deciso e questa minoranza di ‘sinistra’ del PD è purtroppo rimasta indietro e è spesso una palla al piede. Da quella cultura oggi viene veramente poco, non c’è più spinta propulsiva, ma solo distinguo, riserve, rimpianti, resistenze”.
Opposta l’impostazione di Augusto Airoldi, iscritto al Pd, presidente del Consiglio comunale di Saronno. “Renzi – dice – non ha un concetto di partito ‘costituzionale’, né di partito come storicamente declinato. Se mi è concesso attingere al gergo ecclesiastico, dirò che, a mio avviso, Renzi mutua ampiamente il suo modello di partito da quello di ‘Prelatura personale’. Da qui discende l’insofferenza…”. E, più sul merito della politica renziana, si chiede: “ci sono elementi sufficienti per affermare che Renzi è portatore e sta quindi perseguendo un progetto complessivo e coerente per provare a togliere il Paese dalle secche nelle quali l’ha trovato? Esiste, almeno sul piano economico, una sorta di ‘Renzinomics’?”. Airoldi mostra di temere che il “fenomeno” Renzi stia ancorando le sue fortune “ad una sorta di ottundimento collettivo se non di addormentamento della ragione (forse per sublimare la paura in speranza)”. “Ma il sonno della ragione – aggiunge – genera mostri”.
Poi Airoldi si richiama al possibile ruolo del cattolicesimo democratico. Scrive: “Anche a seguito di queste dinamiche mi sembra opportuno ribadire l’importanza e l’attualità del contributo che può venire dal cattolicesimo democratico. Che tradirebbe se stesso se si contentasse di sostenere il contrasto ai privilegi e l’efficientamento della macchina pubblica che il Governo Renzi porta avanti, seppur con interventi poco coordinati tra loro. ‘Prendere spunto dalla radicalità della crisi attuale per ripensare strutturalmente i modelli di sviluppo’, come ha ricordato qualche giorno fa Guido Formigoni, peraltro in piena sintonia con il messaggio di Papa Francesco, mi sembra un compito al quale siamo chiamati dalla nostra storia. E del quale, non solo nel Governo Renzi, ma in tutta l’Unione europea fatico a trovare traccia”. Tema, quest’ultimo, certo da riprendere. E’ l’anima stessa della rete e del portale c3dem.
Dal canto suo, in ultimo (almeno per ora), Giancarla Codrignani interviene nel dibattito, scrivendo: “Caro Guido e cari amici, nemmeno io sono senza problemi circa, per esempio, la non eleggibilità del Senato e la Costituzionalità dell’innovazione. Tuttavia, sono stata deputata e credo che, per convalidare l’opzione monocamerale, valga ricordare che la legge contro la violenza sessuale – che non costava una lira allo Stato (spostava il reato di stupro dall’indecente reato contro la morale a ‘reato contro la persona’) e soddisfaceva almeno il 52 % dell’elettorato (e inoltre gli uomini perbene) – richiese 20 anni e 7 legislature. Meglio dire no una volta e ripresentare la legge”.
Come si vede, tanto la riforma del Senato in sé, tanto il come dovrebbe funzionare il Pd e il ruolo che in esso sta avendo Matteo Renzi, sono temi che nella stessa nostra area di cattolicesimo democratico suscitano posizioni notevolmente differenziate. Ma sul fatto che il confronto, anche acceso e persino aspro, sia cosa buona, anzi necessaria, e lo sia anche all’interno di una area politico-culturale che ha origini e finalità comuni, siamo tutti d’accordo. E’ assai meglio della “piatta unanimità”, come ha detto Guido Formigoni nella sua replica.
Da parte mia, a conclusione di questo riassunto del dibattito sin qui svoltosi a partire dall’articolo di Guido del 16 giugno, mi limito a dire che vale la pena riprendere quanto ha detto Sandro Antoniazzi all’inizio nel suo tagliente e provocatorio intervento: “L’unica cosa su cui sono d’accordo con Guido è l’opportunità di un approfondimento”. Sì, vale la pena, più che limitarsi a prendere atto delle nostre differenti posizioni, provare a metterle in discussione. E’certamente più proficuo (più “opportuno”) cercare di approfondire le questioni, anche quelle che possono sembrarci risolte in partenza, specie se tendiamo a risolverle (come spesso tendiamo) in chiave eccessivamente ideologica. Non dico che questo primato dell’approfondimento debba valere, oggi, nel contesto attuale, per il Parlamento italiano (anzi, da questo punto di vista, tenderei a pensare che la fretta – anche la fretta di Renzi – ha un senso politico condivisibile, pur con tutti i suoi rischi, e con la fretta, quindi, anche la necessità di decisione). Ma dovrebbe invece valere per noi e per tutti coloro che, in vari modi, sono interessati a riorganizzare strumenti e percorsi di cultura politica, compreso lo stesso Partito democratico.
Un approfondimento che va condotto a tutto campo. Augusto Airoldi ha ricordato, in particolare, riprendendo un tema sollevato in altra sede da Guido Formigoni, che sarebbe molto importante, soprattutto per quanti si riconoscono nell’area del cattolicesimo democratico, “prendere spunto dalla radicalità della crisi attuale per ripensare strutturalmente i modelli di sviluppo”. Compito immane, certo, se considerato nel suo insieme, e che si presta, forse troppo, alla ripresa di formule ideologiche poco produttive. Ma tema vitale, certamente, che riguarda ciò che ci sta più a cuore e a cui si ricollegano riflessioni ed esperienze che attraversano tutta la nostra esistenza, passata ma anche presente. Tema che proprio Sandro Antoniazzi (pur critico della “minoranza di ‘sinistra’ del Pd” in tema di riforme costituzionali), in una recente riunione di c3dem, ha posto più o meno in questi termini: dobbiamo interrogarci, a questo punto della storia, e in base alla nostra cultura cattolico-democratica, al nostro personalismo comunitario, se è possibile, e per quali vie, un superamento di questo capitalismo; un superamento che non avvenga secondo la prospettiva, che ha fallito, della cultura marxista; un superamento di cui molti di noi sentono l’esigenza, e che, tra l’altro, è ciò che sembra prospettare, oggi, con forza, papa Bergoglio.
Giampiero Forcesi