E’ tempo, il nostro, di auspicare il ritorno del “centro” politico con i nuovi ceti medi, la nuova classe media, la nuova borghesia e i nuovi moderati protagonisti? E’ tempo, il nostro, di desiderare la “Ricomposizione” – direbbe Padre Sorge – di un’area cattolico-democratica di centro? E’ tempo, il nostro, della ricerca di una casa e di una collocazione spaziale per un supposto elettorato centrista?
Domande ritornate recentemente alla ribalta con editoriali di Cacciari, Galli Della Loggia, Panebianco, Panarari, e, grazie al tenace impegno di Lucio d’Ubaldo, con stimolanti articoli di Bodrato, Prodi, Castagnetti, Fioroni, Dellai e altri amici, pubblicati su “Il Domani d’Italia” e ripresi da C3Dem.
Non c’è nessun bisogno di citare il pessimismo di Alain Touraine: “La globalizzazione è la fine del sociale…” . Perché è certo che queste domande si nutrono di ottimismo. Si rimane tuttavia perplessi una volta appurato che si tratta di desideri che nascono solo e perché ci troviamo di fronte ad una legge elettorale proporzionale.
Il pluralismo connesso ai sistemi proporzionali può portare a profonde delusioni, perché spinge alla frantumazione irrilevante della rappresentanza; se è vero che in Italia oggi si contano circa 40 formazioni politiche! E non dimenticando che la globalizzazione dei mercati ci pone di fronte ad un pluralismo più insidioso: quello delle culture e delle religioni. Siamo infatti di fronte a radicali cambiamenti che chiedono ai partiti profonde revisioni e una classe dirigente all’altezza delle sfide. E che consiglierebbero molta prudenza.
Di fronte a una sinistra democratica in crisi, pur avendo abbandonato il comunismo ideologico, e con una destra non più liberista ma nazional-sovranista e antieuropea in progressiva crescita; con un Paese oggi nuova “Terra promessa” per “l’Esodo” di milioni di poveri affacciati sul Mediterraneo, e con l’economia in recessione, e un debito statale enorme, credo che il nuovo riformismo abbia bisogno di policy intelligenti e non di politcs geometriche legate alla proporzionale (1).
Le scelte da fare, con i robot alle porte e la perdita di milioni di posti di lavoro favorita dalla delocalizzazione in atto, con le biotecnologie che avanzano, dovranno essere necessariamente innovative. Attendono una classe dirigente lungimirante e competente e, aggiungo, poco… moderata; una classe dirigente consapevole che siamo nelle mani della finanza mondiale e dell’esplosione digitale, in grado di fare scomparire la classe operaia assieme alla ottocentesca distinzione conflittuale marxista, riposizionando, nello stesso tempo, le storiche categorie sociali che votavano partiti di centro: ceti medi, moderati, classe media e borghesia. Quest’ultima,poi, è scomparsa…
La ciliegina della transizione in atto la mette il pericoloso innamoramento del leader, complemento imprescindibile del populismo. Un leader possibilmente “carismatico” e “unto del Signore”. Un uomo forte in grado di personalizzare la competizione elettorale, sostituendo col suo volto e con i suoi messaggi il partito, la sua storia, i suoi valori da proporre, i contenuti del suo programma, e facendoci vivere nell’eterno presente, senza proiettarci nel domani.
La politica “orizzontale” tra sinistra e destra
Dunque si sta rispolverando il centro politico nella sua valenza moderata e cattolica, desiderato da diversi uomini politici, intellettuali, editorialisti, studiosi e uomini di chiesa. Un poco frettolosi a mio avviso nel dimenticare le differenze “verticali” e nell’identificare il “centro” politico dei nostri tempi – specie se cattolico – con una esistente domanda politica di centro.
