Nonostante la crisi economica e le spinte xenofobe
Cecilia Malmström – Commissaria europea agli Affari Interni
In “Avvenire” del 26 gennaio 2012
Nel 2011 le promesse europee di solidarietà nei confronti delle persone bisognose di aiuto sono state messe alla prova. È preoccupante constatare come l’Europa, nel suo insieme, non abbia superato l’esame. Ora gli Stati devono assumersi le proprie responsabilità e fare in modo che, in quanto ad accoglienza, il 2012 sia un anno migliore.
Due eventi, negli ultimi dodici mesi, vanno segnalati per le profonde conseguenze sul piano globale. In primo luogo, l’aggravarsi della crisi economica, che ha messo a sua volta in crisi la fiducia nella leadership e nella capacità dell’Europa di trovare soluzioni
condivise. In secondo luogo, la primavera araba: a Tunisi, al Cairo e altrove, i cittadini si sono sollevati in una lotta per la libertà, la democrazia e i diritti umani, rovesciando, insieme agli oppressori, pregiudizi decennali sulle loro società.
Dal punto di vista dell’Europa, questi due eventi sono strettamente collegati. Mentre nel corso del 2011 la crisi economica obbligava l’Unione Europea a concentrarsi sui problemi interni, le agitazioni nell’Africa settentrionale e in altre regioni costringevano molte persone ad abbandonare il loro Paese. Riuscirà l’Europa a continuare nel suo impegno nei confronti dei profughi e, nel contempo, a gestire la propria crisi?
I dati disponibili per rispondere a questa domanda destano qualche preoccupazione. Nel primo semestre del 2011, più del 75% di tutte le domande di asilo si sono concentrate in sei Stati membri dell’Unione. Resta quindi un consistente numero di Paesi europei che può e deve fare di più. E quando più di 700mila persone sono state costrette a fuggire dalla violenza in Libia, molte di esse ono finite nei campi profughi di Paesi vicini. A fronte di 8mila persone identificate dalle Nazioni Unite come particolarmente bisognose di aiuto, gli Stati membri dell’Unione nel loro insieme si sono impegnati ad accoglierne soltanto 400. La Norvegia, che non fa parte dell’Unione Europea, ne ha accettati da sola quasi altrettanti.
Nel frattempo, più di 50mila migranti hanno attraversato il Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna, diretti verso l’Unione. Molti di loro sono annegati. Altri sono sbarcati a Lampedusa o a Malta. Nell’ambito di una conferenza svoltasi la primavera scorsa, i Paesi europei hanno avuto la possibilità di mostrarsi solidali nei loro confronti. Il risultato? Appena 300 rifugiati trasferiti da Malta in altri Stati membri.
Appena un mese fa, la comunità internazionale si è riunita a Ginevra per una conferenza mondiale sui rifugiati: la più grande riunione di questo genere mai organizzata. Per l’intero anno che ha preceduto questo evento, l’agenzia delle Nazioni Unite per i
rifugiati ha invitato tutti i Paesi a presentarsi a Ginevra con le proprie proposte. Purtroppo l’offerta dell’Ue è stata pari a zero, perché gli Stati membri non sono stati in grado di accordarsi su un impegno comune. Uno dei problemi di base è il clima politico di molti Stati membri: era da prima della seconda guerra mondiale che non si vedevano così tanti partiti populisti e xenofobi nei Parlamenti nazionali europei. Come prevedibile, essi sfruttano la crisi attuale tentando di scaricare le responsabilità di errori economici nazionali sulle popolazioni immigrate. Abbiamo dunque bisogno di una leadership europea e
nazionale per evitare che il programma politico sia influenzato dalla logica populista. Infatti, contrariamente a quanto vorrebbero farci credere gli xenofobi, il numero di richiedenti asilo in Europa è molto più basso oggi di dieci anni fa. E l’Europa non è particolarmente aperta nelle sue politiche di asilo: si contano molti più rifugiati nel solo Kenya che nei 27 Stati membri.
Tuttavia, eventi imprevisti come la «primavera araba» possono mettere a dura prova la capacità di asilo di qualsiasi Paese, e l’Europa dev’essere preparata a sostenere gli Stati membri in difficoltà per consentire loro di accogliere i profughi in modo dignitoso.
Malgrado esistano delle norme minime comuni, i sistemi di asilo di molti Stati membri non funzionano efficacemente, mentre le condizioni di accoglienza non sempre sono accettabili. Coloro che cercano asilo si trovano peraltro di fronte a situazioni di grave incertezza, poiché le norme per la concessione dello status di rifugiato differiscono enormemente da un Paese all’altro. Disparità di questo tipo non sono accettabili in un’Unione Europea i cui membri hanno sottoscritto le stesse convenzioni internazionali e aderito agli stessi valori. L’Ue ha bisogno di elevati standard comuni e di una cooperazione più forte, per garantire che i richiedenti asilo, ovunque essi presentino domanda, ricevano un trattamento equo in un sistema aperto e trasparente.
Questo è il motivo per cui da oltre un decennio l’Unione si muove gradualmente verso una politica di asilo europea e ha fissato al 2012 il termine per la creazione di un sistema comune. Nel 2011 sono stati compiuti alcuni passi in avanti, ma i negoziati tra gli Stati membri sono ancora troppo lenti. Nel 2012 questo processo si deve intensificare notevolmente. Ritengo che siamo in
grado di gestire le nostre difficoltà economiche rimanendo tuttavia fedeli ai nostri ideali di apertura, tolleranza e solidarietà. Il nostro impegno deve produrre un valore aggiunto. Quest’anno l’Europa dovrà allargare la sua prospettiva e fare in modo che il sistema comune di asilo prenda finalmente vita.