Rivendicazionismo e mutualismo: il sindacato ha due gambe

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Il sindacato ha due gambe, anche se spesso se lo dimentica: una, molto sviluppata, è quella rivendicativa, un’altra, decisamente più modesta, è quella mutualistica, partecipativa, generativa.

Nell’Occidente in questo dopoguerra la prospettiva rivendicativa è stata dominante; la ricchezza cresceva in modo consistente e il sindacato si preoccupava che fosse distribuito tra i lavoratori, attraverso il salario e lo welfare. Questa è stata la funzione essenziale del sindacato  negli anni passati.

E’ una storia ben nota che non ha bisogno di dimostrazioni, come non ne ha bisogno il fatto che ora questa prospettiva segni il passo; la ricchezza prodotta  è modesta  e la globalizzazione e la finanziarizzazione la dirottano altrove. Appare evidente la necessità di una svolta anche radicale.

Il sindacato, preso dalla hybris del rivendicazionismo – che in realtà è stato per molti anni una vera manna -, ha dimenticato di avere un’altra tradizione, un’altra prospettiva: quella mutualistica, dell’iniziativa diretta dei lavoratori, che si aiutano tra di loro per affrontare e risolvere i problemi. Se con la rivendicazione si tratta di chiedere, con il mutualismo si tratta di ideare, progettare, costruire, realizzare: là si aspetta di ricevere, qui si tratta di dare.

Il mutualismo è ritornato in auge per via delle carenze dimostrate dal sistema sanitario nazionale, che deve essere difeso e sostenuto in quanto conquista fondamentale di civiltà ed essenziale per rispondere alle esigenze dei cittadini, ma che merita anche di essere integrato. Partiamo innanzitutto da questi problemi sanitari: oltre ai limiti presenti sin dal principio (esclusione dal sistema delle cure odontoiatriche e dell’assistenza per la non autosufficienza degli anziani), sempre di più pesano i ticket a carico del cittadino e le lunghe liste di attesa per le visite specialistiche e per gli esami.

Così la legge ha favorito, anche con esenzioni fiscali, la costituzione di fondi integrativi che possano rispondere a questo tipo di esigenze. Questi fondi integrativi nascono oggi in forma un po’ disordinata, per iniziativa aziendale o categoriale. Sarebbe molto opportuno che oltre a leggi che ne favoriscono l’istituzione, si formulassero norme per delineare un assetto equo e equilibrato di questo settore sempre più importante.  Nella mente del lavoratore medio “mutua aziendale” rimanda all’immagine di poche grandi aziende  in condizione di privilegio e non a una visione universalistica, cioè di diritti e benefici che operino per tutti.

In secondo luogo il sindacato spesso si preoccupa di ottenere il diritto  alle prestazioni in sede contrattuale, poco si occupa di quanto succede dopo: il mutualismo invece incomincia proprio lì, nell’uso collettivo e responsabile che viene fatto del diritto conquistato. In questo consiste la parte innovativa che il sindacato deve sviluppare, altrimenti si rischia di fare anche del mutualismo una pura attività rivendicativa, snaturandolo. Invece di una prospettiva nuova si  inserisce la novità nell’esistente, depotenziandolo.

L’ideale è invece gestire a livello locale – comunale, provinciale – questi diritti e conquiste, contrattando le convenzioni e controllando i servizi sanitari finanziati. In Francia i sindacati (con un numero esiguo di iscritti) sono presenti a tutti i livelli nelle Casse Sanitarie – a livello nazionale, regionale, dipartimentale. Senza arrivare a queste esagerazioni, perché non mettersi in grado di controllare seriamente il funzionamento dei servizi dove confluiscono queste risorse?

Naturalmente vi sono tante altre possibilità di attuazione anche immediata di ipotesi mutualistiche; una fondamentale e prioritaria è costituita da un intervento sul tema della non autosufficienza, i cui costi sono oggi prevalentemente a carico delle famiglie. Perché non creare dei fondi regionali a carico, con un quota modesta, di tutti i lavoratori e dei cittadini e che potrebbe avere il sostegno delle Regioni e dei Comuni? Si potrebbe così risolvere uno dei maggiori problemi socio-sanitari  oggi presenti e insoluti. Il sindacato, promuovendolo, troverebbe un notevole consenso da parte dell’opinione pubblica.

Ma il mutualismo è un’idea che può esprimere la sua potenzialità e applicarsi a tante situazioni diverse: proposte sono già state avanzate per la copertura sociale dei lavoratori indipendenti e anche per dare vita a esperienze di occupazione giovanile.

Il mondo sociale e del lavoro si va differenziando e non bisogna temere che si presentino esperienze diverse anche al di fuori delle tradizionali strutture  e pratiche.

E’ proprio invece dal fatto che nascano e si sviluppino nuove soluzioni che possiamo riaprire serie speranze per il futuro. Il mutualismo va inteso radicalmente come uno stimolo a pensare e costruire il nuovo.

 

Sandro Antoniazzi

 

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