E’ da oltre 20 anni che la mobilità sociale è bloccata. E che il ceto medio, motore del centro elettorale, della democrazia e dello sviluppo economico, sta scomparendo. Fabrizio Barca, nel suo Forum “Disuguaglianze e Diversità”, parla ormai di ceti forti e di ceti deboli, trascurando i ceti medi che colloca tra i ceti deboli. A guardar bene, destra, sinistra e centro, sono solo una convenzione geometrica e lessicale. Sicuramente caratterizzati nel tempo da culture politiche e valori diversi. Ma identificabili solo negli emicicli dei parlamenti. Il centro inoltre è oggi addirittura inesistente in alcuni paesi di democrazia “bipolare”, anche in virtù dei loro sistemi elettorali e della forma rettangolare dell’aula dove i parlamentari sono seduti l’uno di fronte all’altro. Così come è inesistente la nozione dei moderati nei dizionari di politica seri, pur esistendo partiti e liste che si autodefiniscono tali. Tutto allora sta a capire cosa intendiamo (oggi) con centro politico – consapevoli che dal punto di vista sociologico l’elettorato sarebbe meglio descrivibile con un centro di natura sociale. Mettendoci d’accordo su cosa (oggi) intendiamo con ceto medio, classe media, elettore moderato, conservatore, cattolico, ecc., categorie privilegiate e terreno storico di raccolta del vecchio centro politico Dc.
Se sinistra e destra cambiano nome e si trasformano, non è invece da dimenticare la distinzione (culturale) che Norberto Bobbio ha fatto tra valori di solidarietà ed eguaglianza, e idee di libertà e diseguaglianza. Ci può essere ancora di aiuto.
La società “verticale” tra primi e ultimi
Oggi il dibattito sulla lotta e i conflitti di classe, tra keynesiani e liberisti, tra libertà del mercato e welfare, si è alleggerito dei contenuti ideologici rigidi novecenteschi, facendo però emergere enormi nuovi problemi. Tra cui quello degli “ultimi” vecchi e nuovi, emigranti compresi. E quello dei nuovi “primissimi”, che controllano senza vincoli, le banche e l’economia del mercato finanziario mondiale capace di mandare in tilt la condizione sociale e la stessa democrazia degli stati. Il “disordine globale” come recita la rivista Humanitas galoppa ormai indisturbato verso un futuro sconosciuto. Emergono pochi super ricchi che concentrano capitali faraonici, e che con le loro multinazionali sono anche i padroni assoluti di Wall Street, mentre lo stesso liberalismo classico entra in crisi trascinando con sé il Welfare con tutti i diritti umani connessi e tutelati.
Ebbene di fronte a questi inarrestabili processi, i ceti e le classi di mezzo, si continuano a definire ricorrendo a fasce di reddito, all’istruzione, ai consumi (superflui), oppure citando la condizione lavorativa supposta ancora sicura (avvocati, funzionari, insegnanti, medici, commercialisti, ingegneri, ecc). Mentre siamo invece di fronte a situazioni ancora inesplorate che creano profonde incertezze e ansie, problemi psicologici e umani legati al lavoro e alla robotica, al clima, all’immigrazione. Così come va ridefinito il c.d. voto cattolico, ancora identificato con coloro che dichiarano di andare a Messa. Sono tutti indicatori che oggi nella scelta del voto, mutevole, infedele e arrabbiato, influiscono molto.
La nozione di “centro” e la società degli individui
Continuiamo dunque ad utilizzare un lessico politico che andrebbe se non altro di volta in volta chiarito. Spiegava bene per il passato. Ma ai nostri giorni, sotto la cappa di una inarrestabile e globale rivoluzione digitale e di fronte alla mano invisibile dei poteri finanziari, dovrebbe sollecitare cautela in vista di quel futuro che attende i nostri figli e nipoti. Un futuro difficile da spiegare con una legge proporzionale.
Le aspirazioni di chi pensa un partito di centro, dovrebbero allora per prima cosa confrontarsi con la scomparsa del partito politico “solido” di massa con cui eventualmente coalizzarsi. E con la nascita del partito “liquido”, occasionale e oscillante subentratogli, guidato dal suo indispensabile leader virtuale in diretto rapporto con l’elettore, una volta fatti sparire i corpi intermedi. Non credo che utilizzando la nozione di Centro si riesca a descrivere la società degli individui dei nostri giorni, paurosi ma col permesso di armarsi, insicuri e incerti ma assenti dalle urne. Credo di più, invece, che di fronte alla rivoluzione antropologica e sociale in atto, e di fronte alla crisi dei ceti medi saliti sul “discensore”, non bisogna stare immobili sulla riva del fiume aiutandosi con paradigmi che possono disorientare e confondere le idee.
