Rodotà non avrebbe rappresentato l’unità nazionale

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 Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo questo articolo scritto durante la quinta, e penultima, votazione del presidente della Repubblica. L’autore, classe 1939, è stato docente di diritto penale processuale all’Università di Torino

Scrivo queste note di getto, in un momento di stallo nella penosa vicenda dell’elezione presidenziale, mentre è in corso la quinta votazione.

Capisco che l’attenzione di molti si concentri soprattutto su due aspetti: da un lato, la leggerezza con cui si sono mandate al massacro, sia pur in modi diversi, due persone come Marini e Prodi; dall’altro la devastazione interna al Partito Democratico. Sono aspetti, di per sé, estremamente preoccupanti, ma più ancora mi sembra gravissima la caduta del senso delle istituzioni che la vicenda, sino a questo momento, sta rivelando.

Non può stupire nessuno che questo senso manchi in Berlusconi, il quale ha impostato la sua tattica guardando essenzialmente ai suoi problemi e interessi personali e ha utilizzato gli schemi, a lui abituali, della negoziazione più spregiudicata. Fa cadere le braccia il fatto che – in quello che dovrebbe essere il più importante appuntamento nella vita delle istituzioni rappresentative – prima lo si sia assecondato (o si sia data l’impressione di assecondarlo) accettando la negoziazione di un nome a lui gradito, e poi si sia puntato tutto su una candidatura di segno totalmente opposto, quale, nel contesto, era oggettivamente quella di Prodi, al di là di ogni considerazione per il valore della persona e per l’alta e diffusa stima di cui giustamente gode anche a livello internazionale.

Il tutto lasciando cadere da subito la prima operazione (fallita essenzialmente per la ribellione interna al PD e dunque senza poter addurre la scusante di una violazione del patto dall’altra parte) e con ciò togliendo quel poco di credibilità che aveva a un’argomentazione addotta più volte, ma che peraltro sin ab initio puzzava di sofisma.

Mi riferisco a quanto si è detto sull’ossequio alla Costituzione che si sarebbe assicurato cercando una soluzione ”condivisa” nei primi scrutini (dove occorrono i 2/3) per passare poi, in caso di fallimento, ad avvalersi della posizione (quasi) maggioritaria dal quarto in poi. Era infatti evidente che, nel pensiero dei costituenti, i quali ragionavano nel quadro di una legge elettorale rigidamente proporzionale, mai e poi mai sarebbe passata maturata l’idea che la seconda regola potesse servire a una minoranza del corpo elettorale per far passare un presidente “di parte”, come invece può accadere – ed ha rischiato di accadere – in raccordo con il “porcellum” per lo spropositato premio di maggioranza attribuito a una minoranza appena di un soffio prevalente sulle altre. Ed appariva chiaro a tutti che proprio questo era il disegno coltivato dal gruppo dirigente del PD, e andato miseramente a male soltanto a causa del gioco “per bande” all’interno del partito, condotto senza alcuna cura per lo spettacolo dato, devastante  sotto ogni punto di vista.

A mio giudizio, in un quadro come quello creato dal premio di maggioranza, la forza politica che sa di godere di un vantaggio numerico tanto più assurdo quanto questo è più alto rispetto al consenso elettorale “reale” ricevuto, dovrebbe, quantomeno, cercare di fare come si è fatto a suo tempo con l’elezione di Napolitano, e cioè proporre un nome non oggettivamente “provocatorio” per le altre forze. Invece, qui si è creduto di poter giocare subito con una candidatura ”di rottura”, nell’illusione di ricomporre così l’unità del partito. Non c’è che dire: bel senso delle istituzioni, oltreché grande capacità di vedere chiaro al proprio interno ….

Intendiamoci: si può essere sicuri che anche Romano Prodi – come Giorgio Napolitano – avrebbe esercitato con correttezza ed equilibrio il mandato presidenziale; ma la sua elezione, se ci fosse stata, non nasceva certo nel segno della rappresentatività di quell’“unità nazionale” che è posta dalla Costituzione come prima connotazione del ruolo del Presidente della Repubblica.

Comunque, senza piangere sul (molto) latte versato, sarebbe forse il caso che quello che è ancora oggi il maggior gruppo parlamentare o almeno le sue componenti più responsabili (se ce ne sono) facessero ora lo sforzo che si doveva fare all’origine: quello, cioè, di dare la disponibilità – fuori da ogni contrattazione e fuori soprattutto da ”patti scellerati” con Berlusconi – all’elezione di qualcuno che possa davvero rappresentare l’unità nazionale. A mio giudizio, ciò non può essere assicurato da una persona, pur a sua volta di indiscusso livello come giurista, qual è Stefano Rodotà: e non solo e non tanto perché la sua candidatura viene proposta dal M5S, ma per le sue prese di posizione estreme su temi “eticamente sensibili” e anche su altre questioni di rilevanza economico-sociale.

Figure ce ne sono, che non appaiono a priori “contro” qualcuno o qualcosa, e al tempo stesso non risultano vincolate – e, penso, non  vincolabili – da impegni per fare “favori” a qualcuno: oltre ad Anna Maria Cancellieri, ad esempio Paola Severino; ma, secondo me, gli stessi Presidenti delle due Camere … Sempre che non si riesca a convincere Giorgio Napolitano – in questa vera e propria emergenza – ad una riconferma …

 

Post scriptum: E’ stato rieletto Napolitano. Appartengo al numero di coloro che tirano un sospiro di sollievo. Ma i problemi restano tutti …  E resto delle opinioni che ho cercato di esprimere qui sopra.

One Comment

  1. Apprezzo la chiarezza dell’articolo di Mario Chiavario e in particolare il riferimento allo spirito della Costituente che, ancor più della Costituzione, rischia di non essere colto in questi anni. Condivido i contenuti, anche se, con l’elezione di Napolitano, ho avvertito la sensazione di una democrazia parlamentare non adulta, che in modo adolescenziale chiede ancora a Napolitano di fargli da padre…

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