Merita di essere letto e approfondito il discorso alla città pronunciato dal cardinale Angelo Scola in occasione della festività di Sant’Ambrogio centrato sul rapporto tra libertà religiosa e laicità dello Stato. Procedo schematicamente con qualche rilievo.
1. Scola si situa utilmente lungo una linea di riflessione, che non è di oggi, tesa a rilevare i limiti della concezione della laicità dello Stato di stampo illuministico di tradizione francese, una sorta di religione repubblicana, in verità in via di superamento anche oltre le Alpi, per accedere a una concezione della laicità cosiddetta positiva o dell’incontro che riconosce e valorizza il contributo delle confessioni religiose alla qualità etica della vita civile.
2. Sotto questo profilo, si può sostenere che, se lo Stato ha da essere laico, laica non è però la società, in quanto abitata da una pluralità di formazioni sociali, culturali e religiose. Non un vuoto, ma una molteplicità di soggetti della cui libertà lo Stato si fa garante.
3. Scola confuta l’idea della neutralità dello Stato rispetto alle confessioni religiose. Non mi è chiara la motivazione. Personalmente sosterrei piuttosto l’incompetenza dello Stato in tema di verità religiosa (come della verità scientifica, artistica, ecc.).
4. La cura che lo Stato deve avere per la religione, come afferma la “Dignitatis Humanae”, altro non è che la cura per la libertà religiosa (naturalmente in senso pieno, compresa la sua proiezione pubblica), cioè per le condizioni giuridiche e sociali necessarie al suo esercizio. Naturalmente entro il limite dell’ordine pubblico.
5. Non mi convince la tesi secondo la quale lo Stato italiano indulgerebbe a una visione secolarista delle esperienze umane fondamentali (le strutture antropologiche di base: nascita, matrimonio, generazione, morte, educazione), a fronte di una società nella quale invece regnerebbe un largo consenso intorno a una visione se non religiosa quantomeno aperta alla trascendenza: la mia impressione è semmai il contrario.
6. Sempre la “Dignitatis Humanae” asserisce che il diritto alla libertà religiosa è un diritto giuridico, non morale. E tuttavia il dovere morale di cercare la verità religiosa non interpella lo Stato ma il singolo e semmai la Chiesa e la sua missione.
7. Pure non mi convince la tesi chiave: la vera, più radicale opposizione, a mio avviso, non è tra una visione secolarista e una religiosa dello Stato, ma tra una visione liberal-democratica di esso, di matrice religiosa o no, e una sua visione confessionale o fondamentalista.
8. Non ha torto chi ha notato che l’anniversario costantiniano avrebbe potuto suggerire di tematizzare anche le commistioni improprie, che si sono date storicamente, tra cristianesimo e potere politico e le conseguenti discriminazioni subite da pagani e fedeli di altre confessioni da parte dei regimi assolutisti nominalmente cristiani.
9. Un registro meno accademico e più pastorale del discorso alla città forse avrebbe suggerito di non omettere qualche riferimento al vistoso degrado morale e civile conosciuto da Milano e dalla Lombardia nell’anno che si chiude. Uno tsunami di scandali che ha inondato le cronache politiche e giudiziarie e a causa del quale si va a elezioni regionali anticipate in coincidenza con le elezioni politiche. Un degrado che ha avuto per protagonisti uomini e gruppi che si trascinano appresso il buon nome cristiano.
22 Dicembre 2012 at 22:44
Mi sembra che non si sottolinei abbastanza il fatto che lo Stato deve essere prima di tutto laico, nel senso che, sentite le motivazioni di tutti, religiosi e non, deve legiferare rispettando il parere della maggioranza, anche se questo contrasta con determinati princìpi religiosi. Chi è religioso potrà dare personale testimonianza di coerenza con determinati precetti indicati dalla chiesa, ma lo Stato è chiamato a rispettare il volere della maggioranza. Le leggi sul divorzio e l’aborto sono due esempi significativi.