Forse è bene cominciare a pensare che i conservatori e i moderati, quelli senza troppi problemi economici che guardano al passato, quelli che vanno ancora a Messa, hanno oggi ceduto il posto all’intemperante, al nervoso preoccupato, al disinteressato. Al disgustato della classe politica. A quelle famiglie di ceto medio con i figli disoccupati e precari, senza molte speranze di trovare lavoro e pronti a lasciare l’Italia. Al pauroso razzista contro tutti quegli “stranieri”, specie se uomini di colore o donne col burca, che “tolgono il lavoro, il pane e… la religione agli italiani”. Alla secolarizzazione agnostica galoppante, quella con le Chiese vuote che preoccupa Papa Francesco.
Il fatto è che siamo di fronte ad un elettorato sfiduciato. Che si è sfogato nel segreto dell’urna senza scendere in piazza indossando gilet neri o lanciando molotov. Scoprendo la sua rappresentanza in un Movimento fondato da un comico – non unico nel mondo – che lo ha dichiarato né di sinistra né di destra. E tantomeno di centro, benché abbia raccolto molti voti in questi spazi. Non bastano i dati Istat; è invece tempo che gli studiosi, gli intellettuali, i formatori di opinioni si facciano sentire. Interpretando e informando sui rivolgimenti sociali sopraggiunti, sull’inarrestabile globalizzazione i cui esiti sono imprevedibili.
Rivolgersi in queste condizioni agli elettori moderati di centro, specie quando si comprendono i “cattolici democratici moderati”, che per storia propria non sono mai stati politicamente moderati, credo che sia una fuga all’indietro. Attrarre il moderato di oggi in un luogo di centro è operazione inutile e culturalmente sbagliata tenendo conto che l’elettorato che ha vinto il 4 marzo, e che ha iniziato a riversare voti alla Lega come rilevano i sondaggi, è formato da classe operaia, (ex) ceto medio, pensionati, contadini, giovani disoccupati, laureati e imprenditori, categorie sociali come si vede del vecchio centro.
C’è solo da chiedersi perché la Lega, con un leader autoritario che vende decisionismo, privo di dubbi, e con una arrogante voglia di comandare col Vangelo in una mano e il mitra nell’altra, c’è da chiedersi, dicevo, perché la Lega, cresca sempre di più nei consensi. Invocando il centro e protesi a intercettare i c.d. moderati, non si dà a tale proposito nessuna risposta. Il che ci evita di riflettere sui motivi di fondo che hanno radicato nella società un Movimento come quello di Grillo e una Lega come quella di Salvini, che sono stati capaci di assorbire elettori di vecchia sinistra e vecchia destra, e di fare sparire il centro politico.
Conclusioni
Gianfranco Pasquino è uno studioso serio. Che però non scommette molto nel centro politico: “(…) il centro non esiste in politica. Può esservi un partito di centro, ma non una tendenza di centro o una dottrina centrista”. Intendiamoci: usare categorie politiche e sociali che appartengono alla storia della sociologia politica, non è fuorviante. Così come non c’è da meravigliarsi se di fronte a una legge elettorale proporzionale emergano desideri di partiti centristi. Con una sola avvertenza. E cioè che quando (oggi) si parla di centro, destra, sinistra, classe operaia, ceto medio, moderati, voto cattolico, classe media, famiglie, gruppi sociali, ecc. si deve chiarire per correttezza a chi (oggi) ci si rivolge, e di che cosa (oggi) si vuole parlare. Il sociologo don Luigi Sturzo, con la sua Teoria Sociologica, quando ha studiato le “Forme sociali primarie e secondarie” lo ha spiegato bene, convinto che tra interpretazione della società e la sua realtà c’è differenza.
Per quanto riguarda il cattolicesimo democratico, se è comprensibile invocare un suo ritorno nello spazio pubblico, questa aspirazione non si può e si deve giustificare solo con la presenza di una legge elettorale proporzionale o rivolgendosi ai “moderati astensionisti”, o, peggio, al collateralismo della Chiesa. Né illudersi di riunirlo in un nuovo partito di centro moderato.
Ancor prima, molto prima, del partito cattolico di centro, occorrerebbero altre cose che con la proporzionale non hanno niente da dividere. Ritornare al prepolitico studiando i cambiamenti e le novità epocali si può. Sollecitare di nuovo l’associazionismo cattolico di base – oggi in ritirata e assente dal dibattito pubblico – anche per la formazione e la selezione di competenze e profili etici della futura classe dirigente, si può. Così come si può pensare ad una Fondazione culturale creando un Forum di incontri periodici – come ha da sempre sostenuto Giorgio Campanini – o una Associazione nazionale, a scuole di formazione, per non mettere tra i libri vecchi il popolarismo, il pensiero cattolico-democratico, il personalismo e la dottrina sociale della Chiesa.
Quello che invece non si può fare è pensare che la legge proporzionale sia l’espediente che possa risolvere tutta la complessità dei nostri tempi, o che rincorrere categorie sociali del passato aiuti la ricerca del centro politico. Ricerca che va invece urgentemente tarata con il futuro che ci attende e con i radicali cambiamenti sopraggiunti a partire dai nostri mondi vitali, e dalle dimensioni comunitarie in cui viviamo.
Nino Labate
(1) Policy è la ricerca di una via razionale per risolvere problemi complessi che coinvolgono società, economia e tecnologia. Politics è la ricerca di consensi popolari, e la loro aggregazione verso soluzioni che siano accettate anche se non necessariamente ottimali.
21 Maggio 2019 at 09:05
L’articolo di Nino somiglia, a mio avviso, ad un’area in cui i cercatori d’oro speravano di trovare un tesoro e, talvolta, rinvenivano qualche pepita di valore.
Tante sono le idee e gli stimoli e cerco di individuarne qualcuno: 1)fare politica non è come impostare una partita di calcio scegliendo il giusto schema di gioco( 4,3,2,1; 4,4,2 o semplicemente il vecchio catenaccio) è ovvio, peraltro, che un buon sistema elettorale sia necessario per il corretto funzionamento della democrazia ;2) non illudersi o fare finta di crederci che soltanto dal popolo possano venire le giuste indicazioni. Quindi diffidare dagli slogan specie se collegati a presunti valori “naturali” e, perciò non negoziabili; 3) questa entità( il popolo) dai contorni indefinibili è spinta da bisogni particolari e spesso marginali 4) occorre capacità di analisi per individuare le problematiche prioritarie e porsi in dialogo con il blocco sociale che possa sostenerle e realizzarle con convinzione. Oggi credo che la dimensione dei problemi sia globale e pertanto non risolvibili a livello nazionale (migrazioni di massa, cambiamenti climatici che minacciano la stessa sopravvivenza del pianeta, nostra casa , strapotere senza rappresentanza delle strutture economiche e finanziarie e crescente affermarsi degli strumenti informatici) strettamente connessa con problemi nazionali ( per il nostro paese la messa in sicurezza del territorio da rischio sismico e idrogeologico e la seria lotta all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata).
Quando si parla di “moderati” e di “riformismo” si ha l’impressione che se ne faccia un uso generico e privo di contenuti (sotto il vestito, niente) mentre occorrerebbe coglierne e specificarne il contenuto positivo se inteso come qualità che devono presiedere all’attuazione di un programma possibile e condiviso . Mi rendo conto che ognuno dei problemi elencati andrebbe approfondito e meglio articolato. Lascio quindi la parola ai sociologi ed ai politici(veri) questo compito anche se ricordo una lapidaria affermazione di Clemenceau: “La guerra è una cosa molto seria per lasciarla fare ai generali”. Chi ha orecchi peri ntendere intendere, intenda
24 Maggio 2019 at 09:05
Percepisco tra i giovani un certo “disimpegno” e una totale mancanza di fiducia verso l’offerta politica e i suoi sponsors che prelude ad un astensionismo elettorale riferito alle prossime elezioni che, invece, a mio avviso sono importantissime se non cruciali per la sopravvivenza dell’Europa. Impegniamoci per contrastare questo atteggiamento autolesionista.
Grazie Pasquale